PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXVIII

Lasciato in una parte sconosciuta d’una città si può dire sconosciuta, Renzi non sapeva neppure da che porta s’uscisse per andare ad Arezzo; e quando l’avesse saputo, non sapeva poi andare alla porta. Prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, saltando una ad una le buche nel selciato che il patto di stabilità non permetteva di riparare, galoppò un pezzo, senza saper dove. Quando gli parve d’essersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza. Ma anche qui c’era dell’imbroglio. Renzi dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, un po’ ricordando gli studi lombrosiani e un po’ riferendosi allo Sgalambro del Battiato anni ’80, prima di trovar la figura che gli paresse a proposito.

Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, aveva un viso di cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle interrogazioni. Quell’altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a un altro, appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava d’esser molto sveglio, mostrava però d’essere anche più malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a farlo andare dalla parte opposta a quella che desiderava. Visto finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito, senz’altre chiacchiere; e sentendolo parlar da sé, giudicò che dovesse essere un uomo sincero. Gli s’accostò, e disse: – di grazia, quel signore, da che parte si va per andare ad Arezzo?

– Per andare ad Arezzo? Da qui, dal centro di Milàn che l’è semper Milàn? Ma te sei un pirla, testina, ueh figa… Comunque prendete questa strada a mancina; vi troverete in direzione barriera di Milano; poi…
– Basta, signore; il resto lo so, piglio l’Autosole. Dio gliene renda merito -. E diviato s’incamminò dalla parte che gli era stata indicata.

Renzo arriva sulla piazza del duomo; l’attraversa, tira diritto; arriva al convento di Milingo; dà un’occhiata a quella piazza e alla porta della chiesa, e dice tra sé, sospirando: «m’aveva però dato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po’ di bene».
Cammina, cammina; trova cantieri di nuovi immensi condomini che resteranno sfitti ma fanno girare l’economia cementizia, trova casupole della vecchia Milano schiacciate da architetture vetrocemento e installazioni dissennate di Gae Aulenti e Cattelan, e tira innanzi senza domandarne il nome, vede che là dove c’era l’erba ora c’è un presidio di municipale costruito e mai reso funzionante come da solito servizio di Striscia la Notizia sugli sperperi pubblici; è certo d’allontanarsi da Milano, spera d’andar verso Arezzo; questo gli basta per ora. Con intenzione d’avvicinarsi a quella benedetta barriera di Milano, preparando poi un cartone con su scritto appunto “Arezzo”, e tentar l’autostop.
Mentre cerca la maniera, senza dar sospetto, vede pendere una frasca da una casuccia solitaria, fuori dalla zona metropolitana vera e propria, laddove si congiungono le tangenziali milanesi con le autostrade, tra grandi capannoni industriali e distese di campi a foraggio e diossina. Da qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze; pensò che lì sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò. Non c’era che una vecchia. Chiese un boccone; gli fu offerto un po’ di stracchino e del vin buono: accettò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la sera avanti). Questa, in un momento, ebbe messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti di Milano: ché il telegiornale ne parlava ad ampi servizi. Renzi, non solo seppe schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi della difficoltà medesima, fece servire al suo intento la curiosità della vecchia, che gli domandava dove fosse incamminato.
– Devo andare in molti luoghi, – rispose: – e, se trovo un ritaglio di tempo, vorrei anche passare un momento da quel paese, piùttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, però nello stato di Milano… Come si chiama? – – Gorgonzola, volete dire, – rispose la vecchia.
– Gorgonzola! – ripeté Renzi, che stava mangiando il pane stracchino testé offerto, ma pensando “qui fan taleggio e formaggi fermentati, e mi si offre stracchino, poi dicono il chilometro zero”
– Va bene; – disse Renzi desinato; s’alzò, prese un pezzo di pane che gli era avanzato della magra colazione, uscì, e prese a diritta.

E, per non ve l’allungar più del bisogno, di passaggio autostoppico in passaggio, ci arrivò, alla periferia dell’Arezzo agognata, un’ora circa prima di sera.

Fatti alcuni passi, vide un’insegna d’un bar, e v’entrò. C’erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto più che quelle prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla: una sollevazione, né soggiogata né vittoriosa, sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine d’un atto piùttosto che d’un dramma.
Quando sentono avvicinarsi un Suv. Corron tutti all’uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un ricco piazzista, che, andando più volte l’anno tra’l Centritalia e Milano per i suoi traffici, era solito passar la notte a quel bancone aretino; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli s’affollano intorno. – Ben arrivato, ben arrivato!
– Ben trovati.
– Bene, bene. Che nuove ci portate di Milano?
– Stamattina dunque que’ birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo, si trovarono a’ posti convenuti (già c’era un’intelligenza: tutte cose preparate, tipo i forconi con dietro le eminenze grigie della destra eversiva); si riunirono, e ricominciarono quella bella storia di girare di strada in strada, gridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto più va avanti. Ma, – continuò il piazzista, – trovaron la strada chiusa, e, dietro quella barricata, una bella fila di antisommossa, con i lagrimogeni, per riceverli come si meritavano. E infine ier sera o stamattina che sia, ne sono stati agguantati molti; e subito s’è saputo che i capi saranno impiccati. Appena cominciò a spargersi questa voce, ognuno andava a casa per la più corta, per non arrischiare d’esser nel numero. Milano, quand’io ne sono uscito, pareva un convento di frati.
– Gl’impiccheranno poi davvero?
– Eccome! e presto, – rispose il viaggiator commerziale. – Chi ha fatto il più gran chiasso, eran forestieri; andavano in giro facce, che in Milano non s’eran mai vedute. Anzi mi dimenticavo di dirvene una che m’è stata data per certa. La giustizia aveva acchiappato uno in un’osteria… –

Renzi al tocco di questa corda, si sentì venir freddo, e diede un guizzo, prima che potesse pensare a contenersi. Nessuno però se n’avvide; e il dicitore, senza interrompere il filo del racconto, seguitò: – Uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venuto (chi dice inviato dalla sinistra, chi dalle solite lobby cattoliche), da chi fosse mandato, né che razza d’uomo si fosse, che più che d’uomo qui s’ha d’a parlar dun tanghero bassino e con gl’occhi lessi, ma che sa vender bene le promesse e l’intenzioni; ma certo era uno de’ capi. La giustizia, che l’aveva appostato, gli mise l’unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i suoi compagni, esclusi quelli dei giri di Ferrero e Vendola (per non parlar ovviamente di Ferrando che l’ha più in odio dei digotti stessi a cui il fonzarello noglobbal è sfuggito), vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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