PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXXIV

Il castello del Gran Maestro Licio era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, come un Adolf dal suo chalet austriaco, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto.


Appiè del poggio, all’imboccatura dell’erto e tortuoso sentiero, c’era un night. Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l’uscio, era dipinto da tutt’e due le parti un sole raggiante, illuminista; la voce pubblica chiamava quel lupanare che col nome della Malanotte.
Al rumore d’un Suv che s’avvicinava, comparve al cancello un ragazzaccio, armato come un talebano; e data un’occhiata, entrò ad informare tre sgherri. Colui che pareva il capo s’alzò, s’affacciò all’uscio, e, riconosciuto un amico del suo padrone, lo salutò rispettosamente: “Bacio le mani”. Dell’Utri, resogli con molto garbo il saluto, domandò se il signore si trovasse al castello; e gli venne risposto da quel caporalaccio di sì, e che stava stendendo il grembiulino e riponendo il compasso nell’astuccio.

Dell’Utri, col Corona, che aveva dovuto consegnare macchina fotografica e teleobiettivo, cominciò a piedi la salita. Un altro bravaccio dell’innominato, che saliva, raggiunse poco dopo don Marcello; lo guardò, lo riconobbe, e s’accompagnò con lui; e gli risparmiò così la noia di dire il suo nome, e di rendere altro conto di sé a quant’altri avrebbe incontrati, che non lo conoscessero. Arrivato al castello, dopo avere alquanto aspettato meditando su vari enigmi al Gabinetto, fu ammesso in quella stanza dove si trovava l’innominato.
Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto. Era anziano, canuto, occhialuto; rugosa la faccia; ma il contegno, le mosse, la durezza risentita de’ lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una forza di corpo e di animo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine. E teneva anche a dire che non usava il Viagra.
Dell’Utri disse che veniva per consiglio e per aiuto; e si fece ad esporre il suo scellerato imbroglio. L’innominato che ne sapeva già qualcosa, ma in confuso, stette a sentire con attenzione, e come curioso di simili storie, e per essere in questa mischiato un nome a lui noto e odiosissimo, quello di Papa Francesco, nemico aperto de’ Confratelli Muratori, e in parole e, dove poteva, in opere. Dell’Utri si mise poi a esagerare le difficoltà dell’impresa; la distanza del luogo, un monastero, la Ruby!… A questo, l’innominato, come se un demonio nascosto nel suo cuore gliel avesse comandato, interruppe subitamente, dicendo che prendeva l’impresa sopra di sé. Prese l’appunto del nome della nostra povera Prestigiacoma, lo anagrammò varie volte alla luce della Cabala, e licenziò don Marcello, dicendo: – tra poco avrete da me l’avviso di quel che dovrete fare.

Se il lettore si ricorda di quello sciagurato Parolisi che abitava accanto al monastero dove la povera Prestigiacoma stava ricoverata, sappia ora che costui era uno de’ più stretti ed intimi colleghi di nonnismi che avesse l’innominato: quante reclute soldatesse messe insieme a morso in bocca nella gogna, o legate alla Croce di Sant’Andrea, e vai di tiraggi ai capezzoli e di fustigazioni… Perciò questo aveva lasciata correre così prontamente e risolutamente la sua parola.
Ma appena rimase solo, si trovò, non dirò pentito, ma indispettito d’averla data. Già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze. I pensieri dell’avvenire eran quelli che rendevano più noioso il passato. «Invecchiare! morire! e poi? A che servirà l’esser stato Venerabile quando il cazzo non tira più, dentro la fossa? E qual fine fanno i gradi da Maestro giunti sulla livella di Totò?».
Per troncare a un tratto quel contrasto penoso, chiamò Lavitola, uno de’ più destri e arditi ministri delle sue enormità, e quello di cui era solito servirsi per la corrispondenza con Parolisi. E, con aria risoluta, gli comandò che andasse diritto a Monza, informasse Parolisi dell’impegno contratto, e richiedesse il suo aiuto per adempirlo.
Il messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone non se l’aspettasse, con la risposta dell’ex addestratore di reclutesse: che l’impresa era facile e sicura; gli si mandasse subito una auto a vetri oscurati, con due o tre bravi ben travisati; e lui prendeva la cura di tutto il resto, e guiderebbe la cosa. A quest’annunzio, l’innominato, comunque stesse di dentro, diede ordine in fretta a Lavitola stesso, che disponesse tutto secondo aveva detto Parolisi.

Se per rendere l’orribile servizio che gli era stato chiesto, Parolisi avesse dovuto far conto de’ soli suoi mezzi ordinari, non avrebbe certamente data così subito una promessa così decisa. Ma l’atroce militare aveva un mezzo noto a lui solo. Noi abbiamo riferito come la sciagurata Karima Rubacuori desse una volta retta alle sue parole. Quella stessa voce, che aveva acquistato forza e, direi quasi, autorità dal delitto, le impose ora il sagrifizio dell’innocente che aveva in custodia.
La proposta riuscì spaventosa a Karima. Perder Prestigiacoma, questa bionda slave così pudica e algida, per un caso impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sventura, una punizione amara. La sventurata tentò tutte le strade per esimersi dall’orribile comando. Ma il delitto è un padrone rigido e inflessibile, contro cui non divien forte se non chi se ne ribella interamente. A questo Ruby non voleva risolversi; e ubbidì.

Era il giorno stabilito; l’ora convenuta s’avvicinava; Karima, ritirata con Prestigiacoma nella cantina degli strumenti di tortura BDSM, le faceva più carezze dell’ordinario, e Prestigiacoma le riceveva e le contraccambiava con tenerezza crescente, quasi pensando “la Mistress è sì crudele quando abusa delle mie carni ignude, ma sotto sotto si sta innamorando, di un tenero amor saffico verace, se oggi è così carezzevole e mielosa”: come la pecora (e in questo caso facciamo allegoria, e non trattiamo di star a pecorina), tremolando senza timore sotto la mano del pastore che la palpa e la strascina mollemente, si volta a leccar quella mano; e non sa che, fuori della stalla, l’aspetta il macellaio, a cui il pastore l’ha venduta un momento prima.
– Ho bisogno d’un gran servizio; e voi sola potete farmelo. Ho bisogno di parlar subito subito con chi v’ha condotta qui da me, la mia povera Prestigiacoma; ma è anche necessario che nessuno sappia che l’ho mandato a chiamare io. Non ho che voi per far segretamente quest’imbasciata. Se lo dicessi alla Minetti, alla Polanco, alle gemelle De Vivo, mezzo minuto e lo twitterebbero sputtanandomi. Gallinelle invidiose.
Prestigiacoma fu atterrita d’una tale richiesta. Ma la ex-Rubacuori, ammaestrata a una scola infernale nel seminterrato di Villa San Martino, mostrò tanta maraviglia anche lei, e tanto dispiacere di trovare una tal ritrosia nella persona di cui credeva poter far più conto! Tanto disse, che la povera deputata siciliana, commossa e punta a un tempo, si lasciò sfuggir di bocca: – e bene; anderò. Dio m’aiuti! – E si mosse.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
DOWN DOW FOREVER
chi non compra IL NUOVO MALE n°19 per un mese in tutte le edicole (contiene FRIGIDAIRE) è sciemo

 

Leave a Reply