PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXV

Il nuovo compagno di cammino meneghino di Renzi, camminando, faceva al giovin sindaco, in aria di discorso, ora una, ora un’altra domanda. – Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?
– Vengo, – rispose Renzi, – fino, fino da Firenze.
– Fin da Firenze? Di Firenze siete? Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da’ vostri discorsi, ve n’hanno fatte delle grosse.
– Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po’ di politica, per non dire in pubblico i fatti miei, ovver che di buongoverno nulla mi può fregare, meno lo status, il potere, quel che diceva il Divo, insomma, in fondo; e beh, sì, diciamo anche l’eloquio, e l’arte del convincimento delle masse; ma la politica in sé, come arte civica, ma insomma a chi gliene fotte più, dacché è il millennio del Soldo; ma… basta, qualche giorno si saprà; e allora… Ma qui vedo un’insegna d’osteria; e, in fede mia, non ho voglia d’andar più lontano. Però, – soggiunse, – se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere.

– Accetterò le vostre grazie, – rispose colui; e andò, come più pratico del luogo, innanzi a Renzi, per un cortiletto; s’accostò all’uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v’entrò col suo compagno. Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l’oste era a sedere sur una piccola panca, sotto il fungo da dehor del riscaldamento. S’alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista ch’ebbe la guida, «maledetto!» disse tra sé: «che tu m’abbia a venir sempre tra’ piedi, quando meno ti vorrei!» Data poi un’occhiata in fretta a Renzi, disse, ancora tra sé: «non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore (e non s’intende qui franco tiratore durante scrutinio segreto), o cane o lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò». Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia dell’oste, la quale stava immobile come un ritratto.
– Cosa comandan questi signori? – disse ad alta voce.
– Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, direi un Chianti, oppure un Montepulciano – disse Renzi: – e poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a sedere sur un divanetto, verso la cima della tavola, e mandò un – ah! – sonoro, come se volesse dire: fa bene svaccarsi un po’, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne subito in mente quanto più d’un divanetto da pub è comoda una poltrona; e una poltrona a Palazzo Chigi perdipiù; e mise un sospiro.
– Cosa mi darete da mangiare? – disse poi all’oste.
– Ho dello stufato: vi piace? – disse questo.
– Sì, bravo; dello stufato. A me, che son rottamatore. A me, che rottamo quelli di cui il popolo elettorale appunto s’è stufato. Ma che, m’hai preso per bischero? Fammi una fiorentina!
– Sarete servito, – disse l’oste a Renzi; e al garzone: – servite questo forestiero -. E s’avviò verso il cammino. – Ma… – riprese poi, tornando verso Renzi: – ma pane, non ce n’ho in questa giornata.
– Al pane, – disse Renzi, ad alta voce e ridendo, – ci ha pensato la provvidenza, che se non proprio il pane m’ha dato la “farina” -. E tirato fuori la terza e ultima di quelle dosi raccolte sotto la croce di san Dionigi, l’alzò per aria, gridando: – ecco la farina della provvidenza!
All’esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: – viva la bamba!
– E sapeste a qual irrisorio prezzo – disse Renzo: – gratis et amore.
– Meglio, meglio.
– Ma, – soggiunse subito Renzi, – non vorrei che lor signori pensassero a male. Non è ch’io l’abbia, come si suol dire, sgraffignata. L’ho trovata in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son pronto a pagargliela.
– Bravo! bravo! – gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de’ quali passò per la mente che quelle parole fossero dette davvero.
– Credono ch’io canzoni; ma l’è proprio così, – disse Renzi alla sua guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: – vedete come l’hanno accomodata; pare pronta per esserne fatto crack. E subito, sniffate tre o quattro strisce, gli mandò dietro bicchier di vino; e soggiunse: – da sé non vuol andar giù. Non ho avuto mai la gola tanto secca e il palato tanto anestetizzato. S’è fatto un gran gridare!
– Preparate un buon letto a questo bravo giovine, – disse la guida: – perché ha intenzione di dormir qui.
– Volete dormir qui? – domandò l’oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.
– Prima ora come ora mi farei un afterhour, ma sicuro, – rispose Renzi: – un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; non quelli stesi per mostrare l’inquinamento atmoseferico metropolino dai vari ambientalisti, a Taranto, a Vado, o dove ci sia industria, ovvero posti di lavoro e prodotto interno lordo, ché è dunque poi ovvio che un po’ si lordi l’aria, se no sarebbe un prodotto interno lindo; perché son di una sinistra demagogica, ma avvezzo alla pulizia.
L’oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: – fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.
– Cosa? – disse Renzo: – cosa c’entrano codeste storie col letto?
– Io fo il mio dovere, – disse l’oste, guardando in viso alla guida: – noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi… quanto tempo ha di fermarsi in questa città… Son parole della legge antiterrorismo per la guerra mondiale trentennale anti-islam creata ad hoc a partire dal Kuwait per poi arrivare alla pantomima catastrofica delle Torri Gemelle.
Al che Renzi, che continuava a buttar giù bicchieri dopo il triplete di strisce bonzarole, iniziò a biascicare_ – Quando le leggi avran fatto andare in galera il signor Dell’… basta, lo so io; quando avran fatto in maniera che un giovine sindaco onesto possa sposare una giovine parlamentare onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a queste leggi; darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano d’altri furfanti: perché se fosse solo… – e qui finì la frase con un gesto: – se un furfantone volesse saper dov’io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se la legge si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.

L’oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzi, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: – ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le leggi che parlan bene, in favore de’ buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest’imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perché questo è fesso – Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: – senti, senti, oste, come crocchia.
– Via, via, – gridaron molti degli avventori abbevazzati: – ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova Oggi, legge nuova; come diceva il Bossi i primi tempi; o come il Grillo, che diceva “vaffa, li mando tutti a casa”.
Renzi ringraziò la guida, e tutti quegli altri che avevan prese le sue parti. – Bravi amici! – disse: – ora vedo proprio che i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono – Poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, come al discorso inaugurale al Senato (organismo istituzionale che poi avrebbe pugnalato) – gran cosa, – esclamò, – che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Gli porgi uno smartphone, una lavagna elettronica, e loro niente, di penna vogliono andare, feticisti della Bic! Grande smania che hanno que’ signori d’adoprar la penna! E’ perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi anche un’altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che s’accorgono che comincia a capir l’imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino (che so, un italicum, una par condicio), o in inglese (che so, una spendig rewiew), per fargli perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve smetter dell’usanze! Oggi, a buon conto, s’è fatto tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; anzi dando finanziamenti a tasso zero per una maggiore diffusione della banda larga; tutto per via telematica, altro che penne.

(continua…)

(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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chi non si abbona a IL NUOVO MALE e FRIGIDAIRE è sciemo

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