Categoria: ‘I Promessi Divorziati’

CAPITOLO LIII

Al Leoncavallo, dove i gestori legalizzati e paraculi, quantunque decimati ogni giorno, andavano ogni giorno crescendo, era un’altra ardua impresa quella d’assicurare il service fonico per la stagione dei concerti indies di facciata ma commerciali di fatto, e di mantenervi in somma la forma di autogestione normativizzata ordinato dagli assessorati: ché, fin da’ primi momenti, c’era stata ogni cosa in confusione, per la sfrenatezza della fazione assembleare, e per la trascuratezza e per la connivenza dell’ala ketaminica. Pisapia, non sapendo dove battere il capo, pensò di rivolgersi a vecchi punk stagionati, e propose, per principale, tal Gomma della Shake Edizioni Underground, uomo d’età matura, il quale godeva una gran fama di controcultura, d’attività editoriale, e di fortezza d’animo, oltre ad aver corso in elezioni amministrative secondo democratiche regole. Fu accettata la proposta del Comune; e il 30 di marzo, Gomma entrò nel lazzeretto.


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CAPITOLO LII

Arrivando senza posa altre e altre tragiche notizie da diverse parti, furono spediti due ispettori ministeriali e il capo della protezione civile a vedere e a provvedere. Quando questi giunsero, il male s’era già tanto dilatato, che le prove si offrivano senza che bisognasse andarne in cerca. Scorsero il territorio di Lecco, la Valsassina, le coste del lago di Como, i distretti denominati Provincia di Monza e di Brianza, e la Gera d’Adda; e per tutto trovarono paesi quasi deserti, e gli abitanti scappati in qualche buia tabaccheria per appiccicarsi come cozze alle macchinette d’azzardo, o dispersi. S’informarono del numero de’ morti per inedia, recuperati cadaveri mentre ancora premevano convulsivamente l’ennesimo tasto della slot: era spaventevole; visitarono infermi e cadaveri, e per tutto trovarono le brutte e terribili marche della dipendenza da scommesse e gratta&vinci.


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CAPITOLO LI

Emmabonina e la Melandri per non mangiare il pane a ufo, avevan voluto essere impiegate ne’ servizi che richiedeva una così grande ospitalità, vantando lauree in scienze politiche che nessuno, in quella situazione, aveva da verificare; e in preparazioni di buffet spendevano una buona parte della giornata; il resto nel chiacchierare con certe amiche che s’eran fatte, o col povero D’Alema. Questo non aveva nulla da fare, ma non s’annoiava però; la paura gli teneva compagnia. La paura di una vecchiaia nel dimenticatoio, letteralmente rottamato, lontano da’ governi e da summit internazionali, ricordato al più ogni decennio per qualche intervista di Rai Educational su un qualche anniversario delle guerre yugoslave.
A tutti i suoi compagni di rifugio, l’ex premier faceva gran riverenze democratiche o gran saluti progressisti, ma bazzicava con pochissimi: la sua conversazione piú frequente era con le due donne, come abbiam detto; come se avesse colto in ritardo storico sia la svolta demagogica delle quote rosa, sia (nel ventennio prima) l’importanza di un harem di troiette starlette da riciclare a capitale per qualche ministero.


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CAPITOLO L

D’Alema correva, stralunato e mezzo fuor di sé, per la casa; andava dietro alla Melandri, per concertare una risoluzione con lei; ma ella, affaccendata a raccogliere i dossier segreti e le ricevute degli appalti coop, e a nasconderli in soffitta, passava di corsa, affannata, preoccupata, con le mani e con le braccia piene, e rispondeva: – or ora finisco di metter questa roba al sicuro, e poi faremo anche noi come fanno gli altri, i Matacena per capirci; s’ingegnano gli altri; c’ingegneremo anche noi. Mi scusi, ma potrebbe anche dare una mano, in questi momenti, in vece di venir tra’ piedi a piangere e a impicciare -.


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CAPITOLO XLIX

Ai corpi ammalati o ammalazzati dei leoncavallini coatti, s’aggiunga una gran perversità della stagione: piogge ostinate, bombe d’acqua, allerte 2 della protezione civile, seguite da una siccità ancor piú ostinata, e con essa un caldo anticipato e violento. Ai mali s’aggiunga il sentimento de’ mali, le apocalittiche profezie di Greenpeace sul riscaldamento del globo, la noia e la smania della prigionia, la rimembranza dell’antiche abitudini, il dolore di cari perduti, la memoria inquieta di cari assenti e impossibilitati a connettersi a whatsapp o facebook per gl’effetti elettromagnetici del meteo ostile sui ponti telefonici, il tormento e il riezzo vicendevole, tant’altre passioni d’abbattimento o di rabbia antifascista militante o casapaundesimo dottrinale, portate o nate là dentro.


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CAPITOLO XLVIII

Sia com’esser si voglia, ordinando ai farmacisti di distruibuir tanta coca, bisognava anche fare in modo che la materia non mancasse loro. S’era immaginato di far entrare la caffeina nel composto della bustina. Ma anche questa sostanza da taglio bisognava pagarla. E il governatore, con decreto del 7 di dicembre, fissò il prezzo della caffeina suddetta a centesimi dodici il grammo: a chi ne chiedesse di piú, come a chi ricusasse di vendere, intimò la perdita della derrata e una multa altrettanto valore, et maggior pena pecuniaria, secondo la qualità de’ casi et delle persone. Mantenuta così la bamba a buon mercato in Milano, ne veniva di conseguenza che dalla campagna accorresse gente a processione a comprarne. Maroni, per riparare a questo, come dice lui, inconveniente, proibì, con un’altra grida del 15 di dicembre, di portar fuori della città bonza per piú del valore di venti euro; pena la perdita della coca medesima, e duecento euro, et – in caso di inhabilità’ al pagamento – di sequestro dello scooter e del passaporto. Il 22 dello stesso mese (e non si vede perché così tardi, se non per accordo di cartello con le industrie farmaceutiche), pubblicò un ordine somigliante per ansiolitici e antipiscotici.


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CAPITOLO XLVII

La Blasi non s’appagava d’una risposta simile; replicava che ci volevan fatti e non parole; si diffondeva a parlare sul costume delle giovani, le quali, diceva, “quando hanno nel cuore uno scapestrato (ed è lì che inclinano sempre), non se lo staccan più. Un partito onesto, ragionevole, d’un galantuomo, d’un uomo assestato, che, per qualche accidente, vada a monte, son subito rassegnate; ma un rompicollo, è piaga incurabile. E poi giù a parlare di maltrattamenti e femminicidi”. E allora principiava il panegirico del povero assente, del birbante venuto a Milano, per rubare benevolenza e scannare costituzioni resistenziali; e voleva far confessare a Prestigiacoma le bricconate che colui doveva aver fatte, sicuramente anche al suo paese, ché si sa che gl’appalti di Florentia fan gola assai a ben più d’un fanfarone.


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CAPITOLO LXVI

Finalmente Renzi, cerca e ricerca, trovò un ghost writer (o per dirla in modo ufficiale “un addetto dell’ufficio stampa dei Dem) chi scrivesse per lui. Ma, non sapendo se le donne fossero ancora a Monza, o dove, credé bene di fare accluder come allegato la lettera in un’altra diretta a Papa Francesco. Lo scrivano, un neolaureato tesserato arci che aveva trovato subito un lavoro presso il partito stesso, nonostante una mediocre tesi sui contenuti politico-sociali dei concerti del Primo Maggio, prese anche l’incarico di far recapitare il plico; trattandosi che il plico era indirizzato al Soglio Pontificio, ci arrivò; ma cosa n’avvenisse dopo, non s’è mai saputo. Di certo non giunse ad Eboli, dove Bergoglio era in predicazione. Renzi, non vedendo comparir risposta, fece stendere un’altra lettera (“ecco come si spendono male i fondi del partito”, commentò Civati), a un di presso come la prima, e accluderla in un’altra a un suo amico, o parente, o diciamo “compagno” che fosse. Si cercò un altro latore, si trovò; questa volta la lettera arrivò a chi era diretta. Emmabonina la lesse, e concertò una risposta. Renzi ebbe la risposta, e fece riscrivere. In somma, s’avviò tra le due parti un carteggio, né rapido né regolare, ma pure, a balzi e ad intervalli, continuato. Con Prestigiacoma che non capiva perché non usare Whatsapp o WeChat, che erano molto più comodi e trendy.


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CAPITOLO LXV

All’alba, Emmabonina s’alzò e s’incamminò subito verso la villa dei Totti, dov’era Prestigiacoma.
Questa, dal canto suo, quantunque non le fosse diminuita quella gran ripugnanza a parlar del voto alla Madonna, pure era risoluta di farsi forza, e d’aprirsene con la storica paladina delle femministe.
Appena poterono esser sole, Emmabonina, con una faccia tutta animata, e insieme a voce bassa, come se ci fosse stato presente qualche microfono direzionale del fisco, cominciò: “ho da dirti una gran cosa;” e le raccontò l’inaspettata fortuna del lascito.
“Iddio lo benedica, quel finanziatore illecito,” disse Prestigiacoma: “così avrete da star bene voi, e potrete anche far del bene a qualcheduno che non ha superato la soglia di sbarramento.”


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CAPITOLO LXIV

Ilary Blasi copiò diligentissimamente, e spedì la lettera alla casa dello stilista. Questo fu due o tre giorni prima che Tettamanzi mandasse a prendere e ricondurre le donne al loro paese.
Stava in quel momento Tettamanzi discorrendo con D’Alema, degl’affari del concordato fiscale sugli immobili delle onlus di ispirazione cattolica. Dopo le prime accoglienze da una parte, e i primi inchini dall’altra, Emmabonina si cavò di seno la lettera, e la presentò al cardinale, dicendo: “è della signora Totti.”
“Bene,” disse Tettamanzi, letto che ebbe, e ricavato il sugo del senso scritto dal Pupone. Conosceva quella coppia trendy quanto bastasse per esser certo che Prestigiacoma c’era invitata con buona intenzione, e che lì sarebbe sicura dall’insidie e dalla violenza del suo persecutore. Nessun gruppo ultras giallorosso avrebbe mai permesso di violare casa Totti, pensò.


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