Categoria: ‘I Promessi Divorziati’
CAPITOLO LXXIII
Venne la non autorizzazione a procedere da parte della Camera, venne l’assolutoria per prescrizione in base a un codicillo residuo del precedente governo, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella cerimonia, dove, proprio per bocca di D’Alema pur torva sotto i baffetti, furono sposi bipolaristi.
Un altro trionfo, e ben piú singolare, fu l’andare pe’l rinfresco a quel palazzotto che fu di Dell’Utri ed ora era invece di Scajola; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all’entrare in quella porta. Accennerò soltanto che, in mezzo all’allegria, ci mancava il povero Papa Francesco. “Ma per lui,” dicevan poi, “sta meglio di noi sicuramente, bevendo caffè con San Pietro”. E vai di grasse risate da parte di Pannella, pur seduto in disparte alla tavolata, digiunando per le mancate riforme in chiave liberalizzatoria.
Scajola fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello con rubinetti che pensava d’ottone ed erano invece a sua insaputa d’oro, mise a tavola gli sposi, con Emmabonina a capotavola se proprio non a capo dello stato.
CAPITOLO LXXII
Data un’aggiustina ai baffetti, canuti ma pur sempre da sparviero, D’Alema ragionò poi: “In quanto alle sempre possibili mosse della magistratura, vedo anch’io che non ci sia ora piú nessuno che vi tenga di mira, ché se riuscimmo a tener fuori le Coop e l’Arci da Manipulite noi rottamati qualcosa mi riconoscerà che sapevamo pur fare, caro il mio giovine sindaco fonzarello. Intanto chiederemo la dispensa per le due denunzie a lei per i tumulti milanesi e a suo padre per le ruberie genovesi.”
“Si figuri che all’epoca da lei citata, solamente nelle aziende del mio indotto, almeno cinquanta imprenditori avrebbero potuto fare la fine di Gardini, se non si fosse riusciti a limitare a Craxi l’accanimento delle toghe e dell’opinione pubblica”, ricordò la Marcegaglia.
CAPITOLO LXXI
“Sapete cosa faremo?” disse la Marcegaglia: “voglio che andiamo noi altre donne a fare un’altra prova, e vedere se ci riesce meglio. Così avrò anch’io il gusto di conoscerlo questo baffetto d’un D’Alema, se è proprio come dite, incanutito e all’apparenza marginalizzato. Ma dopo desinare voglio che andiamo. Ora, sindaco sposo anziché celebrante, menateci un po’ a spasso noi altre due, ché a Prestigiacoma farò io da mamma”.
“Intendete che vi debba portare a implementare il pil con un po’ di strategia del pelo, che sempre funziona, menandovi a spasso nel senso al marciapiede?” fece Renzi più bollito ancor del solito nella sua ebete espressività.
“Ma no bischero”, disse l’Emma industriale, “ho proprio voglia di vedere un po’ meglio queste montagne, questo lago; il poco che n’ho già visto, mi pare una gran bella cosa. All’estero ci porto i capitali, insieme a Gino Paoli, ma quando si tratta di veder bei paesaggi, qui abbiamo il paradiso, seppur non fiscale”.
CAPITOLO LXX
Una sera, Emmabonina vede la fotocellula all’uscio accendersi. “E’ lei, di certo!” Era proprio lei, Prestigiacoma, con la buona Marcegaglia. L’accoglienze vicendevoli se le immagini il lettore. A parte l’essere due Emme (e dicendosi l’un l’altra “ora ci manca solo la Marrone”), tre tali donne radicalmente donne – per quanto ciascuna in una propria interpretazione del potere al proprio utero – fanno certo entusiasmo del ritrovarsi per spettegolar dei maschi…
La mattina seguente, di buon’ora, capita Renzi che non sa nulla, e vien solamente per isfogarsi un po’ con Emmabonina sulle difficoltà nel riformare in un paese restio all’iperliberismo postpostfordiano. Gli atti che fece, e le cose che disse, e l’erezione evidente alla patta al trovarsela davanti, si rimettono anche quelli all’immaginazion del lettore (e tanta ce ne vuol, per immaginar evidenze di priapismo in tal toscan uccellino).
CAPITOLO LXIX
Ma, con tutta la volontà che abbiamo di secondar la fretta del lettore, ci son tre cose appartenenti a quell’intervallo di tempo, che non vorremmo passar sotto silenzio; e, per due almeno, crediamo che il lettore stesso dirà che avremmo fatto male. La prima, che, quando Prestigiacoma tornò a parlare alla Marcegaglia delle sue avventure, e fece menzione della signora che l’aveva ricoverata nel monastero di Monza, venne a sapere che la sciagurata Ruby, dopo molto infuriare e dibattersi per gl’introiti promessi e mancati a seguito della chiusura del procedimento, s’era ravveduta e s’era autoaccusata, facendo riaprire un fascicolo; ma che la sua vita attuale è supplizio volontario tale, che nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare un più severo: si pensi ch’ella ha solo uno smartphone con fotocamera rotta, da non potersi neanco fare un selfie. L’altra cosa è che Prestigiacoma, domandando del Papa Francesco a tutti, sentì, con più dolore che maraviglia, ch’era morto di Ebola contratto telefonando da una cabina pubblica a un fedele, in circostanze poco chiare nei resoconti della Curia Romana.
CAPITOLO LXVIII
Renzi si levò, non senza fatica, quel che restava de’ panni alluvionati, che gli s’eran come appiccicati addosso, come quello strano viscidume biancastro che trovava ovunque sui divanetti quando pranzava alle residenze arcoriane. E cercò d’Emmabonina. Le fece uno squillo da sotto casa: a una tal suoneria, essa s’affacciò di corsa alla finestra, ma anche stavolta capì che a trovarla la si andava a trovare, a stimarla la di diceva stimata, ma col cazzo che l’avrebbero eletta al posto di Mattarella, non avesse dato lei forfait per salute.
CAPITOLO LXVII
Appena ebbe Renzi passata la soglia del Leonkavallo, e preso a diritta (che sempre gli veniva facile), principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi, la solita bomba d’acqua, o come dicevan gl’antichi: la veniva giú a secchie.
Renzi, in vece d’inquietarsene, ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata, e pensava a contratti temporanei da 80 euro per spalatori di fango occasionali. Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se Renzi avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che quell’acqua portava via il contagio; che spaventati dall’ondata di piena anche i più accaniti giuocatori delle slot s’eran dati alla fuga dalla tentazione, e anche qualora non l’avessero fatto, le macchinette mangiasoldi alluvionate sarebbero state inutilazzibili.
CAPITOLO LXVI
“Ma non è peccato tornare indietro, pentirsi d’una promessa fatta alla Madonna?” disse Prestigiacoma.
“Peccato, figliuola?” disse il Papa. E chiamò con un cenno il giovine fiorentino, il quale se ne stava nel cantuccio il piú lontano, guardando (giacché non poteva far altro, a parte alcuni gesti compulsivi della mano che teneva in tasca) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato.
E, quando Renzi fu lì, disse, a voce piú alta, a Prestigiacoma: “con l’autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto, dal voto di scambio, e dal televoto. Il che non presuppone uno scioglimento delle Camere né uno scossone al governo, il qual per Concordato rispettiamo.”
CAPITOLO LXV
“Parlo da buon cristiano impegnato nella pollitica secondo un trend iniziato da Don Sturzo; e della Madonna penso meglio io che voi, e ci ho anche interi suoi album nel mio I-pod, altro che i cantautori vintage di Veltroni”, disse Renzi in esuberanza ormonale di fronte a Prestigiacoma dopo sì tanto tempo.
“No no; non dite così: non sapete quello che vi dite; scambiate una Maria Louise Veronica con la Maria per antonomasia; e neanche sapete cosa voglia dire antonomasia, sapete solo i termini del software e dello slang Apple; non lo sapete voi cosa sia fare un voto alla Madonna, voi che pure dei voti siete ipercapitalista, accumulandoli al 40%. Andate, andate, per amor del cielo!” urlò Prestigiacoma, e si scostò impetuosamente da lui.