PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXXIII
(questo capitolo fu iscritto a fin d’aprile, et per tempi editoriali sol ora giunge al lettore, il qual nel frattempo ne ha sentito in tivvù la versione apocrifa ma filologica del rocker Piero Pelù)

Quando Costanzo ebbe finito, e messo un lungo soffio, uno di quei biascicamenti suoi tipici, antitelevisivi se vogliamo eppur funzionali all’audience, diciamo un soffio coi baffi, un soffio che equivaleva a un punto fermo, – intendo benissimo, – disse il membro dell’Opus Dei, – quel che il fratello piduista vuol dire; ma prima di fare un passo…
– Ma un passo che non è punizione, no: un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune convenienza, per impedire i sinistri che potrebbero… mi sono spiegato. E, – continuava poi, alzandosi da sedere, ma pur restando basso, e pur ciccione – se posso qualche cosa, tanto io, come la mia famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini… che so, creare il personaggio d’una Novizia Chiara da render opinionista dei tronisti nei pomeriggi televisivi di mia moglie, diciamo una Suor Cristina dedita non a cantare ma a Cupido…
– Conosciamo per prova la bontà della casa, – disse l’uomo dell’Opus Dei – ma invece che a quei pezzari dei cappuccini, se proprio vuol far la grazia di una donazione, pensi piuttosto a Comunione e Liberazione, o all’Azione Cattolica.
– Tra buoni amici – disse Costanzo a chiosa – con due parole (in particolare con le parole “per taldeitali” scritte su una farcita busta di contanti) s’accomodano di gran cose.

Col colloquio che abbiam riferito, Costanzo riuscì a far andar Papa Francesco a piedi (e con scarpe appositamente bucate per far più pauperista) dal Vaticano a Eboli, che è una bella passeggiata.
Una sera, arriva in San Pietro un Cavaliere di Malta da Milano, con un plico. C’è dentro l’invito per Papa Francesco, di portarsi a Eboli, dove predicherà la quaresima.
Se fu un colpo per il nostro Bergoglio, lo lascio pensare a voi. Eboli per lui suonava fin troppo lussuosa, per una predicazione quaresimale. Più penitenza ancora avrebbe scelto, sarebbe andato a Scampia, o in un campo nomadi. Eboli tutto sommato è cittadina ridente e con vasta scelta di partite iva.
Renzi, Prestigiacoma, Emmabonina, gli vennero subito in mente; e esclamò, per dir così, dentro di sé: «oh Dio! cosa faranno que’ meschini, quando io non sarò più qui!» Ma alzò gli occhi al cielo, e s’accusò d’aver mancato di fiducia, d’essersi creduto necessario a qualche cosa. Mise le mani in croce sul petto, in segno d’ubbidienza, e chinò la testa, prese la sporta, vi ripose il breviario, il suo quaresimale, e il pane del perdono, s’allacciò la tonaca lisa, e prese la strada.

Abbiamo detto che Dell’Utri, intestato più che mai di venire a fine della sua bella impresa, s’era risoluto di cercare il soccorso d’un terribile uomo. Di costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo memoria in più d’un libro (libri di storia e libri complottisti, dico), essendo d’altronde egli anche solito allo scrivere componimente poetici, editi sui quotidiani di Trieste. Che il personaggio sia quel medesimo, l’identità de’ fatti non lascia luogo a dubitarne; ma per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore, o la tastiera, la mano dell’editor.
Fare ciò ch’era vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui e nell’affarismo capitalista globale, senz’altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto e addirittura venerato da tutti; tali erano state in ogni tempo le passioni principali di costui.
Giovine, e vivendo in città, non tralasciava occasione, anzi n’andava in cerca, d’aver che dire co’ più famosi delle varie libere professioni, d’attraversarli, per provarsi con loro, e farli stare a dovere, o tirarli a cercare la sua amicizia. Un istinto e un carisma lobbystico che potremmo dire innato. Superiore di ricchezze e di seguito alla più parte, e forse a tutti d’ardire e di costanza, ne ridusse molti a ritirarsi da ogni rivalità, molti ne conciò male (uno per tutti Calvi), molti n’ebbe amici; non già amici del pari, ma, come soltanto potevan piacere a lui, amici subordinati, che si riconoscessero suoi inferiori. Gente, per capirci, sotto il trentratreesimo grado. Nel fatto però, veniva anche lui a essere il faccendiere, lo strumento di tutti coloro: essi non mancavano di richiedere ne’ loro impegni l’opera d’un tanto ausiliario; per lui, tirarsene indietro sarebbe stato decadere dalla sua riputazione, mancare al suo assunto. Di maniera che, per conto suo, e per conto d’altri, tante ne fece che, non bastando né il nome, né il parentado, né gli amici, né la sua audacia a sostenerlo contro i bandi pubblici, e contro tante animosità potenti, dovette dar luogo, ed esser inquisito e condannato, esiliato in dorati domiciliari con giovine rumena al fianco.
Nell’assenza, non ruppe le pratiche, né tralasciò le corrispondenze con que’ suoi tali amici, i quali rimasero uniti con lui in loggia occulta di consigli atroci, e di cose funeste.

Finalmente (non si sa dopo quanto tempo), o fosse levato il bando, per qualche potente intercessione, o l’audacia di quell’uomo gli tenesse luogo d’immunità, si risolvette di tornare in regime di libertà, nonostante i sequestri di parte dei suoi beni attuati dalla magistratura, e vi tornò difatti.
Tutti i politici, gli imprenditori, gli editori, i medici e i militari, avevan dovuto, chi in un’occasione e chi in un’altra, scegliere tra l’amicizia e l’inimicizia di quel Gran Maestro straordinario. Capitava un suo messo a intimargli che abbandonasse la tale impresa, che cessasse di molestare il tal debitore, o cose simili: bisognava rispondere sì o no. Quando una parte, con un omaggio vassallesco, era andata a rimettere in lui un affare qualunque, l’altra parte si trovava a quella dura scelta, o di stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo nemico; il che equivaleva a esser rovinato.

Da un castellaccio di costui al palazzotto di Dell’Utri, non c’era più di sette miglia: e quest’ultimo gli s’era offerto e gli era divenuto amico, al modo di tutti gli altri, s’intende; gli aveva reso più d’un servizio; e n’aveva riportate ogni volta promesse di contraccambio e d’aiuto, in qualunque occasione, da Milano Due sino a Mediaset, per tutto l’excursus imprenditoriale della cricca arcoriana.
Una mattina, Dell’Utri uscì con una piccola scorta di bodyguard; Corona alla staffa, e quattro gorilla in coda; e s’avviò al castello del Venerabile Gelli.

(continua…)

(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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