Categoria: ‘Le INTRAVISTE di Apolide Sedentario’

0- INTRO

Venne Angelini in zona, ma ero in coma.
Gli avrei posto, essendo de La Setta pure lui, la stessa domanda che qui porgerò a Zoro.
Lo avrei intitolato “ANGELINI PHARMA”, e ci patii di bruciar la trovata.
Caos e Percaso vogliono però che giunga qui anche Zoro, il leader de La Setta in cui Angelini suona gli stacchetti e Makkox fa i fumetti.
Ho lavorato vent’anni a Frigidaire. Andrea Pazienza la spada la infilava purtroppo troppo spesso nelle vene. La satira estrema, quella che non porta introiti pubblicitari sulle reti televisive o social.
Sfido a duello Zoro.

Zoro - apolide sedentario - 2025


1- preambolo: PROPAGANDE E PROPAGAZIONI

Hanno fermato la Specie per due anni, su tutto il Pianeta. C’era la lebbra nera, il peggior virus mai esistito, dissero. Morì qualche virgola zeozerouno dei bipedi beoni, i quali si chiusero dentro i condomini cantando canzoni al balcone. Poi fuori come i balconi si recarono agli hub vaccinali per farsi testare in corpo soluzioni di informazioni ribonucleari con grafeni.
Propaganda: il modo con cui si diffondono modelli di comportamento e pensiero. La propaganda dei nazi, e poi quella del siero.
Ogni canale televisivo per due anni costretto o colluso a imporre la puntura. In particolare i canali sinistrorsi, fedeli alla soldoscienza governata dal Capitale che fu Male Assoluto ma poi divenne il più desiderato tra i “valori”.
Zoro e la sua trasmissione si accodarono sfottendo chi difendeva il proprio corpo dagli aghi infetti degli zanzaroni.


2- INTRAVISTA ESCLUSIVA TRA ZORO E APOLIDE SEDENTARIO

Zoro sta al tavolo della pizzeria prima della presentazione di un libro a cui presenzia.
Mi avvicino notes e penna in mano.

APOLIDE SEDENTARIO:
“Sono Apolide Sedentario di turistipercasopuntoorg…”

ZORO:
“Ah… Scusa pensavo mi stessi per chiedere cosa volevo…”

A. S.:
“No, non sono il cameriere, anche se una volta avevo urlato CAMMARIERE AL TAVOLOOOO a Sergio Cammarriere…”

ZORO:
“Sì scusa dimmi pure…”

A. S.:
“Volevo chiederlo un mese fa a Angelini Pharma ma poi non ero stato bene, e allora lo chiedo a te…”

ZORO:
“Ok, anche se non capisco cosa posso entrarci con Angelini Pharma…”

A. S.:
“Z for ZORO, V for VACCINO?”

ZORO:
“Non ho capito la domanda…”

A. S.:
“La domanda è: Z for ZORO, V for VACCINO?”

ZORO:
“… Io vaccini ne ho fatti tre, e ho fatto due covid… cioè forse ne ho fatti due e due covid… no, tre e due covid…”

A. S.:
“Ok, se non hai niente da aggiungere per me va bene anche così. Ti dico solo ancora che mi sono laureato nel 1997 con una tesi sulla propagazione di malattie tramite mass media, e a quanto pare quella tesi è stata ampiamente accolta dal Potere, esattamente come 1984”

ZORO:
“… Bravo, bisogna sempre studiare …”



3- CHIOSA

Pur senza essere “stutiato”, bisognabbe arrivarci che se hai calato due, tre o quanti antidoti a un veleno, e poi esso ti avvelena, ti han fregato.
Anche se tutto questo non sarà mai postato in un social, mai proiettato allo studio de La Setta, mai condiviso, mai visualizzato.
Chi di incursione con telecamerina ferisce in format mediatico, semplicemente in forma non conforme ai trend vigenti viene a sua volta colto di sorpresa e intravistato.
Don Diego de la Brionvega può saltar sul cavallo, dà una speronata, e non spreca neppure la sua Zeta per marchiare il malcapitato.



(c) apolide sedentario 2025
DOWN DOW FOREVER


0 – INTRO

Vado via?
Come vorrei… Ché non ci ho più nulla a che fare, io che ho fondato la mia causa sul Nulla, con questo nulla minuscolo, miserrimo, che è il millennio dei giga.
Ho intravistato Giganti (Enrico Maria Papes), ho visto cose che voi profili social nemmeno lagrimando nella pioggia…
E da bambino ho ascoltato analogie anziché campionamenti, timbriche e non TimMusic.
Drupi graffiava i microfoni. Con quei capelli da film con il Monnezza, e quella faccia da schiaffi.
Veniva voglia di esser come lui, con quel sorriso sornione, gestendo magistralmente la canzone. Fammi volare, Drupi, senza Red Bull. Cantala ancora, Giampiero.



1 – REGALAMI UNA RISATA CHE LI SEPPELLIRA’

Giungo al Teatro Ambra a ora di pranzo. Il concerto di Drupi, data del tour nazionale, è al pomeriggio: le prove dovrebbero stare in quell’orario.
Infatti la band è al soundcièc, e a smanettare i cavi, i jack, le spie, c’è l’ormai noto a tutti Mazzipunk. Gli dico che la tastiera non si sente. Mi dice “Apolide, dacci il tempo adatto, poi vedrai che si sente”. Mazzipunk è altamente competente. E non competitivo. Anzi, è il migliore dei complici. Mi dice che Drupi arriverà più tardi.
Più tardi non posso: son ridotto all’osso da un periodaccio dei miei. Però potrei tentar dopo il concerto… E m’organizzo… Che non c’entra con Morgan, ma con Drupi sì, cazzo…
Una cumpara mi dice che m’appoggia nell’accerchiamento all’uscita del cancello del backstage del Teatro, nella sera inoltrata. La band sta uscendo: hanno appena finito.
Drupi non c’è. Fuori Target. Come il suo album del 2007.
Ma l’accerchiamento è stretto, ed individuo un ben noto individuo della zona che suole far da patron e da patrone in ogni situazione pseudoartistica che si svolga in città. Più volte si è ingelosito io parlassi con chi, smargiasso, vuole da trofeo come esclusività.
Mi ci avvicino, fingendo distrazione. Lui sta parlando di Drupi con persone. E sento “Sutta ca’”.
In Lingua Ligure, l’espressione usata indica un luogo fisico. Ma so trattarsi anche dell’insegna di un luogo di ristorazione.
So dov’è Drupi.
Appostamento. Missione sta compiendosi. Davanti al ristorante. Entra la band. Il management. Il manager getta l’occhio, la cumpara approfitta: “Scusa, ciao, Drupi è dentro a mangiare?”. Il manager se la canta, non con il timbro di Drupi, inimitabile: “No, ma arriva tra poco”.
Pochissimo dopo, dopo un’intera giornata ad appostarsi, siamo a posto: presentazione, intravista.



2 – INTRAVISTA ESCLUSIVA TRA DRUPI E APOLIDE SEDENTARIO


APOLIDE SEDENTARIO:
“Ero piccolo e fragile, ma volevo essere un duro. Allora mi feci crescere i capelli come te. Ma sereno è solo quando non ci sono le scie…”

DRUPI:
“Un artista! Complimenti!”

APOLIDE SEDENTARIO:
“La prendo come risposta, a una non domanda in effetti. E ti volevo anche regalare una canzone, non iscritta alla Siae: si intitola Mi Sveglio Con Un Vaffanculo, su questo biglietto c’è il modo di trovarla, quando la scrissi come maRino Gaetano pensai che con la tua voce era perfetta.”

DRUPI:
“Davvero? Allora la ascolterò”.

Nel dire “Un artista!”, Drupi si volge al cerchio degli astanti (un ameroinglese, il manager, qualcuno degli organizzatori del concerto, ed il patron patrone, irritatissimo) come a dire “ma avete sentito questo cosa dice?” ridacchiando con l’aria di chi sa. Acchiappa al volo che non sto “domandando” bensì stimolando neuroni. E non può che associare questo all’Arte. Lui che, artigiano prestato alla canzone, sa percepirla all’olfatto cerebrale. E grida e vive e ama. Come nell’album del ’79.




3 – CHIOSA

Il cielo non è sempre più blu. E’ sempre più un foglio quadrettato, un intersecare di linee e di cursori che le disegnano mentre altri insegnano che c’è un cambiamento nel clima. Un cambiamento indotto. Per un colossale indotto di acciecati da schermi teleguidati, sguardi paralizzati sul Big Brother che non sanno più alzarsi verso il cielo.
Cielo duro, ma nel senso di metalli pesanti, per alterare il meteo. Bombe di guerre mondiali. Bombe d’acqua.
Drupi sereno è. Ridanciano. Verace.
Veniamo da un secolo scorso. Prima di questo, scorsoio.




(c) apolide sedentario 2025
fencs to Mazzipunk e Cinema Teatro Ambra
DOWN DOW FOREVER

0- INTRO

Avevo tredici anni, I was thirteen, and I became crezy – gli dico a Matt d’acchito – davanti al video di “Whose Side Are You On?”.
Era una band di smooth jazz, bossa, samba, ed elettronica su temi ironicamente anni quaranta.
Tanta roba, raffinatezza becera, seria ironia, teatro: una spy story jazz fuori dal sound Ottanta, un’onirica Old Wave.
Comprai dalla camorra di Via Pré le musicassette pirata dei due album dell’84 e dell’86. Acquisto da bassifondi, in pendant pieno con la copertina dell’album.

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0- INTRO

My guitar gently wheeps, e Apolide Sedentario piange dolcemente (eutanasicamente) con lei, da quando una arma geddon loggistica ha minato il suo corpo, e il Sistema Sanitario Nazi (o nale) il suo sistema neurale.
NeoLugano della Neolingua Addio, canto strimpellandola. L’anarchico va via.
Ma prima di lasciare questo immondo, uno dei figli di Ivan Graziani è ospite al SU LA TESTA Festival di Albenga, annuale occasione per ricordare ancora quelle luci di quando le signore bionde dei ciliegi avevano un occhio di riguardo per il loro chi t’attizza.


1- ECCO ARRIVA IL LUPO – intravista esclusiva di Apolide Sedentario con FILIPPO GRAZIANI

Aspetto spellacchiato nel Teatro. Sono un ferino ferito.
Pensavo di nemmeno poter esserci, per condizioni fisiche al disastro dopo avvelenamenti aggravatissimi per mano di Confraternita dei Medici detta anche Loggia.
A noi “senza grembiule” né cravatte, né compassati né tantomen squadristi, senza griffes, senza aspetto da conformi al Nuovo Ordine Capitale, non solo non ci curano: ci ammazzano.
Ho la pellaccia dura, sono un cagnaccio selvatico. E’ che sotto la cute c’è tutt’altro che salute, al momento.
Ivan era invece un Lupo del Gran Sasso, abituato agli orsi come me.
Ed ha cresciuto figli non domestici, caos mai salaprovestici.

Filippo Graziani è un lupo a folto pelo. Cappello e barbona a travisare il viso. Aria da individualista refrattario.
Andò a Sanremo dieci anni esatti fa, con questo atteggiamento da selvatico, cantando “Le Cose Belle” col curaro (di cure al veleno parlando io nell’incipit…).
Ovvio lo esclusero, gli embrioni inclusivisti: non s’era mai visto a Sanremo chi esordisse con “Io non mi devo giustificare” nel suo testo. Chi insomma usasse la testa. Testa su.
Io lo applaudii davanti al teleschermo. Glielo confesso, e lui: “Eri tu allora!”. Come per dire “nel gelo dei presenti, avevo sentito un tizio che applaudiva, uno soltanto, e adesso so eri tu…”.

Per sottolineare che considero il repertorio autoriale di Filippo in gran coerenza col pur irraggiungibile patrimonio paterno, preannuncio così l’intravista:
“Filippo, non ci dobbiamo giustificare, e comunque io sono Marino Ramingo Giusti, quindi il problema è risolto già in partenza”.

Filippo prova a inquadrarmi, ma son tondo. E prova a tondeggiarmi, ma son quadro.
Meglio passare al confronto, che si rivela quasi pure scontro, perché Filippo Graziani tiene alquanto a tener fuori il padre da tenzoni faziose di politica (nonostante la vena libertaria che accomuna Apolide e Ivan non sia affatto “appartenenza”: piuttosto “a parte” nenza, fuor dalla giostra destrosinistra noiosa e viziosissima).


APOLIDE SEDENTARIO:
L’elettore si lamenta, probabilmente vuole un’altra botta in testa ora?
E poi cantiamo Lugano Addio mentre la mano ci teniamo, o tagliamo la testa al gallo se ci legifera sulla schiena?

FILIPPO GRAZIANI:
La gente mette nelle canzoni di papà quello che vuole. Ma non bisogna vederci strizzate d’occhio politiche, che non ci sono.
Lugano Addio è una canzone d’amore, papà mi diceva che non c’erano metafore, il testo parlava proprio letteralmente della ragazza descritta, e di quello che si dicevano. Una canzone d’amore.
Ti dico questo con quel che io so dalla bocca di mio papà.

APOLIDE SEDENTARIO:
In pratica mi dici che a differenza de “I Miei Sogni D’Anarchia” di Rino Gaetano, in cui l’amata è l’Anarchia anche se sembra si parli di una donna, qui la donna è concreta [e tralascio di dire che è però anche concretamente Anarchica, cantando Addio Lugano Bella e parlando del padre che in montagna ha combattuto… NdR]
E’ comunque verissimo e lampante che le canzoni di tuo padre siano prima di tutto racconti. Bellissimi racconti.

FILIPPO GRAZIANI:
Ecco, bravo: racconti. Senza intenzioni politiche. Questo anzi gli costò molto in quegli anni, non essendo visto come appartenente alle fazioni. Faccio per dire: Fellini ambienta Amarcord nel Ventennio, ma è un racconto, il Ventennio è una cornice.
Alla base di tutto c’è l’interesse di papà non per la politica, ma per il sociale. L’interesse di papà per l’essere umano. Volergli dare un taglio politico è riduttivo.
All’epoca invece si schieravano tutti. E anche i cantautori di adesso si schierano…

APOLIDE SEDENTARIO:
… con il vuoto cosmico!

E a questo mio terminargli la frase leggendone il finale nello sguardo, Filippo ride: “Sì, così, perfetto!“.

Poi lo lascio a seguire le incombenze (cena, albergo, scaletta, e soprattutto il piccolo Graziani con tutti gli occhi di riguardo che necessita essendo nato appena un anno fa…), pur rammaricato che forse possa avermi interpretato sinistro, intento a porre bandiera sopra l’opera del padre suo Vate della Vita, senza comprendere come l’attenzione per “l’essere umano”, e il raccontarne gli aspetti più veraci, più scomodi, carnali, imbarazzanti, sia forma di individualismo libertario di eccelso livello, puro come Dada, come i riff di chitarra.
Ma quando ripassa davanti al vecchio Apolide tiene a risalutarlo. Lupo con lupo, denti in fuori, crudo, condito con un “Ciao, in gamba!”, a cui rispondo con stretta sulla spalla e un “grazie” hippie che sa di selvaggina.
Il mio Gran Sasso, la mia Maiella, gli Elfi di Teramo, gli anni di Filippo adolescente…

Stasera non è sera di vedere niente.
Non c’è più niente, solo Neolingua ed omologazione.
E c’è da scrivere il pezzo, caro il mio Filippo, cantante in filosofia, con un padre da amare in due, in una Comune con me e te: di tempo ce n’è, fottuto di malinconia…


2- CHIOSA: VI RACCONTO DI QUELLO CHE LA GENTE DICE DI ME, CON MALIZIA ED ALLERGIA

Ogni Festival, anche quelli a testa bassa, esiste per le maestranze.
Fonici, scenografi, facchini, tecnici luci, elettricisti, maschere.
Su la testa, giù la maschera: si invecchia.
Ci vediamo da decenni, con costoro che si sbattono all’ombra delle quinte.
Uno di loro mi dice “E’ come Natale, quando ogni anno ti vedo, ormai è come se fossi un mio parente”.
Gli dico: “Lo scriverò, grazie, è importante”.
Mi malsopportano tutti, a questo immondo. Ma alcuni poi sotto sotto si affezionano. E sotto sotto la scorza da cagnaccio, se non di lupo abruzzese, pure io tengo un cuore, e pure grande. E sentir dai “ragazzi” dello Zoo, dai tecnici, dalla gente attorno all’Ambra, che rivedermi nonostante i danni che vecchiaia e pollaio (pardon, Loggia) mi hanno recato così gravemente è per loro una gioia, mi commuove.
Per questo canto una canzone triste, ma d’amore.



(c) apolide sedentario 2024
DOWN DOW FOREVER – 94 – NON E’ COLPA D’ALFREDO – MAKE L’UOV NOT TUORL
si ringraziano i “ragazzi” dell’Associazione ZOO, il Teatro Ambra di Albenga, Mazzipunk e Adal

sulatesta festival 2024- FILIPPO GRAZIANI - apolide sedentario per turistipercasopuntoorg

INTRO

Ci sono ancora posti dove la pavimentazione della Piazza su cui insistono la Chiesa del Paese e il ritrovo dei mangiapreti è solo prato.
In uno di questi luoghi ameni, a meno che non arrivi in tempo per le pene della mia schiena in strazio di dolori, infortunata per cavar patate e per patate farcire, è atteso stasera Neri Marcoré.
Attore, musico e comico, il buon Neri. Comico che io proceda sofferente per il mal di schiena invadente e possa intimorire, reggendomi appena in piedi, ma noto lo staff in allerta a questo incedere mio sì sofferente. Pensano che m’imbuchi? Che mi buchi? Che chieda questue come finto zoppo? Vedo però anche una bella zingarella con gonnellona a colori sorridente che par guardarmi come quel che sono: un poco di buono, sì, ma come I Corvi. E’ la violoncellista che stasera accompagnerà Marcoré. Il quale mi parlerà di uccelli neri a lor volta, come i corvi. Neri. Anvedi. Ma questo ce lo teniamo per la chiosa.


INTRAVISTA ESCLUSIVA A NERI MARCORE’

Marcoré giunge con chitarra in spalla giù dal caruggio sotto il gran castello che domina la scena, pietra atavica, di quella pre-capitalista, che non crolla.
Crollata invece è più di una mia vertebra, ma devo raggiungerlo prima che lo staff (che mi ha seccamente annunciato “non ha tempo, Neri, questa sera, e ha detto chiaro che non dàinterviste”) lo metta sotto blindata protezione, dal nulla ovviamente.
Lo raggiungo con passo dolorante, lui mi stringe la mano e si presenta, così faccio anch’io, e specifico che intendo porgli una sola domanda.
“Faccio le prove e molto volentieri ti rispondo” mi dice Neri.
Posso così rilassare nell’attesa la vertebra lombare e cervicale e quella dolente: la provocazionale.
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0- INTRO

Tre anni dopo il sanitarismo distopico e la proibizione un po’ Scialpiana (Rockin’rolling nel silenzio che c’è…) di ogni aggregazione sociale ed artistica, con poi il mengeliano codazzo di accessi possibili a teatri e concerti per i soli possessori di inserto genico a mRna, torna al Teatro Ambra di Albenga sopravvissuto alle ennesime difficoltà, e per mano dell’Associazione Culturale Zoo, anch’essa sopravvissuta prima di tutto fisicamente nei corpi dei suoi tanti volonterosi volontari e poi anche mentalmente non avendo perso la voglia di sbattersi, il “SU LA TESTA FESTIVAL”, rassegna di cantautori nell’anno dello “sbatti il Cospito in prima pagina”.
Star dell’edizione è Dolcenera, che prende il nome dalla canzone di De André sull’alluvione di Ge No Va, Fabrizio del quale sappiamo bene l’appartenenza all’Anarchismo.
Il quadro si cerchia, insomma. Contariamente alla banalità della visione consueta. Ostinatamente, quindi, torna SU LA TESTA e torna Apolide Sedentario, ennesima ondata di sarcasmo virale.



1 – INTRAVISTA ESCLUSIVA CON DOLCENERA

Dolcenera arriva puntualissima e balza subito al pianoforte del palco per il saundcièc.
Miagola richieste tecniche al fonico ormai monumentale Mazzipunk per il bilanciamento delle spie, ma intanto anche ruggisce vocalmente con spunti dai suoi brani, suonati e cantati con impeto e trasporto che nulla hanno di “prova” e molto di “espressione”. Una musicista vera, che vedendo il pianoforte a coda non può tener ferme le dita, e una cantante onestamente assai rispettabile, capace di infinite sfumature dell’emissione vocale, dal ringhio al sussurro, dall’acuto al soffocato. Mazzipunk stesso le dice “è che tu hai voce, a differenza di tanti altri”.

La appropinquo, e non è entusiasta di un’intervista non programmata. Che infatti non le propongo. Io intravisto.
E’ una sola domanda, le dico. E che domanda. Non ha nemmeno l’interrogazione…

APOLIDE SEDENTARIO:
“Un giorno un ordine mondiale ha detto: qualunque cosa accada, non esci più di casa”.

Dolcenera scoppia in una grassissima risata, lei così scricciola e magra. Grassissima e lunghissima, lei così invece piccina. Ride, ride, ridevolissimamente ride.

APOLIDE SEDENTARIO:
“Per me può andar bene come risposta anche che hai riso”.

DOLCENERA:
“Ma quando fai queste domande agli altri non ridono?”

APOLIDE SEDENTARIO:
“Ridono tutti, di solito. E che ridi è comunque un inizio già apprezzabile, e anche una risposta validissima”

DOLCENERA:
“Allora per risponderti a parole: non ci credo, perché l’ordine mondiale se avesse un ordine non sarebbe così disordinato.
E se una cosa la fanno tutti non è più segreta.
Comunque preferisco che si esca di casa e ci vediamo a casa.”

Ancora ridacchiando in pimpantezza, mi dà una carezza al braccio, e non ha più tutta la fretta iniziale, anzi abbiamo ormai un tono colloquiale, e ci divertiamo a distinguere gli Artisti tra coloro che vedono il confronto come divertimento intellettuale e quelli snob.
Pensavano in molti, e un poco pure io, che snob fosse lei. Lietamente annotiamo sia piuttosto un’adrenalinica eterna ragazzina. Firma pure gli autografi, cordiale.
Arriva pure a rilasciarmi un parere – in napoletano ferino – su una ferita (aperta?) del passato che, vista la colloquialità, le ho ricordato, e che non riporto qui, ché è personale, e io – provocatore sì – ma ho sempre l’Etica, diversamente da chi sta a “vaccinare”.
Mai più noi due, probabilmente, Dolcenera. Ma bell’incontro, stasera.



2- INTRAVISTA ESCLUSIVA CON GIANMARIA SIMON

Gianmaria Simon è cantautore indipendente, con personale immediata simpatia e un genere musicale folkeggiante, che preparando l’intrusione al Festival ho ingenuamente male interpretato come “rosso”.
Posso sbagliare anch’io, ma se in dettagli trovo qualcosa che mi dia una smossa all’attenzione critica, allora mi concentro e mi ravvedo. E vedo che in un testo, parlando peraltro di “odio consapevole” (concetto di cui lo ringrazio), cita Sante Caserio (“Odio la guerra, ma amo Sante Caserio che pugnala il Presidente”).
Proprio encomiabile ricordare Sante. Ma Sante lo deve citare chi si sente in assonanza con il suo Ideale. E avendolo interpretato come “rosso”, son mosso a porgli la contraddizione.

APOLIDE SEDENTARIO:
“Ma perché voi comunisti dovete sempre citare gli Anarchici?”

GIANMARIA SIMON:
“Ma io non sono comunista. Io abitavo a Sarzana, dove c’era il Battaglion Lucetti, e andavo sempre nel bosco col cane dove c’era il cippo di Nerone Camarasa, Partigiano morto nel 1945”.

Ecco dunque perché ha scritto un brano dedicato a un Partigiano, nulla a che a fare con quelle produzioni commerciali di band e autori che marciano retorici ed infami sulle Rivoluzioni altrui.
Mi scuso del qui pro quo, e tedio un po’ con la mia logorrea Gianmaria e i suoi musicisti, libertari ed artisti.

“Su la testa”, per gli organizzatori, mi dicono un poco tutti quando al ritrovo dopo ben tre anni chiedo loro che cosa li abbia spinti a riprovarci ancora, è “un modo per conoscere gli Artisti, e questo ripaga le fatiche aggratis e il tempo che ci si mette”.
Piacere di conoscerci, Sarzanesi dei monti di Lucetti.



3 – CHIOSA (A SORPRESA, SENZA CHIEDERE SCUSA)

Vi hanno vaccinato per il Teatro.
Perché non possiate più trarne visioni.
Scambiando Carmelo Bene con “star Buoni”, e la Crudeltà di Artaud col pesce crudo.
Su la testa, chi la ha, o anche senz’acca, come ormai scrivono pure i laureati. Su la testa chi la A, ma A cerchiata.



(c) apolide sedentario 2023
DOWN DOW FOREVER – 34 – NON E’ COLPA D’ALFREDO – MAKE L’UOV NOT TUORL
si ringraziano i “ragazzi” dell’Associazione ZOO e Mazzipunk


sulatesta2023-dolcenera-gianmariasimon

Apolide Sedentario cela una identità (ma non identificabile, altro che ufo) da Dottore l’aura&ato, titolo ottenuto nella “vecchia” Università, prima del 3×2 anni 2000, quando invece si breve-laureò tal Diego Fusaro da Torino.
Ricordo Tony Fusaro e il Wrestling arcaico degli Antonio Inochi: filosofiche metafore dell’Era del Falso che oggi orwellianamente è diventata addirittura Regime Autoritario Globbale.
Un Fusaro minore, ma altrettanto televisivo, va nell’entroterra Ingauno a presentare (in un edificio di evidentssima fattura massonica, “spacciato” come centro multifunzionale ed in realtà Templio delle locali s-Logge, con grandi triangoli equilateri a reggere la volta e far triade con l’ampio finestrone al centro e sopra di due ordini decorativi fondati su due numeri primi) un suo libro sull’ “identità”.
Apolide Sedentario proprio sul tema filosofico-sociale-politico dell'”identità” si l’aura&ò, quindi ritiene lecito interrompere (mentre Fusaro parla di “non costruire muri sui confini e avere dialogo”) dopo 45 minuti di prolusione solipsistica del Professorino (minuti nei quali costui tocca anche concetti credibili accademicamente, alternati a pallosissimi inserti di erudizione da Liceo Classico).
Apolide vorrebbe semplicemente porre due domante: 1) Come si coniuga l’anticapitalismo di Fusaro con l’avere un agente letterario; 2) Fusaro parla di identità individuale e la contrappone a quella culturale (collettiva, direi io), ma perché non parliamo anche di Identificazione (che tanto incorre nell’identità collettiva di qualsiasi tipo)?
Apolide Sedentario non riesce che ad accennare le prime parole, e subito un tizio assai benvestito e ipermascherinizzato lo spintona affinché si sieda e stia zitto. Sino poi a fine serata scortar fuori il Fusaro stesso, rivelandosi rappresentante in borghese (e un po’ in borghezio pure) delle italiche forzarmate, le quali palesemente in un paesino di provincia in una inutile sera estiva SCORTANO FUSARO, manco fosse un Saviano malriuscito, o un ministro dell’OMS (pardon, della Repubblica).
Ma Fusaro non era un dissidente? Le forze armate scortano i dissidenti? O non sono dissidenti, bensì agenti del Bispensiero?


(c) apolide sedentario 2021
DOWN DOW FOREVER – 34 – against global reclusion and pharmacologic inoculation
STUPIDI CANI CON LA MUSERUOLA CHE SI CREDONO LUPI

1. INTRO

Secondo il Professor Scoglio non esisteva Ge No Va ma Genoa. Città di mare totalmente rossoblu.
Secondo l’Archivista ci siamo Rimasti in così tanti che l’Archivio ha finito le biciclette a pedalata inacidita.
Secondo un Conte non nobile, il suo stesso ruolo è quello notarile di Avvocato del Popolo.
Secondo me Enrique Balbontin ci è Rimasto, ma siccome è anche Avvocato pedavéro (insciusériu), e siccome pure egli è Genoano puro, lo investo (visto che tamponarlo è inflazionato) del titolo Franchigeno (nel senso di Scoglio appunto) di Avvocato del Popolo della città di Genoa.



1. INTRAVISTA ESCLUSIVA E AD CIOLLAM CON ENRIQUE BALBONTIN

Voglio domandare a Balbontin:
“TI FACCIO UNA DOMANDA AD MINCHIAM, ANZI PER MEGLIO DIRE AD CIOLLAM: MA SECONDO TE BREZIOSO DOVREBBE IMPARARE DA SPERANZA PER FARE PLUSAVLENZE SUI MORTI DI SONNO CHE ACQUISTA, FACENDO IL BULICCIO CON IL CULO DEGLI ALTRI?”

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0. INTRO

C’è una tale alluvione di reggetontrapcantautistici che vengono giù i viadotti, perché il battito d’alito di una dichiarazione fallace scatena tempeste al lato opposto del globo, a meno che non sia piatto, e allora lo struzzo-icona del Festival SU LA TESTA di Albenga ficcando il cranio nel suolo uscirebbe dal lato opposto del disco, che possiamo qui supporre essere in vinile.
In effetti c’è un vinile appoggiato sui sedili del finalmente stabilmente operativo (dopo decenni di discussione politica su se tenerlo vivo – unico palco teatrale della città – o se risparmiare i soldi e investirli in qualche milionata di giga) Cinema Teatro Ambra di Albenga, mentre per intravistare come ormai tradizione mi reco al saundciec.
Ma non c’è lo struzzo. C’è lo stronzo (io). E ci sarebbero pure gli stronzetti, ovvero quei “cantautori” di nuova generazione che stanno un po’ tutti tra Bersani (il cantante) e Silvestri (il megafono), con quella satirella borghesella parlando male del che va male tutto, pur essendo in panciolle dentro al tutto a funzionare sincroni col tutto.
Ci sarebbero, dicevo, ma non ci sono perché il programma li ammucchia in altre date (in cui per esser sinceri mi vien detto che almeno dal vivo sono stati ottimi), e io mi presento a quella più a me consona, in cui suonerà la band di Alberto Bertoli, figlio di tanto padre a muso duro.



1. LAUZI AD ANACAPRI – INTRAVISTA ESCLUSIVA A GIULIA MEI

Prima di Bertoli prova Giulia Mei. Costei è una siculina assai piccina assai carina assai pur caratterina che accompagnata dalla tastierina e da una trinacriale simpatia compone brani leggeri ma sinceri, e dentro quella botte piccolina ci sta ancora acerbo un potenzial buon vino.
Mi autoconvinco erronamente (alza i mer, apolide) di averne letto il nome tra i premiati del Premio Bindi per i cantautori, e conoscendone il mentore decido di intravistarla.
Tranne poi scoprire che trattavasi invece di vincitrice del Premio Lauzi (che laupsus, apolide), e che codesto si tiene ad Anacapri. Ad Anacapri? Ma come a Anacapri? Tenco a Sanremo, Lauzi a Anacapri, e a Genova il Bigo e l’ano di Piano?
Detto ciò, Giulia mi dirà poi che a Anacapri trattano splendidamente gli ospiti, e le credo, e chiedo cittadinanza onoraria, purché si ridenominino Anarcaproni e io ne sia il più testardo rappresentante.
Studiando il programma del Su La Testa Festival, avevo scorso qualcosa sulla rete, e avevo abboccato a un passaggio di un suo testo in cui Giulia sostiene che allorquando i “negri invasori” arrivano in barcone colui che li detesta non vorrebbe condividere con loro la “stessa libertà”.
So che la Mei voleva nel suo testo prendere etica parte per le leggi di base degli esseri umani (ormai estinti, si sa, tranne quei quattro balordi che percaso ancor si trovano qua), ma la sua frase mi provoca la domanda che difatti le sottopongo (carina lei piccina che sembra non scherzo davvero una bambina, acqua e sapone e cadenza siciliana, fai buona vita Giulia).

APOLIDE SEDENTARIO:
La stessa libertà del popolo della stessa non mi interessa, anzi la disprezzo. Se non te l’avessi detto avrebbe fatto lo stesso?

GIULIA MEI:
In primo luogo sticazzi.
In secondo luogo sono quasi d’accordo con te.
E’ una libertà finta, non mi ci rivedo.
Io però nelle mie canzoni parlo di vita vissuta, non faccio canzoni di impegno o schieramento. Anche se poi affronto quei temi mentre parlo di sentimenti.
Di quella Libertà che invece mi interessa, non ci raccontano molto…

Viva i vent’anni, Giulia, folli come dici tu. Viva la Libertà. Viva Forever. Forever young.
“Non ti raccontano molto”, hai tutte le ragioni. Qualcosa ti ho raccontato almeno io. Intravedendoci.



2. SPUNTA LA LUNA DAL MONTE E NON E’ LA SPUNTA DI UOTSAP – INTRAVISTA ESCLUSIVA A ALBERTO BERTOLI

Alberto Bertoli è il figlio di Pierangelo Bertoli, a muso duro mentre il vento soffia e fa volare più veloce di Achille e della tartaruga la carrozzina.
Figlio di tanto personaggio storico, come cantautore porta avanti se non lo spessore filosofico del padre, ma almeno il clima musicale folk-country-emiliano e la apprezzabilissima timbrica vocale. Per lo “spessore” che dicevamo si appoggia alle cover del cotanto padre. Ma se di cotanto padre padre sei figlio, mi vien da – intravistandolo – far leva proprio sulla necessità di esserne consapevoli. Da cui la mia domanda per lui, al fulmicotone.

APOLIDE SEDENTARIO:
Eppure so… E tu?

ALBERTO BERTOLI:
Io non lo so se so.
In realtà non credo.
Sempre meglio dire (è Eraclito che lo dice? ah no, dice il chitarrista che è Socrate, di Eraclito parlavo ieri sera e faccio confusione): So Di Non Sapere.
Ma nonostante tutto qualcosa è rimasto da sapere, e per esempio riguardo alla situazione politica attuale SO CHE NON SI FA COSI’.
Deve esistere ancora un cuore, non che in base ai voti e ai like (che ormai è un po’ la stessa cosa) si sacrifichi quello che è l’Umanesimo.



3. CHIOSA: ZERO PESCE NELLA RETE, PERCASO NESSUNO ABBOCCA

Ne parliamo anche con Mazzipunk, immarcescibile fonico sovrano non sovranista e soprano non sopranista della Riviera, di come tra quando eravamo gggiovani (Avanti Feisbuc) e oggi tutto faccia vomitare tarzanelli irranciditi.
Agganciandomi all’ultima frase di Bertoli, trascrivo e sottoscrivo il suo appello umanistico in un sito che HA VENT’ANNI TRA VENTI GIORNI e non ha mai avuto “i like” (e neanche i banner, i link e i pop-up) e non ha mai votato.
Getta la tua Rete, diventa Intelligente Naturale, buone pesche ci saranno.

apolide sedentario - alberto bertoli - giulia mei - su la testa festival 2019

(c) apolide sedentario 2019
DOWN DOW FOREVER
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MENZIONE DONO (RE):
Apolide Sedentario consegna a Giacomo Toni e alla 900 BAND (in realtà ora mi dicono lor stessi ridenominata “I Figli di Puttana”) la Targa Saundchespacca, perché non se li era cagati nella preparazione delle intraviste, ma appena iniziano il soundcheck con una smazzata di piano sguaiatamente rock’n’roll e poi partono a tutti fiati e basso e batteria delizionamente stridentemente punk mi fan rimembrare addirittura gli Archibeshop Kebab, e insomma questi suonano che ci danno qazzz!


grazie per l’ospitalità all’Associazione Culturale ZOO e al Teatro Ambra di Albenga (SV)

1. INTRO

Il Velo di Maya tagliato (senza fontana) e la testa che spunta fuori come cranio neonatale da vagina.
Il Teatro di Antonio Rezza.
Spesso, come me, e tanti altri dal 69 in poi (e vai di kamasutra). A torso nudo. Senza veli di maya e come dice lui non per talento ma per noja.
Non posso non andare a intravistarlo, il maEstro(so) Rezza. Rassegna teatrale “Terreni Creativi”, all’Ortofrutticola di Albenga(chinoncihadafarenoncivenga). Cavoli!

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