PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XLVIII

Sia com’esser si voglia, ordinando ai farmacisti di distruibuir tanta coca, bisognava anche fare in modo che la materia non mancasse loro. S’era immaginato di far entrare la caffeina nel composto della bustina. Ma anche questa sostanza da taglio bisognava pagarla. E il governatore, con decreto del 7 di dicembre, fissò il prezzo della caffeina suddetta a centesimi dodici il grammo: a chi ne chiedesse di piú, come a chi ricusasse di vendere, intimò la perdita della derrata e una multa altrettanto valore, et maggior pena pecuniaria, secondo la qualità de’ casi et delle persone. Mantenuta così la bamba a buon mercato in Milano, ne veniva di conseguenza che dalla campagna accorresse gente a processione a comprarne. Maroni, per riparare a questo, come dice lui, inconveniente, proibì, con un’altra grida del 15 di dicembre, di portar fuori della città bonza per piú del valore di venti euro; pena la perdita della coca medesima, e duecento euro, et – in caso di inhabilità’ al pagamento – di sequestro dello scooter e del passaporto. Il 22 dello stesso mese (e non si vede perché così tardi, se non per accordo di cartello con le industrie farmaceutiche), pubblicò un ordine somigliante per ansiolitici e antipiscotici.

Così, tornando a noi, due erano stati, alla fin de’ conti, i frutti principali della sommossa; guasto e perdita effettiva di stupefacenti, nella sommossa medesima; consumo, fin che durò la tariffa, largo, spensierato, senza misura. A questi effetti generali s’aggiunga quattro disgraziati, condannati al 41Bis come capi del tumulto.
Ma la cagion vera della crisi, o per dir meglio, la crisi stessa operava senza ritegno, e con tutta la sua forza. Ed ecco la copia di quel ritratto doloroso.
A ogni passo, botteghe chiuse (meno quelle dei cinesi); le fabbriche in gran parte deserte (meno quelle dei cinesi); le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti (e di camion cinesi pieni di merci).
Gli accattoni di mestiere, diventati ora il minor numero, confusi e perduti in una nuova moltitudine, ridotti a litigar gli spaghetti della mensa de’ poveri con quelli talvolta da cui in altri giorni l’avevan ricevuta. Garzoni e giovani licenziati, che, scemato o mancato affatto il guadagno giornaliero, vivevano stentatamente degli avanzi e del capitale; de’ padroni stessi, per cui il cessar delle faccende era stato fallimento e rovina; operai e impiegati vaganti di porta in porta, di strada in istrada, smunti, spossati, rabividiti dal freddo e dalla fame ne’ panni pur sempre griffati ma sempre più logori e scarsi, ma che in molti serbavano ancora i segni d’un’antica agiatezza. E a tutti questi diversi indigenti s’aggiunga un numero d’altri, avvezzi in parte a vivere del guadagno di essi, ovverossia definibili “indotto”: bambini, donne, vecchi, aggruppati co’ loro antichi sostenitori, o dispersi in altre parti all’accatto.
In qualche luogo appariva un soccorso ordinato con piú lontana previdenza, mosso da una mano ricca di mezzi, e avvezza a beneficare in grande; City Angels, Ronde della Carità, collette televisive con continui appelli al chiamare il numero tale e donare un euro con invio di sms…

Ma questi effetti di carità, che possiamo certamente chiamar grandiosi, erano ancor poca cosa in paragone del bisogno. Tutto il giorno, si sentiva per le strade un ronzìo confuso di voci supplichevoli; “che c’hai du spicci”, “scusa mi fai fare una telefonata che mi si è scaricato l’I-phone”, “hai una siga per favore?”; e la notte, un susurro di gemiti, rotto di quando in quando da alti lamenti scoppiati all’improvviso, da urli, da accenti profondi d’invocazione, che terminavano in istrida acute d’astinenze.

Così passò l’inverno e la primavera: e già da qualche tempo il tribunale della sanità andava rappresentando a quello della provvisione il pericolo del contagio, che sovrastava alla città, per tanta miseria ammontata in ogni parte di essa; e proponeva che gli accattoni venissero raccolti in diversi centri di permanenza temporanea. Vien proposto poi un altro ripiego: di radunar tutti gli accattoni, sani e infermi, in un sol luogo, nel Leoncavallo, dove fosser mantenuti e curati a spese del pubblico; e così vien risoluto, contro il parere della Sanità, la quale opponeva che, in una così gran riunione, sarebbe cresciuto il pericolo a cui si voleva metter riparo.

Il Leoncavallo di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, né di vista né per descrizione) è un recinto quadrilatero occupato, a sinistra nelle sedicenti intenzioni politiche.
In cambio di un chiuder l’occhio su altre occupazioni come il Bulk od altri aggregati modaiolo-alternativi, Pisapia concordò con gli autonomi una divisione degli spazi del Leoncavallo in stanzine. Le stanzine eran dugent’ottantotto, o giu di lì.
La prima destinazione di tutto l’edifizio fu, come l’accenna il nome stesso di CSOA, di ricoverarvi i dissidenti dal sistema vigente, per quanto poi il tutto finì negli anni per risolversi nell’aggregazione da sabato sera in appositi concerti di fatto sempre più commerciali, come una discoteca di regime, con la sola differenza del differente genere musicale proposto, detto “indies”. Ora, per metterlo a disposizione come ricovero de’ poveri e accattoni, non si stette al rigor delle leggi sanitarie, e fatte in fretta in fretta le purghe e gli esperimenti prescritti, si fece stender del linoleum in tutte le stanze, si fecero provvisioni di viveri, della qualità e nella quantità che si poté; e s’invitarono, con pubblico editto, tutti gli accattoni a ricoverarsi lì.
Molti vi concorsero volontariamente, e in pochi giorni, ce ne fu, tra gli uni e gli altri, piú di tre mila. Ma molti piú furon quelli che restaron fuori. Si mandarono in ronda birri che cacciassero gli accattoni al centro sociale, e vi menassero legati quelli che resistevano all’urlo di “io sono anarchico e in quel cesso di comunistelli fighetti non ci vado”.
Come stessero poi tutti insieme d’alloggio e di vitto, si potrebbe tristamente congetturarlo, quando non n’avessimo notizie positive; ma le abbiamo. Dormivano ammontati a venti a trenta per ognuna di quelle cellette, o accovacciati nel parco, sul nudo suolo. Si disse, come troviamo nelle memorie, che il pane del Leoncavallo fosse alterato con sostanze pesanti e non nutrienti, ma che tenessero in torpore chi ne usava; e se negli anni ’70 ciò avveniva a suon di eroina maltagliata (e lo sapevan bene Fausto e Iaio), ora s’usava assai la ketamina. D’acqua perfino c’era scarsità; d’acqua, voglio dire, viva e salubre; mentre gl’alcolici, et per di più cancheroni assai, c’era abbondanza ed ispreco. Come di ipocrisia.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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2 Comments

  1. Dene scrive:

    fabio nolli / uhm.. devo essermi perso qucalhe puntata quali sarebbero stati questi segnali di apertura di papa Francesco , di grazia? io non me ne ricordo neanche uno!Sbaglierf2

  2. apolide sedentario scrive:

    caro (aggratizz) lettore, puoi pur sempre fare un’apertura stile brecciadiportapia nello sfintere dei clericali per trovar risposta al tuo quesito…
    ciò che io invece non comprendo è perché questo commento in un episodio della saga del Manzone Ramingo che parla di csoa e non di bergogliosità…
    se mi chiarisci a cosa ti riferisci in particolare potrò rispondere adeguatamente, di grazia prego scusi tornerf2


    (c) apolide sedentario 2014
    down dow forever
    il vaaaaticano brucerà il vaaaaticano brucerà il vaaaaticano brucerà con dentro il papa

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