PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXIX

– E cosa n’è stato del manigoldo anarcoinsurrezionalista? – chiedevano gli avventor de’ la vineria al testimone dei tumulti meneghini, mentre il nostro Renzi avventor casuale a volta sua tutto ascoltava.
– Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano: son gente che non ha né casa né tetto, e trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi, a Torino son più noti come squatter non per altro. Per ora si sa di sicuro che le lettere son rimaste in mano della giustizia, e che c’è descritta tutta la cabala; e si dice che n’anderà di mezzo molta gente. Peggio per loro; che hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Dicono che i farmacisti son birboni. Lo so anch’io; ma bisogna impiccarli per via di giustizia. C’è del Tavor nascosto. Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a disotterrare, e mandare anche gl’incettatori a dar calci all’aria, in compagnia de’ vari farmacologi. E non metter su un’usanza così scellerata d’entrar nelle botteghe e ne’ fondachi, a far espropri proletari.
A questo punto, l’oste, ch’era stato anche lui a sentire, andò verso l’altra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzi colse l’occasione, chiamò l’oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque l’acque fossero molto basse, avendo egli dimenticato nella fuga anche i ticket restaurant dell’amministrazione florentina; e, senza far altri discorsi, andò diritto all’uscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza, s’incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.

Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un uomo; pensate poi due alla volta, l’una in guerra coll’altra. Il povero Renzi n’aveva, da molte ore, due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto. La foia riformista e l’intenzione restauratrice.
Dunque la sua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo volevano a qualunque patto; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la caccia! e nessun, nel suo caso, avrebbe richiesto grazia al Presidente, o smosso la Corte di Strasburgo, o ottenuti omeopatici servizi sociali quali “pena”, come avveniva pe’l socio, l’Arcoriano! quali ordini erano stati spediti di frugar ne’ paesi, ne’ centri commerciali, per le strade! Pensava bensì che finalmente i birri che lo conoscevano, eran due soli, e che il nome non lo portava scritto in fronte; ma gli tornavano in mente certe storie che aveva sentite raccontare, di fuggitivi colti e scoperti per istrane combinazioni, riconosciuti all’andare, all’aria sospettosa, ad altri segnali impensati: tutto gli faceva ombra.
Quantunque, nel momento che usciva dal locale, scoccassero le ventiquattro, e le tenebre che venivano innanzi, diminuissero sempre più que’ pericoli, ciò non ostante prese contro voglia la superstrada, e si propose d’entrar nella prima provinciale tutta a buche e cunette non ripulite da arbusti nonostante i continui allagamenti da quando venne dismessa governativamente l’Anas con la sua rete di case cantoniere.
“Verso Milano non vo di certo; dunque vo verso Arezzo Centro. Cammina, cammina, o presto o tardi ci arriverò” pensava tra sé e sé il giovin sindaco.

Le tenebre erano rischiarate dallo sperpero capitalista dell’inquinamento luminoso; la solitudine, la stanchezza eran cresciute, e ormai dolorose.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche. Seguitando a andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza che voglia, cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s’accorse d’entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi, essendo gli alberi malauguranti per i centrosinistri, come Quercia ed Ulivo ci insegnarono; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma più che s’inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l’uno sembrava Prodi, uno l’Occhetto, l’altro Rutelli, l’altro ancora Veltroni.
A un certo punto, quell’uggia, quell’orrore indefinito con cui l’animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. Era per perdersi affatto, nel mezzo quarantenne di sua vita in quella selva oscura, come il concittadino verseggiante; ma atterrito, più che d’ogni altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, pregò i Santi Andreotti ed Andreatta, e i compromessi storici, ed i pentapartiti ch’altro non erano che le coalizioni imposte dall’Italicum. E stando così fermo, sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano sparso di paesi, e una gran macchia biancastra, che gli parve dover essere la città, Arezzo sicuramente.

Disperando ormai d’attaccar sonno, lui che peraltro fa vanto di svegliarsi di buon’ora ed inforcar la bicicletta e lavorare per le riforme del lavoro, del fisco, della giustizia, e delle riforme stesse, e facendosegli il freddo sentir sempre più, a segno ch’era costretto ogni tanto a tremare e a battere i denti, sospirava la venuta del giorno, e misurava con impazienza il lento scorrer dell’ore. Quando finalmente era l’ora disegnata da Renzo per ripartire, disse, e con più fervore del solito, le divozioni della mattina, pregando l’FMI di non declassar lo Stivale e i mafiosi di non rimettersi a piazzar bombe nei Musei nonostante la non abrogazione del 41-bis.
Il cielo prometteva una bella giornata. Vede una Panda 4×4 di cacciatore che veniva adagio lungo quello sterrato; dà una voce leggiera leggiera al cacciatore; e, con l’intenzione di far come se chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza avvedersene, in una maniera mezzo supplichevole, gli accenna di fermarsi. Renzi salta dentro la Panda, e dice: – mi fareste il servizio, col pagare, di tragittarmi? è Arezzo, quel paese?
– La città di Arezzo, – rispose il cacciatore.
Perché la così pronta e discreta cortesia di costui verso uno sconosciuto non faccia troppo maravigliare il lettore, dobbiamo informarlo che quell’uomo, pregato spesso d’un simile servizio da contrabbandieri, bracconieri, puttane da camionabile provinciale, era avvezzo a farlo, quando la stagione venatoria lo portava tra quei cespugli da imboscati; non tanto per amore del poco e incerto guadagno che gliene poteva venire, quanto per non farsi de’ nemici in quelle classi. Lo faceva, dico, ogni volta che potesse esser sicuro che non lo vedessero né gabellieri, né guardie forestali.

Intanto l’appetito, risvegliato già da qualche tempo, andava crescendo di miglio in miglio; e quantunque Renzi, quando cominciò a dargli retta, sentisse di poter reggere; pensò, da un’altra parte, che non sarebbe una bella cosa di presentarsi alla Boschi, come un pitocco, e dirgli, per primo complimento, anziché un “sempre bellina tu”, o “ma che begli occhi, ci credo che pure i grillini ti fan gli occhi dolci in Aula”, un cafonissimo: “dammi da mangiare”. Si levò di tasca tutte le sue ricchezze, le fece scorrere sur una mano, tirò la somma. Non era un conto che richiedesse una grande aritmetica o una consulenza dorata da parte del Ministero delle Finanze; ma però c’era abbondantemente da fare una mangiatina. Entrò in una pizzeria a ristorarsi lo stomaco, menu turistico 9.99 euro.

(continua…)

(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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