PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XLVII

La Blasi non s’appagava d’una risposta simile; replicava che ci volevan fatti e non parole; si diffondeva a parlare sul costume delle giovani, le quali, diceva, “quando hanno nel cuore uno scapestrato (ed è lì che inclinano sempre), non se lo staccan più. Un partito onesto, ragionevole, d’un galantuomo, d’un uomo assestato, che, per qualche accidente, vada a monte, son subito rassegnate; ma un rompicollo, è piaga incurabile. E poi giù a parlare di maltrattamenti e femminicidi”. E allora principiava il panegirico del povero assente, del birbante venuto a Milano, per rubare benevolenza e scannare costituzioni resistenziali; e voleva far confessare a Prestigiacoma le bricconate che colui doveva aver fatte, sicuramente anche al suo paese, ché si sa che gl’appalti di Florentia fan gola assai a ben più d’un fanfarone.

Prestigiacoma, con la voce tremante di vergogna, assicurava e attestava, che Renzi, al suo paese Pontassieve, non aveva mai fatto parlar di sé, altro che in bene; Ruota della Fortuna con Bongiorno, teatrini parrocchiali goliardici con imitazioni dei politici arcoriani, solo attività simpatiche e brillanti; e avrebbe voluto, diceva, che fosse presente qualcheduno di là, per fargli far testimonianza. Anche sull’avventure di Firenze e poi di Roma, e a quelle della rivolta tossicofila di Milano, della quale non era ben informata, lo difendeva, appunto con la cognizione che aveva di lui e de’ suoi portamenti fino dalla fanciullezza nelle coccinelle scout. Ma da queste apologie Ilary Blasi ricavava nuovi argomenti per convincer Prestigiacoma, che il suo cuore era ancora perso dietro a colui.

Buon per lei, che non era la sola a cui Ilary avesse a far del bene; c’erano anche la figlia di Di Cioccio della PFM, le gruppies giallorosse di Totti, la segretaria di redazione della Gialappa’s; sicché le baruffe non potevano esser così frequenti. E poi c’erano i figli del Pupone da badare.
Lì nella Roma della parte calcistica della Lupa, ogni persona era soggetta, in tutto e per tutto, alla sua autorità, fuorché Totti stesso, col quale le cose andavano in un modo affatto particolare.
Uomo di studio elementare con licenza presa alle serali, al Francesco Pupone non gli piaceva né di comandare né d’ubbidire. Che, in tutte le cose di casa, la signora moglie fosse la padrona, alla buon’ora; ma lui servo, no. Lui, il capitano. La Blasi, dopo aver tentato per qualche tempo, e inutilmente, di tirarlo dal lasciar fare al fare, s’era ristretta a brontolare spesso contro di lui, a nominarlo uno schivafatiche, uno che approfitta di avere i piedi buoni per non correre come l’ala sinistra; un uomo fisso nelle sue idee, un regista offensivo; titolo nel quale, insieme con la stizza, c’entrava anche un po’ di compiacenza tattica.

Totti passava di grand’ore tra palestra e campetto, dove aveva una raccolta di palloni considerabile, poco meno di trecento: tutta roba scelta, tutti conquistati a suon di triplette di reti segnati o di riconoscimenti delle testate sportive nazionali e internazionali. Nell’astrologia, era tenuto, e con ragione, per più che un dilettante; perché non ne possedeva soltanto quelle nozioni generiche, e quel vocabolario comune, d’influssi, d’aspetti, di congiunzioni; ma sapeva parlare a proposito, e come dalla cattedra, degli undici in campo, de’ punizioni a due o indirette, d’esaltazione e di deiezione canina a bordo campo che ti insozzi i tacchetti quando hai un fallo laterale, di transiti e di rivoluzioni in spogliatoio durante i periodi di mercato di gennaio, de’ princìpi in somma più certi e più reconditi della scienza prestipedatoria. Della filosofia antica del calcio aveva imparato quanto poteva bastare, e n’andava di continuo imparando di più, dalla lettura di Liedholm e di Mazzone. Siccome però que’ sistemi, per quanto sian belli, non si può adottarli tutti; e, a voler esser filosofo, bisogna scegliere uno schema, così Totti aveva scelto Garcia, il quale, come diceva lui, non è né antico né moderno; è il Mister.
Ma cos’è mai il calcio, diceva spesso Totti, senza la politica? C’era dunque ne’ suoi scaffali, tra coppe e magliette, un palchetto assegnato agli statisti; dove, tra molti di piccola mole, e di fama secondaria, spiccavano Andreotti, Liguori, Squinzi, e il Tanzi del Parma europeo.
Ma se c’era una sciena in cui Totti in cui meritava e godeva il titolo di professore, in quanto la osannava come codice etico tranne poi sotterrarla sotto caterve di gomitate e scorrettezze: la scienza cavalleresca. Non solo ne ragionava con vero possesso, ma pregato frequentemente d’intervenire in affari d’onore, dava sempre qualche decisione. Sputava in faccia all’avversario, prendeva a gratuiti calcioni Balottelli, mandava a fanculo l’arbitro.

Per tornare alla nostra vicenda e ai nostri protagonisti, sino all’autunno del seguente anno, rimasero tutti, chi per volontà, chi per forza, nello stato a un di presso in cui gli abbiam lasciati, senza che ad alcuno accadesse, né che alcun altro potesse far cosa degna d’esser riferita. Venne l’autunno, in cui Emmabonina e Prestigiacoma avevan fatto conto di ritrovarsi insieme: ma un grande avvenimento pubblico mandò quel conto all’a. Ora, perché i fatti privati che ci rimangon da raccontare, riescan chiari, dobbiamo assolutamente premettere un racconto alla meglio di quei pubblici, prendendola anche un po’ da lontano.
Dopo quella sedizione milanese, parve che l’abbondanza fosse tornata in Milano, come per miracolo. Coca e Lexotan in quantità da tutti i farmacisti; il prezzo, come nell’annate migliori. Coloro che, in que’ due giorni, s’erano addati a urlare o a far anche qualcosa di piú, avevano ora (meno alcuni pochi stati presi) di che lodarsi: e non crediate che se ne stessero, appena cessato quel primo spavento delle catture. Sulle piazze, sulle cantonate, nelle bettole, era un tripudio palese, un congratularsi e un vantarsi tra’ denti marci e narici d’aver trovata la maniera di ottenere le sostanze. In mezzo però alla festa e alla baldanza, c’era (e come non ci sarebbe stata?) un’inquietudine, un presentimento che la cosa non avesse a durare. Tutti consumavano senza risparmio; chi aveva qualche quattrino da parte, l’investiva in bonza e ansiolitici. Così, facendo a gara a goder del buon mercato presente, ne rendevano, non dico impossibile la lunga durata, che già lo era per sé, ma sempre piú difficile anche la continuazione momentanea. Ed ecco che, il 15 di novembre, fu pubblicato un decreto legge con il quale, a chiunque avesse pastiglie o bustine in casa, veniva proibito di comprarne né punto né poco, e ad ognuno di comprar bamba per piú che il bisogno di due giorni, sotto pene pecuniarie studiate apposta per puntellare il Pil.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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