PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO LV

Così, ne’ pubblici infortuni, nelle stagnazioni di piazza affari, e nelle lunghe perturbazioni a bombe d’acqua di quel qual si sia ordine consueto, si vede sempre un aumento, una sublimazione di virtú; ma, pur troppo, non manca mai insieme un aumento, e d’ordinario ben più generale, di perversità. E questo pure fu segnalato. I birboni che la ludopatia risparmiava e non atterriva depauperandoli completamente, trovarono nella confusion comune, nel rilasciamento d’ogni forza pubblica, una nuova occasione d’attività, e una nuova sicurezza d’impunità a un tempo. Entravano da padroni, da nemici, nelle ricevitorie, e, senza parlar de’ rubamenti, e come trattavano gl’infelici gestori, mettevano quelle mani nervose e scellerate, sui tasti delle slot, sulle schedine enalotto, sulle fiches del poker, sulla moneta con cui grattare il winforlife. Altri sciagurati, fingendosi giocatori accaniti, portando un microchip sonoro attaccato a un piede, com’era prescritto a quelli in stato di dipendenza da roulette e lotterie, per distintivo e per avviso del loro avvicinarsi, s’introducevano nelle tabaccherie a farne di tutte le sorte. In alcune, aperte ma col cartello “torno subito”, entravan ladri, a man salva, a saccheggiare le macchinette cambiasoldi.

Una notte, verso la fine d’agosto, proprio nel colmo della ludopatia di massa, tornava Dell’Utri a casa sua, in Milano, accompagnato dal fedel Corona, l’uno de’ tre o quattro che, di tutta la famiglia, gli eran rimasti vivi dopo la ritorsioni sanguinarie dei corleonesi. Tornava da un ridotto d’amici libanesi soliti a straviziare insieme, per passar la malinconia di quel tempo. Quel giorno, Dell’Utri era stato uno de’ piú allegri; e tra l’altre cose, aveva fatto rider tanto la compagnia, con una specie d’elogio funebre del Formigoni, portato via dalla peste del gioco che l’aveva rovinato finanziariamente (senza esserne salvato con copertura dei debiti come avvenne per man dell’Arcoriano a Emilio Fede), e suicidatosi due giorni prima.

Camminando però, sentiva un mal essere, un abbattimento, una fiacchezza di gambe, una gravezza di respiro, un’arsione interna, che avrebbe voluto attribuir solamente allo champagne, alla coca, alla veglia, alla stagione. Non aprì bocca, per tutta la strada; e la prima parola, arrivati a casa, fu d’ordinare al Corona che gli facesse lume per andare in camera. Quando ci furono, Corona fece scattare l’ennesimo flash, e osservò il viso del padrone, stravolto, acceso, con gli occhi in fuori, e lustri lustri.

“Sto bene, ve’,” disse Dell’Utri, che lesse nel fare del Corona il pensiero che gli passava per la mente. “Sto benone; ma ho bevuto, ho bevuto forse un po’ troppo. C’era una redbull!… Ma, con una buona dormita, tutto se ne va. Ho un gran sonno… Levami un po’ quel flash dinanzi, che m’accieca… mi dà una noia…!”
“Scherzi della redbull,” disse Corona, tenendosi sempre alla larga. “Ma vada a letto subito, ché il dormire le farà bene.”
“Hai ragione: se posso dormire… Del resto, sto bene. Metti qui vicino, a buon conto, quel cercapersone, se per caso, stanotte avessi bisogno di qualche cosa: e sta’ attento, ve’, se mai senti sonare. Ma non avrò bisogno di nulla… Porta via presto quel maledetto flash,” riprese poi, intanto che Corona eseguiva l’ordine, avvicinandosi meno che poteva. “Diavolo! che m’abbia a dar tanto fastidio!”

Dopo un lungo rivoltarsi, finalmente s’addormentò, e cominciò a fare i piú brutti e arruffati sogni del mondo. E d’uno in un altro, gli parve di trovarsi in una gran chiesa, in su, in su, in mezzo a una folla; di trovarcisi, ché non sapeva come ci fosse andato, come gliene fosse venuto il pensiero, in quel tempo specialmente; e n’era arrabbiato. Guardava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti, con cert’occhi incantati, abbacinati, con le labbra spenzolate; tutta gente con certi Versace indosso che cascavano a pezzi; e da’ rotti si vedevano macchie e bubboni. “Largo canaglia! Sottoproletari, immigrati, negri e barboni di merda” gli pareva di gridare, guardando alla porta, ch’era lontana lontana, e accompagnando il grido con un viso minaccioso, senza però moversi, anzi ristringendosi, per non toccar que’ sozzi corpi, che già lo toccavano anche troppo da ogni parte.
Ma nessuno di quegl’insensati dava segno di volersi scostare, e nemmeno d’avere inteso; anzi gli stavan piú addosso: e sopra tutto gli pareva che qualcheduno di loro, con le gomita o con altro, lo pigiasse a sinistra, tra il cuore e l’ascella, dove teneva solitamente il portafoglio e ora sentiva una puntura dolorosa, e come pesante. E se si storceva, per veder di liberarsene, subito un nuovo non so che veniva a puntarglisi al luogo medesimo. Strepitava, era tutt’affannato, e voleva gridar piú forte; quando gli parve che tutti que’ visi si rivolgessero a una parte. Guardò anche lui; vide un pulpito, e dal parapetto di quello spuntar su un non so che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi e comparir distinta una testa pelata, poi due occhi occhialuti, un viso: Papa Francesco.
Il quale, fulminato uno sguardo in giro su tutto l’uditorio, parve a Dell’Utri che lo fermasse in viso a lui, alzando insieme la mano, nell’attitudine appunto che aveva presa in quella sala a terreno del suo palazzotto. Allora alzò anche lui la mano in furia, fece uno sforzo, come per islanciarsi ad acchiappar quel braccio teso per aria; una voce che gli andava brontolando sordamente nella gola, scoppiò in un grand’urlo; e si destò. Tutto era sparito; tutto fuorché una cosa, quel dolore dalla parte sinistra.

Esitò qualche momento, prima di guardar la parte dove aveva il dolore; finalmente la scoprì, ci diede un’occhiata paurosa; e vide dalla tasca interna in cui era solito mettere il portafogli, uscire ricevute di giocate al Totip e al Gratta&Vinci.
Ma nessuna banconota.
L’uomo si vide perduto: il terror della morte l’invase, e, con un senso per avventura piú forte, il terrore di diventar preda de’ ludopati, d’esser portato, buttato al Leoncavallo. Afferrò il microchip sottocutaneo sonoro, e lo attivò con violenza. Comparve subito Corona, il quale stava all’erta. Si fermò a una certa distanza dal letto; guardò attentamente il padrone, e s’accertò di quello che, la sera, aveva congetturato.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario & Manzone Ramingo 2014
DOWN DOW FOREVER
chi non si abbona a IL NUOVO MALE (e FRIGIDAIRE) è nammmerda peggio di quelli di cui si lamenta

 

 

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