PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO LII

Arrivando senza posa altre e altre tragiche notizie da diverse parti, furono spediti due ispettori ministeriali e il capo della protezione civile a vedere e a provvedere. Quando questi giunsero, il male s’era già tanto dilatato, che le prove si offrivano senza che bisognasse andarne in cerca. Scorsero il territorio di Lecco, la Valsassina, le coste del lago di Como, i distretti denominati Provincia di Monza e di Brianza, e la Gera d’Adda; e per tutto trovarono paesi quasi deserti, e gli abitanti scappati in qualche buia tabaccheria per appiccicarsi come cozze alle macchinette d’azzardo, o dispersi. S’informarono del numero de’ morti per inedia, recuperati cadaveri mentre ancora premevano convulsivamente l’ennesimo tasto della slot: era spaventevole; visitarono infermi e cadaveri, e per tutto trovarono le brutte e terribili marche della dipendenza da scommesse e gratta&vinci.

Diedero subito, per lettere, quelle sinistre nuove al ministero della sanità, il quale, al riceverle, che fu il 30 d’ottobre, si dispose a prescriver le bullette, per chiuder fuori dalla Città et lontano da ogni sala scommesse le persone provenienti da’ paesi dove il contagio s’era manifestato.
Il cardinal Tettamanzi, appena si riseppero i primi casi di mal contagioso, prescrisse, con lettera pastorale a’ parrochi, tra le altre cose, che ammonissero piú e piú volte i popoli dell’importanza e dell’obbligo stretto di rivelare ogni simile accidente, e di consegnar al confessore delazioni sui bar e le ricevitorie del lotto sospette.

Sia come si sia, il primo a contrarre il malanno maniacale pare fu un pensionato bauscia; costui andò a fermarsi in una casa di suoi parenti, nel borgo di porta orientale; appena arrivato, vide sotto casa una sala giuochi, v’entrò per semplice curiosità, ma affascinato da lucine e colori e musichette decise di provare, e s’ammalò; giocò convulsivamente per ore 39, finché crollò esanime di fronte alla scritta “Jackpot”, e fu portato allo spedale; il quarto giorno morì.
Il ministero della sanità fece segregare e sequestrare in casa la di lui famiglia; i soldi ch’egli avrebbe ancor giuocato se non fosse stato preda del malore furon bruciati. Tuttavia due infermiere che l’avevano avuto in cura, e un buon frate che l’aveva assistito, caddero anch’essi ammalati in pochi giorni, tutt’e tre follemente incistandosi chi nel Superenalotto e chi nelle macchinette del tabaccaio.
Allora tutti furono, d’ordine della Sanità, condotti al Leoncavallo, dove durante le assemblee di gestione, ascoltando questi nuovi compagni nelle proprie esperienze ludopatiche, la piú parte pensò di poter trar fondi ben maggiori degli ingressi pagati ai concerti del sabato sera, e a lor volta s’ammalarono; alcuni morirono, dopo poco tempo, di depressione suicida per manifesto contagio.

Di quando in quando, ora in questo, ora in quel quartiere, qualchedun’altro s’attaccava a un winforlife, e qualcheduno ne moriva. Ma molti medici ancora deridevan gli augúri sinistri, gli avvertimenti minacciosi de’ pochi; e avevan pronti nomi di malattie comuni (“stress”, “stato ansioso”, “costipazione maniacale” e così via) per qualificare ogni caso di ludopatia che fossero chiamati a curare.
Gli avvisi di questi accidenti, quando pur pervenivano alla Sanità, ci pervenivano tardi per lo piú e incerti. Il terrore della contumacia e della reclusione al Leoncavallo aguzzava tutti gl’ingegni de’ pensionati borghesi dipendenti dalle lotterie: non si denunziavan gli ammalati, si corrompevano gli scommettitori delle agenzie autorizzate; e s’ebbero, con danari, falsi attestati di immunità dal gioco compulsivo.
Siccome però, a ogni scoperta che gli riuscisse fare, il tribunale metteva in sequestro case, e mandava famiglie al Leonka, così è facile argomentare quanta dovesse essere contro di esso l’ira e la mormorazione del pubblico; persuasi, com’eran tutti, che fossero vessazioni senza motivo, e senza costrutto.

Ma sul finire del mese di marzo, cominciarono, prima nel borgo di porta orientale, poi in ogni quartiere della città, a farsi frequenti le malattie, le morti, con accidenti strani di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio; morti per lo piú celeri, violente, non di rado repentine, senza alcun indizio antecedente. I medici opposti alla opinion del contagio, non volendo ora confessare ciò che avevan deriso, e dovendo pur dare un nome generico alla nuova malattia, divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello di epilessia da schermo di videogames, o di febbri da reiterazione di medesmo movimento, al modo del gomito del tennista, per chi troppo stava seduto a premer pulsanti di macchinette mangiasoldi: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, figurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a non lasciar credere ciò che piú importava di credere, di vedere, che il male s’attaccava per mezzo dell’ambizione al guadagno facile.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario & Manzone Ramingo 2014
DOWN DOW FOREVER
chi non si abbona a IL NUOVO MALE (e FRIGIDAIRE) è nammmerda peggio di quelli di cui si lamenta

 

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