Categoria: ‘I Promessi Divorziati’

CAPITOLO XXXIII
(questo capitolo fu iscritto a fin d’aprile, et per tempi editoriali sol ora giunge al lettore, il qual nel frattempo ne ha sentito in tivvù la versione apocrifa ma filologica del rocker Piero Pelù)

Quando Costanzo ebbe finito, e messo un lungo soffio, uno di quei biascicamenti suoi tipici, antitelevisivi se vogliamo eppur funzionali all’audience, diciamo un soffio coi baffi, un soffio che equivaleva a un punto fermo, – intendo benissimo, – disse il membro dell’Opus Dei, – quel che il fratello piduista vuol dire; ma prima di fare un passo…
– Ma un passo che non è punizione, no: un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune convenienza, per impedire i sinistri che potrebbero… mi sono spiegato. E, – continuava poi, alzandosi da sedere, ma pur restando basso, e pur ciccione – se posso qualche cosa, tanto io, come la mia famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini… che so, creare il personaggio d’una Novizia Chiara da render opinionista dei tronisti nei pomeriggi televisivi di mia moglie, diciamo una Suor Cristina dedita non a cantare ma a Cupido…
– Conosciamo per prova la bontà della casa, – disse l’uomo dell’Opus Dei – ma invece che a quei pezzari dei cappuccini, se proprio vuol far la grazia di una donazione, pensi piuttosto a Comunione e Liberazione, o all’Azione Cattolica.
– Tra buoni amici – disse Costanzo a chiosa – con due parole (in particolare con le parole “per taldeitali” scritte su una farcita busta di contanti) s’accomodano di gran cose.


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CAPITOLO XXXII

– Oh povera me! Il Papa a Eboli! Ma perché è andato via così all’improvviso?
– Perché ha voluto così lo Spirito Santo.
– E perché mandarlo a Eboli? che faceva tanto bene qui? Oh Signore!
– Se Iddio dovessero render conto degli ordini, dove sarebbe l’ubbidienza, la mia donna?
– Sì; ma questa e la mia rovina.
– Sapete cosa sarà, cara la mia liberale libertina liberista liberalizzatrice di aborti divorzi et droghe? Sarà che a Eboli avranno avuto bisogno d’un buon predicatore (ce n’abbiamo per tutto; ma alle volte ci vuol quell’uomo fatto apposta); il vescovo di là avrà pregato il Dio Cattolico Romano di qui, se aveva un soggetto così e così; e l’infallibilità di Pietro avrà deciso: qui ci vuole il Papa Francesco. Dev’esser proprio così, vedete.
– Oh poveri noi! Ci fosse ancora Ratzinger, che lo Spiritosanto se lo beveva insieme al sangue dei deportati nei lager e le colombe bianche se le faceva allo spiedo nelle grigliate a Castel Sant’Angelo! Ecco! s’io davo retta alla mia ispirazione di venir via qualche giorno prima! E non si sa quando possa tornare? così a un di presso?


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CAPITOLO XXXI

Le due povere donne, la Prestigiacoma e l’Emmabonina s’erano appena accomodate nel loro ricovero, che si sparse per Monza, e per conseguenza anche nel monastero, la nuova di quel gran fracasso di Milano; e dietro alla nuova grande, una serie infinita di particolari, che andavano crescendo e variandosi ogni momento. La fattoressa, che, dalla sua casa, poteva tenere un orecchio alla strada, e uno al monastero, un occhio all’i-phone, e l’altro al pc, raccoglieva notizie di qui, notizie di lì, e ne faceva parte all’ospiti.
– Due, sei, otto, quattro, sette ne hanno messi in prigione; gl’impiccheranno… Ehi, ehi, sentite questa! n’è scappato uno, che è di Firenze, o di quelle parti, di Pontaqqualcosa, Pontassieve forse. Il nome non lo so; ma verrà qualcheduno che me lo saprà dire.
Quest’annunzio, con la circostanza d’esser Renzi appunto arrivato in Milano nel giorno fatale, diede qualche inquietudine alle donne, e principalmente a Prestigiacoma; ma pensate cosa fu quando la fattoressa venne a dir loro: – Quello che se l’è battuta, per non essere impiccato è un filatore di trame tra vegliardi piduisti priapisti e nuova massoneria progressista rampante, Matteo il suo nome: lo conoscete?


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CAPITOLO XXX

Arriva Renzi al paese della Boschi; nell’entrare, anzi prima di mettervi piede, distingue una casa alta alta, a più ordini di finestre lunghe lunghe; vede l’amichetta compagna, gli corre incontro. Quella si volta, riconosce il giovine, che gli dice: – son qui -. Un oh! di sorpresa, un tentennante pugno chiuso subito autocensurato, un alzar di braccia, un gettarsele al collo scambievolmente, ma stando attenti a non rovinar la messa in piega della ragazzaimmagine rottamatrice. Dopo quelle prime accoglienze, la Boschi tira il nostro giovine lontano dagli occhi de’ curiosi, in un’altra stanza, e gli dice: – ti vedo volentieri, tanto più che mi sono appena lamentata d’esser single da un anno nell’intervista a Vanity Fair; ma sei un benedetto figliuolo. T’avevo invitato tante volte; non sei mai voluto venire; sempre a dire che gl’impegni fiorentini, e la corsa al segretariato del partito, e il comizio, e le primarie; ora arrivi in un momento un po’ critico, in pieno ristagno del Pil, e io col mestruo…


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CAPITOLO XXIX

– E cosa n’è stato del manigoldo anarcoinsurrezionalista? – chiedevano gli avventor de’ la vineria al testimone dei tumulti meneghini, mentre il nostro Renzi avventor casuale a volta sua tutto ascoltava.
– Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano: son gente che non ha né casa né tetto, e trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi, a Torino son più noti come squatter non per altro. Per ora si sa di sicuro che le lettere son rimaste in mano della giustizia, e che c’è descritta tutta la cabala; e si dice che n’anderà di mezzo molta gente. Peggio per loro; che hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Dicono che i farmacisti son birboni. Lo so anch’io; ma bisogna impiccarli per via di giustizia. C’è del Tavor nascosto. Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a disotterrare, e mandare anche gl’incettatori a dar calci all’aria, in compagnia de’ vari farmacologi. E non metter su un’usanza così scellerata d’entrar nelle botteghe e ne’ fondachi, a far espropri proletari.
A questo punto, l’oste, ch’era stato anche lui a sentire, andò verso l’altra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzi colse l’occasione, chiamò l’oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque l’acque fossero molto basse, avendo egli dimenticato nella fuga anche i ticket restaurant dell’amministrazione florentina; e, senza far altri discorsi, andò diritto all’uscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza, s’incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.


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CAPITOLO XXVIII

Lasciato in una parte sconosciuta d’una città si può dire sconosciuta, Renzi non sapeva neppure da che porta s’uscisse per andare ad Arezzo; e quando l’avesse saputo, non sapeva poi andare alla porta. Prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, saltando una ad una le buche nel selciato che il patto di stabilità non permetteva di riparare, galoppò un pezzo, senza saper dove. Quando gli parve d’essersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza. Ma anche qui c’era dell’imbroglio. Renzi dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, un po’ ricordando gli studi lombrosiani e un po’ riferendosi allo Sgalambro del Battiato anni ’80, prima di trovar la figura che gli paresse a proposito.


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CAPITOLO XXVII

Il sedicente Capitano Ultimo era, come ha detto l’oste, un digotto travestito, mandato in giro appunto per cogliere sul fatto qualcuno da potersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi, a notte affatto quieta, tipo irruzione alla Scuola Diaz, o il giorno dopo. Sentite quattro parole di quella predica di Renzi, colui gli aveva fatto subito assegnamento sopra; parendogli quello un reo buon uomo, proprio quel che ci voleva. Aveva tentato il colpo maestro di condurlo caldo caldo a San Vittore, come alla locanda più sicura della città; ma gli andò fallito, come avete visto. Poté però portare a casa la notizia sicura del nome, cognome e patria, oltre cent’altre belle notizie congetturali; dimodoché, quando l’oste capitò 1ì, a dir ciò che sapeva intorno a Renzi, ne sapevan già più di lui. Entrò nella solita stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto ad alloggiar da lui un forestiero, che non aveva mai voluto manifestare il suo nome né il possesso di una tessera del PD, come da discussione precedente a chi potesse votare alle primarie tra tesserati e non.


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CAPITOLO XXVI

Anche la sconosciuta guida non vedeva l’ora d’andarsene; eppure non voleva partire prima d’aver chiacchierato un altro poco con Renzi in particolare. – Eh! se comandassi io, – disse, – lo troverei il verso di fare andar le cose bene.
– Come vorreste fare? – domandò Renzi, guardandolo con due occhietti brillanti più del solito, lui che tien nello sguardo un che di lesso costante, e storcendo un po’ la bocca, come per star più attento.
– Come vorrei fare? – disse colui: – vorrei che ci fosse bamba e lexotan per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.
– Ah! così va bene, parole che posson essere accettate dall’elettorato moderato di sinistra, per quanto magari andrebbe centrata la campagna mediatica più sul versante del Lexotan, per non irritare i cattolici straightedge – disse Renzi.
– Ecco come farei. Distribuire eccitanti e narcotici in ragione delle bocche: perché c’è degl’ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a buon conto; e non son mica i “tossici” siddetti, intendete bene figliuolo, non quelli ch’uno direbbe in rota permanente, ma dico gl’imprenditori, la medioalta borghesia, quelli de “La Grande Bellezza” per capirci; e poi manca il tavor alla povera gente, che deve farsi esentar dal ticket ed elemosinar la sua pasticca. Dunque dividere. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche e delle narici, per andare a prender sostanze in farmacia. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Capitano Ultimo, di professione spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia bonza tanta, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle nari. A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per… il vostro nome?
– Matteo renzi, – disse il giovine.


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CAPITOLO XXV

Il nuovo compagno di cammino meneghino di Renzi, camminando, faceva al giovin sindaco, in aria di discorso, ora una, ora un’altra domanda. – Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?
– Vengo, – rispose Renzi, – fino, fino da Firenze.
– Fin da Firenze? Di Firenze siete? Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da’ vostri discorsi, ve n’hanno fatte delle grosse.
– Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po’ di politica, per non dire in pubblico i fatti miei, ovver che di buongoverno nulla mi può fregare, meno lo status, il potere, quel che diceva il Divo, insomma, in fondo; e beh, sì, diciamo anche l’eloquio, e l’arte del convincimento delle masse; ma la politica in sé, come arte civica, ma insomma a chi gliene fotte più, dacché è il millennio del Soldo; ma… basta, qualche giorno si saprà; e allora… Ma qui vedo un’insegna d’osteria; e, in fede mia, non ho voglia d’andar più lontano. Però, – soggiunse, – se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere.


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CAPITOLO XXIV

Tutt’a un tratto, all’estremità della folla, dalla parte opposta a quella dove stavano i soldati, era arrivato in autoblu (ma riverniciata di verde padano) Roberto Maroni.
Ne’ tumulti popolari c’è sempre un certo numero d’uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura. Anni addietro si diceva che quelli di Autonomia Operaia prima tiravano la molotov, ma poi a prender botte ci lasciavano te. Ci fu in seguito un Casarini che, in passamontagna, dichiarò “guerra ai grandi del mondo”, e ne morì un Ragazzo ad Alimonda, ma non morì affatto l’Agnoletto che il Casarini pascolava pe’l sacrifizio. Ma per contrappeso, c’è sempre anche un certo numero d’altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s’adoprano per produr l’effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senz’altro impulso che d’un pio e spontaneo orrore del sangue e de’ fatti atroci. Che so, quelli di Pax Christi.


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