Categoria: ‘I Promessi Divorziati’

CAPITOLO LXIII

“Ma tu,” proseguiva Papa Francesco, “come sei qui?”
“Vengo… a cercar di… Prestigiacoma”, rispose Renzi.
“Prestigiacoma! è qui Prestigiacoma? E’ tua moglie?”
“Oh caro padre! No che non è mia moglie… Ma che, le è venuto l’alzheimer?… Tutta ‘sta bischerata di storia è centrata sul non essere marito e moglie bipolaristi… Che diavolo di domanda mi fa, scusi eh, Santità?”

“Ma tu, dillo al Bergoglio confessore, cosa avevi fatto nei tumulti, Matteo…”
“Senta, se volessi dire d’aver avuto giudizio, quel giorno in Milano, direi una bugia; ma cattive azioni non n’ho fatte punto, e non mi si dica che scatarro sulla Costituzione o massacro i diritti dei lavoratori abolendo l’articolo diciotto”, disse Renzi con tanto di promessa scout.


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CAPITOLO LXII

“Moia la marmaglia d’elettori!” esclamò l’altro lettighiere; e, con questo bel brindisi, si mise il fiasco alla bocca, e diede una buona bevuta. Ma, prima di bere ancora, si voltò a Renzi, gli fissò gli occhi in viso, e gli disse, con una cert’aria di compassione sprezzante: “bisogna che il diavolo col quale hai fatto il patto, sia ben giovine; ché, se non eravamo lì noi a salvarti, lui ti dava un bell’aiuto.” E tra un nuovo scroscio di risa, s’attaccò il fiasco alle labbra. E per un attimo gl’apparve, come per richiamo immaginifico al diavolo del patto menzionato, un giovine arcoriano che dai pianobar di crociera si trovò a fare Milano Due, grazie alle dritte di Mangano.


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CAPITOLO LXI

Dopo qualche momento, s’accende lo schermo del videocitofono; una donna, guardando chi era, con un viso ombroso che par che dica: vagabondi? marucchin? untori? diavoli?
“Signora,” disse Renzi guardando in su, e con voce non troppo sicura: “ci sta qui come collaboratrice a tempo determinato una giovine di sicilia, che ha nome Prestigiacoma?”
“La non c’è piú; andate,” rispose quella donna, facendo atto di chiudere.
“Un momento, per carità! La non c’è piú? Dov’è?”
“Al Leoncavallo” e la finestra fu chiusa davvero.


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CAPITOLO LX

Renzi andò avanti e vide, per la prima cosa, che c’era in terra un tristo impedimento: una barella, sulla quale due infermieri del Cim accomodavano un ludopata per portarlo via. Era il capo della locale Equitaglia. L’intere multe d’un quartiere s’era appena giuocato su un ottavo di finale di Champions.


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CAPITOLO LIX

“Vedete!” disse D’Alema: “Se quelli che restano non metton giudizio questa volta, e scacciar tutti i grilli dalla testa, non c’è piú altro che la fine del mondo bipolare, mica solo dell’ex sinistra dc.”
Ma Renzi sfottente: “Lei non ci pensi, dico; tocca a me: non son piú bambino, son quarantenne dell’epoca dei social: e se anche fossi bimbo, farei cambiare la Costituzione alle mie coetanee elementari: ché noi rottamatori del comunismo in qualche modo c’ispiriamo a Pol Pot: vai, sbarbatelli senza saggezza alcuna, ma maggiorenni e votanti!”
“Ho inteso,” disse D’Alema, sospirando stizzosamente: “ho inteso. Volete rovinarvi voi, e rovinarmi me. Non vi basta di quelle che avete passate voi; non vi basta di quelle che ho passate io. Ho inteso. Ho largamente inteso.”


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CAPITOLO LVIII

Giunto dunque Renzi nei pressi di Milano, e non volendo farsi vedere, prese per uno svincolo secondario della tangenziale. E, dopo pochi chilometri, vide un uomo in divisa marinara, in un’attitudine d’insensato, continuando a controllare una mazzetta di ricevute di giocate sui risultati di Champions. Essendosegli avvicinato, dovette accertarsi ch’era De Falco.
“Oh comandante De Falco!” gli disse Renzi, fermandosegli davanti: “sei tu ?”
De Falco alzò gli occhi, senza mover la testa.
“Ma non mi riconosci?”
“A chi la tocca, la tocca, cazzo!” rispose De Falco, rimanendo poi con la bocca aperta.

“L’hai addosso eh? povero De Falco; ma non mi riconosci piu?”
“A chi la tocca, la tocca, cazzo!” replicò quello, con un certo sorriso sciocco, grottesco su un viso ben noto per la rigida deontologia marinara. Renzi, vedendo che non ne caverebbe altro, seguitò la sua strada, piú contristato. Se solo avessero fermato la procedura di messa a riposo in un ufficio… O lo avessero mandato in India in cambio dei due pescatoricidi della maro’nna… Uno come De Falco, uno che voleva vivere arditamente in prima linea… Forse pe’l comandante il giuoco al lotto non sarebbe affatto valso la candela luminosa del dovere…
“Twitterò al Paese che va bene non essere normali dalemiani, ma anche ridursi a schiavi dell’azzardo va limitato con misure che l’esecutivo presto attuerà”, pensò. Ma poi abortì il cinguettìo, ricordandosi il deficit.


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CAPITOLO LVII

Renzi intanto stava nascosto in falsa identità di pr e creativo presso una azienda manifatturiera aretina, sotto il nome d’Antonio Rivolta.
C’era stato cinque o sei mesi, salvo il vero. Poi la Boschi s’era data premura d’andarlo a prendere, e di tenerlo ancora con sé, e perché gli voleva bene nonostante il pisellino inetto alle proprie soddisfazioni da cavalla, e perché Renzi, come giovine di talento, e abile nel mestiere di promoter, era, in una fabbrica in competizione con i prodotti a basso costo cinesi, di grande aiuto. Pur senza poter mai aspirare a divenir direttore marketing, per quella benedetta disgrazia di non saper tener la penna in mano, e d’esser incistato nei twittaggi come un bimbo con il Nintendo nuovo.
Forse voi vorreste una Boschi piú ideale, più disinibita, con quella capigliatura alla Moana… Non so che dire: fabbricatevela. Quella era così.


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CAPITOLO LVI

“Corona!” disse Dell’Utri, rizzandosi stentatamente a sedere: “tu sei sempre stato il mio fido.”
“Sì, signore.”
“T’ho sempre fatto del bene. Sto male, Corona. Se guarisco, ti farò del bene ancor piú di quello che te n’ho fatto per il passato. Sai dove sta di casa lo psichiatra? E’ un galantuomo, che, chi lo paga bene, tien segreti gli ammalati di gioco d’azzardo. Va’ a chiamarlo: digli che gli darò quattro, sei milioni per visita, di piú, se di piú ne chiede; ma che venga qui subito; e fa’ la cosa bene, che nessun se n’avveda.”
“Ben pensato,” disse Corona: “vo e torno subito.”
“Senti, Corona: dammi prima un po’ di bamba. Mi sento un’ansia, che non ne posso piú.”
“No, signore,” rispose Corona: “niente senza il parere del medico. Son mali bisbetici, e in preda agli eccitanti la costipazione alla puntata scommettitrice cresce ulteriormente. Stia quieto: in tre salti son qui con lo psichiatra.”
Così detto, uscì, raccostando l’uscio.


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CAPITOLO LV

Così, ne’ pubblici infortuni, nelle stagnazioni di piazza affari, e nelle lunghe perturbazioni a bombe d’acqua di quel qual si sia ordine consueto, si vede sempre un aumento, una sublimazione di virtú; ma, pur troppo, non manca mai insieme un aumento, e d’ordinario ben più generale, di perversità. E questo pure fu segnalato. I birboni che la ludopatia risparmiava e non atterriva depauperandoli completamente, trovarono nella confusion comune, nel rilasciamento d’ogni forza pubblica, una nuova occasione d’attività, e una nuova sicurezza d’impunità a un tempo. Entravano da padroni, da nemici, nelle ricevitorie, e, senza parlar de’ rubamenti, e come trattavano gl’infelici gestori, mettevano quelle mani nervose e scellerate, sui tasti delle slot, sulle schedine enalotto, sulle fiches del poker, sulla moneta con cui grattare il winforlife. Altri sciagurati, fingendosi giocatori accaniti, portando un microchip sonoro attaccato a un piede, com’era prescritto a quelli in stato di dipendenza da roulette e lotterie, per distintivo e per avviso del loro avvicinarsi, s’introducevano nelle tabaccherie a farne di tutte le sorte. In alcune, aperte ma col cartello “torno subito”, entravan ladri, a man salva, a saccheggiare le macchinette cambiasoldi.


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CAPITOLO LIV

Il ministero ordinò allora alcune precauzioni che, senza riparare al pericolo, ne indicavano il timore. Prescrisse più strette regole per l’entrata delle persone nelle sale giochi; e, per assicurarne l’esecuzione, fece star chiuse le porte con pass a lettura di retina per l’accesso ai soli soci regolari, per escludere almeno i minorenni; come pure, affine d’escludere, per quanto fosse possibile, dalla radunanza gli infetti da scommesse compulsive, fece inchiodar gli usci delle case in cui essi venivano posti ai domiciliari, e schermare le connessioni internet per evitare potessero sfogare la loro convulsiva mania in modalità online. Il tutto senza però riuscire a oscurare la pubblicità, per contrapposti interessi delle lobbies e del pil.


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