PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO L

D’Alema correva, stralunato e mezzo fuor di sé, per la casa; andava dietro alla Melandri, per concertare una risoluzione con lei; ma ella, affaccendata a raccogliere i dossier segreti e le ricevute degli appalti coop, e a nasconderli in soffitta, passava di corsa, affannata, preoccupata, con le mani e con le braccia piene, e rispondeva: – or ora finisco di metter questa roba al sicuro, e poi faremo anche noi come fanno gli altri, i Matacena per capirci; s’ingegnano gli altri; c’ingegneremo anche noi. Mi scusi, ma potrebbe anche dare una mano, in questi momenti, in vece di venir tra’ piedi a piangere e a impicciare -.

– Oh povero me! – esclamava D’Alema: – oh che gente! che cuori! Non c’è carità: ognun pensa a sé; e a me nessuno vuol pensare -. E rimpiangeva per la prima volta d’aver affossato il comunismo svendendolo al neoliberismo ammmericano.
Quanto alla Melandri, ella chiese: – Oh, e i danari?
– Come fare
– Li dia a me, che anderò a sotterrarli qui nell’orto cittadino concesso ai disoccupati, insieme con le posate.
– Ma…
– Ma, ma; dia qui; tenga qualche soldo, per quel che può occorrere; e poi lasci fare a me.
D’Alema ubbidì, andò allo scrigno, cavò il suo tesoretto con l’aria di un Mario Chiesa o d’un Poggiolini della Prima Repubblica, e lo consegnò alla Melandri.

In quel momento entrò Emmabonina con ventiquattr’ore in mano, e in aria di chi viene a fare una proposta importante.
Ora, mentre andava anch’essa rimpiattando qua e là alla meglio ciò che non poteva portar con sé, e pensava ai dollari che teneva cuciti nel push-up, si rammentò che, insieme con essi, Licio Gelli, le aveva mandate le più larghe offerte di servizi; si rammentò le cose che aveva sentito raccontare di quel suo castello posto in luogo così sicuro, e dove, a dispetto del padrone, non potevano arrivar se non gli uccelli (ivi esclusi pure i droni); e si risolvette d’andare a chiedere un asilo lassù. Pensò come potrebbe farsi conoscere da quel Maestro Venerabile, e le venne subito in mente D’Alema. Trovatolo con la Melandri, fece la proposta a tutt’e due.
– Che ne dite, Melandri? – domandò D’Alema.
– Dico che è un’ispirazione del cielo, e che non bisogna perder tempo, e mettersi la strada tra le gambe. Là soldati e finanzieri non ne verrà certamente. E poi e poi, ci troveremo anche da mangiare.
Presero per i campi odorosi di pesticidi, zitti zitti, costeggiarono grandi cantieri di grandi opere pubbliche, zitti zitti, pensando ognuno a’ casi suoi, zitti zitti, e guardandosi intorno.

E Gelli? Dal giorno che l’abbiam lasciato, aveva sempre continuato a far ciò che allora s’era proposto: compensar danni, chieder pace, estinguer mutui, aprir mutui soccorsi, soccorrer poveri; sempre del bene in somma, secondo l’occasione.
E quando, al calar delle retate, alcuni giovini tossicofili fuggiaschi della milanodabere&dabbene, e destrorsi, e minacciati d’esser tradotti al Leoncavallo, capitarono su al castello a chieder ricovero, il Gran Maestro, tutto contento che quelle sue mura fossero cercate come asilo da’ deboli non succubi delle lusinghe comuniste, accolse quegli sbandati, come tanti anni prima avrebbe fatto con degli Ordinuovisti ancora pregni d’odore d’esplosivo.

Quando v’arrivò l’auto a nolo coi nostri protagonisti, D’Alema fece un profondo inchino: ché, guardando in su, aveva visto Gelli scender verso di loro. Anche questo aveva visto e riconosciuto l’ex premier; e affrettava il passo per andargli incontro.
“Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima,” disse D’Alema, “mi son preso l’ardire di venire, in queste triste circostanze, a incomodarla: e, come vede vossignoria illustrissima, mi son preso anche la libertà di menar compagnia. Questa è la mia governante…”
“Benvenuta,” disse Gelli notando il fisichello ancor piacente dell’ex ministra Melandri.
“E questa,” continuò D’Alema, “è una donna a cui vossignoria ha già fatto del bene: la tutrice di quella… di quella…”
“Di Prestigiacoma,” disse Emmabonina.
Licio troncò quelle parole, domandando premurosamente le nuove della sicula; e sapute che l’ebbe, si voltò per accompagnare al castello i nuovi ospiti.
“Tra due fuochi,” diceva tra sé D’Alema: “proprio tra due fuochi. Dove mi son lasciato tirare! e da due pettegole! Come un centrista in estinzione nel bipolarismo ch’io stesso ideai per garantirmi un ruolo perenne al potere…”

Ventitre o ventiquattro giorni stettero i nostri fuggitivi nel castello, in mezzo a un movimento continuo, in una gran compagnia, e che ne’ primi tempi, andò sempre crescendo; ma senza che accadesse nulla di straordinario. Gelli per decenni aveva messi fratelli e amici dei fratelli e amici degli degli amici dei fratelli in diversi luoghi istituzionali, i quali tutti invigilavano che non seguisse nessun inconveniente.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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