PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXXI

Le due povere donne, la Prestigiacoma e l’Emmabonina s’erano appena accomodate nel loro ricovero, che si sparse per Monza, e per conseguenza anche nel monastero, la nuova di quel gran fracasso di Milano; e dietro alla nuova grande, una serie infinita di particolari, che andavano crescendo e variandosi ogni momento. La fattoressa, che, dalla sua casa, poteva tenere un orecchio alla strada, e uno al monastero, un occhio all’i-phone, e l’altro al pc, raccoglieva notizie di qui, notizie di lì, e ne faceva parte all’ospiti.
– Due, sei, otto, quattro, sette ne hanno messi in prigione; gl’impiccheranno… Ehi, ehi, sentite questa! n’è scappato uno, che è di Firenze, o di quelle parti, di Pontaqqualcosa, Pontassieve forse. Il nome non lo so; ma verrà qualcheduno che me lo saprà dire.
Quest’annunzio, con la circostanza d’esser Renzi appunto arrivato in Milano nel giorno fatale, diede qualche inquietudine alle donne, e principalmente a Prestigiacoma; ma pensate cosa fu quando la fattoressa venne a dir loro: – Quello che se l’è battuta, per non essere impiccato è un filatore di trame tra vegliardi piduisti priapisti e nuova massoneria progressista rampante, Matteo il suo nome: lo conoscete?

A Prestigiacoma, ch’era a sedere, orlando non so che cosa, cadde il lavoro di mano; impallidì, si cambiò tutta, di maniera che la fattoressa se ne sarebbe avvista certamente, se le fosse stata più vicina. Ma era ritta sulla soglia con Emmabonina; la quale, conturbata anche lei, poté star forte; e, per risponder qualcosa, disse che lo conosceva, quel Matteo; ma che non sapeva pensare come mai gli fosse potuta seguire una cosa simile; perché era un giovine posato. Mica uno di Rifonda, od un Grillino. Un posato nipotino oratoriale dello scudocrociato. Domandò poi se era scappato di certo, e dove.
– Scappato, lo dicon tutti; dove, non si sa; può essere che l’accalappino ancora, può essere che sia in salvo; ma se gli torna sotto l’unghie, dalle quali peraltro raccogliere dna, il vostro giovine posato…

Qui, per buona sorte, la fattoressa fu chiamata, e se n’andò: figuratevi come rimanessero la radicale e la forzista sicula. Più d’un giorno, dovettero la povera donna e la desolata fanciulla stare in una tale incertezza, a mulinare sul come, sul perché, sulle conseguenze di quel fatto doloroso.
Un giovedì finalmente, capitò al monastero un uomo a cercar d’Emmabonina. Era un grossista di Scandicci, che andava a Milano, secondo l’ordinario, a spacciar la sua mercanzia; e il buon Papa Francesco l’aveva pregato che, passando per Monza, facesse una scappata al monastero, salutasse le donne da parte sua, raccontasse loro quel che si sapeva del tristo caso di Renzi, raccomandasse loro d’aver pazienza, di fare una telefonata a un ammalato, di regalar un biscotto a un immigrato, e confidare in Dio; e che lui non si dimenticherebbe certamente di loro, e spierebbe l’occasione di poterle aiutare, tra un incontro con Obama e un cambiamento ai vertici della Cei; e intanto non mancherebbe, ogni settimana, di far loro saper le sue nuove, per quel mezzo, o altrimenti.
Intorno a Renzi, il messo non seppe dir altro di nuovo e di certo, se non la visita fattagli in casa, e le ricerche per averlo nelle mani; ma insieme ch’erano andate tutte a voto (modo di dire che tanto stava a cuore alle deputatesse), e si sapeva di certo che s’era messo in salvo nell’Aretino. Una tale certezza, e non fa bisogno di dirlo, fu un gran balsamo per Prestigiacoma (i cui lunghi capelli siculo-normanni non avean cosmesi adeguata nel monastero pauperista).

Karima Ruby la faceva venire spesso in un suo parlatorio privato, e la tratteneva talvolta lungamente, compiacendosi dell’ingenuità e della dolcezza della poverina, e nel sentirsi ringraziare e benedire ogni momento. Una mistress benevola, e la sua slave cicisbea. Le raccontava anche, in confidenza, una parte (la parte netta) della sua storia; e quella prima maraviglia sospettosa di Prestigiacoma s’andava cambiando in compassione, poiché neppure alla Toffanin la suorina marocchina aveva mai svelato tali lati della sua vita nell’era dell’Olgiata, mentre lei si trovava deputata a tal fiducia. Per quanto però si sentisse portata a contraccambiare la confidenza che Karima le dimostrava, non le passò neppur per la testa di parlarle delle sue nuove inquietudini. Qualche volta, Karima quasi s’indispettiva di quello star così sulle difese; ma tutto si perdeva nella soavità d’un pensiero che le tornava ogni momento, guardando Lucia: «a questa fo del bene». Ed era vero; perché, oltre il ricovero, que’ discorsi, quelle carezze famigliari erano di non poco conforto a Prestigiacoma, quando s’insinuavano dal viso un po’ più giù, quasi a voler giungere al seno, ed anzi v’arrivavano, non fosse ch’ella appunto dicesse: – Lei m’imbarazza così…
Nel parlatorio, portava infatti Prestigiacoma sempre qualche lavoro da tener le mani in esercizio, così da vincer la tentazion di restituire quei tocchi maliziosi alla Signora. Cuciva, cuciva, ch’era un mestiere quasi nuovo per lei, che al massimo prima era intenta a ricucire tensioni tra Forzitalioti e Larussiani come una casalinga nella cura di Casa delle Libertà.

Il secondo giovedì, tornò quel grossista co’ saluti del Papa Francesco, e con la conferma della fuga felice di Renzi.
Il terzo giovedì, non si vide nessuno. Già prima d’allora, Emmabonina aveva pensato a fare una scappata a casa; questa novità di non vedere l’ambasciatore promesso, la fece risolvere. Per Prestigiacoma era una faccenda seria il rimanere distaccata dalla gonnella della ex commissaria eurobbosa; ma la smania di saper qualche cosa, e la sicurezza che trovava in quell’asilo così guardato e sacro, vinsero le sue ripugnanze.

Emmabonina prese congedo dalla signora e dalla Prestigiacoma, promettendo di mandar subito le sue nuove, e di tornar presto; e partì.
Arrivò di buon’ora al colonnato di San Pietro, appese qualche adesivo abortista, e si presentò alle guardie svizzere con tanto di passaporto diplomatico; chi venne a aprire, fu un maggiordomo vaticano.
– Vengo a cercare il Papa Francesco.
– Il Papa Francesco? Non c’è.
– Oh! starà molto a tornare?
– Ma…? – disse il maggiordomo, alzando le spalle.
– Dov’è andato?
– A Eboli.
– A?
– A Eboli.
– Dov’è questo paese?
– Eh eh eh! – rispose il maggiordomo, trinciando verticalmente l’aria con la mano distesa, per significare una gran distanza.

(continua…)

(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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