PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO LI

Emmabonina e la Melandri per non mangiare il pane a ufo, avevan voluto essere impiegate ne’ servizi che richiedeva una così grande ospitalità, vantando lauree in scienze politiche che nessuno, in quella situazione, aveva da verificare; e in preparazioni di buffet spendevano una buona parte della giornata; il resto nel chiacchierare con certe amiche che s’eran fatte, o col povero D’Alema. Questo non aveva nulla da fare, ma non s’annoiava però; la paura gli teneva compagnia. La paura di una vecchiaia nel dimenticatoio, letteralmente rottamato, lontano da’ governi e da summit internazionali, ricordato al più ogni decennio per qualche intervista di Rai Educational su un qualche anniversario delle guerre yugoslave.
A tutti i suoi compagni di rifugio, l’ex premier faceva gran riverenze democratiche o gran saluti progressisti, ma bazzicava con pochissimi: la sua conversazione piú frequente era con le due donne, come abbiam detto; come se avesse colto in ritardo storico sia la svolta demagogica delle quote rosa, sia (nel ventennio prima) l’importanza di un harem di troiette starlette da riciclare a capitale per qualche ministero.

Finché tutto il paese, a destra e a sinistra e tra i centristi, si trovò libero. Finite le retatazze, terminati i finanziamenti per l’operazione in stile Dia. E gl’ospiti eran partiti dal castello; e ogni giorno ne partiva: come, dopo un temporale d’autunno, si vede dai palchi fronzuti d’un grand’albero uscire da ogni parte gli uccelli che ci s’erano riparati. Credo che i nostri tre fossero gli ultimi ad andarsene; e ciò per volere di D’Alema, il quale temeva, se si tornasse subito a casa, di trovarsi ancora sotto intercettazione quando l’avesse chiamato Fassino da una banca.
Il giorno fissato per la partenza, l’innominato Venerabile fece trovar pronta alla Malanotte una Maserati, nella quale aveva già fatto mettere un corredo di biancheria per Emmabonina. E tiratala in disparte, le fece anche accettare un gruppetto di azioni delle industrie sotto controllo massonico, riparate da ogni crollo di borsa, per riparare al guasto che troverebbe in casa; quantunque, battendo la mano sul petto. Volle poi accompagnar tutti e tre gli ospiti, fino alla Maserati. Partirono.

Con l’aspettativa di trovare altrettanto a casa loro, ci arrivarono; e trovarono infatti quello che s’aspettavano. Emmabonina fece posare i fagotti in un canto del cortiletto, ch’era rimasto il luogo piú pulito della casa dopo la furibonda perquisa; si mise poi a spazzarla, a raccogliere e a rigovernare; fece venire un legnaiolo e un fabbro, per riparare i guasti piú grossi, e guardando poi, capo per capo, gl’abiti griffati regalati, e contando que’ nuovi ruspi, diceva tra sé: “Son caduta in piedi; sia ringraziato Iddio e la Madonna e quel buon signore: posso proprio dire d’esser caduta in piedi. Pensa se era un periodo che ospitavo Pannella, e come minimo mi trovavano a domicilio una chilata di marocco da distribuire in piazza o consegnare in diretta tv a una giornalista showgirl…”
D’Alema e la Melandri entrano nella sede del PD, senza aiuto di chiavi; ogni passo che fanno nell’andito, senton crescere un tanfo, un veleno, una peste, che li respinge indietro; e non è il dopobarba della Concia o la lacca della Madia; con la mano al naso, dànno un’occhiata in giro. Non c’era nulla d’intero; ma avanzi e frammenti di quel che c’era stato, lì e altrove, se ne vedeva in ogni canto: fogli delle agende di D’Alema, cocci di patti elettorali con Sel, richieste Mediaset di mantenimento dello status quo televisivo senza dismissione di Retequattro; tutto insieme o sparpagliato.
“Ah porci!” esclamò la Melandri. “Ah extraparlamentari del cazzo!” esclamò D’Alema; e, come scappando, andaron fuori, per un altr’uscio che metteva nel giardino. Respirarono; andaron diviato al fico; ma già prima d’arrivarci, videro la terra smossa, e misero un grido tutt’e due insieme; arrivati, trovarono effettivamente, in vece del morto, la buca aperta. Un ventennio di incassi della Coop girati in nero alla dirigenza PD volatilizzati. Qui nacquero de’ guai: D’Alema cominciò a prendersela con la Melandri, che non avesse nascosto bene: pensate se questa rimase zitta: dopo ch’ebbero ben gridato, tutt’e due col braccio teso per la foga violenta, come camicie nere ch’avevan perduta Salò, e con l’indice appuntato verso la buca, se ne tornarono insieme, brontolando.

Ma la vera peste che il ministero della sanità aveva temuto potesse entrar nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; in forma di inarrestabile ludopatia; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte della penisola. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità. E in questo racconto, il nostro fine non è, per dir la verità, soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria piú famoso che conosciuto.
Per tutto adunque il territorio già provato da dissesti idrogeologici e psicopatie metanfetaminiche, s’era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada. Tutti suicidi disperati dalla propria rovina economica. Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, con segni sconosciuti alla piú parte de’ viventi. C’era soltanto alcuni a cui non riuscissero nuovi: que’ pochi che potessero ricordarsi della mania del gioco che, decenni avanti, aveva desolata pure una buona parte d’Italia, e in ispecie il milanese, dove fu chiamata, ed è tuttora, la passione per il Rischiatutto televisivo; malanno capace d’attrarre nei di allora cinema o di fronte ai pochissimi tubi catodici commercializzati all’epoca interi borghi di teleanalfabeti arcaici.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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