PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO LXXII

Data un’aggiustina ai baffetti, canuti ma pur sempre da sparviero, D’Alema ragionò poi: “In quanto alle sempre possibili mosse della magistratura, vedo anch’io che non ci sia ora piú nessuno che vi tenga di mira, ché se riuscimmo a tener fuori le Coop e l’Arci da Manipulite noi rottamati qualcosa mi riconoscerà che sapevamo pur fare, caro il mio giovine sindaco fonzarello. Intanto chiederemo la dispensa per le due denunzie a lei per i tumulti milanesi e a suo padre per le ruberie genovesi.”
“Si figuri che all’epoca da lei citata, solamente nelle aziende del mio indotto, almeno cinquanta imprenditori avrebbero potuto fare la fine di Gardini, se non si fosse riusciti a limitare a Craxi l’accanimento delle toghe e dell’opinione pubblica”, ricordò la Marcegaglia.

“Ma a lei, signora, non hanno principiato a ronzarle intorno de’ mosconi? Cioè intendo non finanzieri in controlli fiscali, ma qualche bel giovane manzo ora che tanto va di moda lo stallone giovane per le donne diciamo mature e anche benestanti come è lei? E anche Emmabonina, veda; anche Emmabonina”, fece D’Alema.
“Uh! ha voglia di scherzare, lei,” disse la femminista radicale sottolineando la vena maschilista dell’apprezzamento dalemiano.
“Sicuro che ho voglia di scherzare: e mi pare che sia ora finalmente. E’ tutta la vita che faccio solo battute a denti stretti, da maligno andreottello malriuscito della sinistra. E da quando ero ai vertici della Fgci ne abbiam passate delle brutte, n’è vero, i miei giovani? delle brutte n’abbiam passate: dal piombo, alla gioiosa macchina da guerra, a tutti i vari alberi nel simbolo. Questi quattro giorni che dobbiamo stare in questo mondo, pensandoci seriamente ora che sono un settantenne privo di coca e pompette erettili, si può sperare che vogliano essere un po’ meglio. Ma! fortunati voi altri, che, non succedendo balzi dello spread, avete appena iniziato la gestione del Potere che manipolerete per il prossimo mezzo secolo, e avete dunque ancora un pezzo da parlare de’ guai passati: io in vece, sono alle ventitre e tre quarti, e… i birboni posson morire; della ludopatia si può guarire; ma agli anni non c’è rimedio: e, come dice, senectus ipsa est morbus.”

“Ora,” disse Renzi, “parli pur latino quanto vuole; che non me n’importa nulla. Anzi sa cosa le dico? Adesso twitto codesta amenità: rottamiamum analogicum et twittiamum tuttus!”
“Sta’ zitto, buffone, sta’ zitto. Di te non mi fa specie, che sei un malandrinaccio; un burattino delle logge toscane; una nullità messa a facciata di un popolo mentalmente resettato. Ma dico quest’acqua cheta, questa santerella sicula, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene. Prestigiacoma sposata a uno salito a Palazzo Chigi sotto il simbolo degli eredi del Pci, cose da averne il vomito. Ma già, lo so io chi l’aveva ammaestrata, lo so io, lo so io, con queste fiabe laiche del modello americano…”, e così dicendo D’Alema accennava Emmabonina col dito.

Il giorno seguente, gli capitò una visita, quanto meno aspettata tanto piú gradita: il signor Scajola, del quale s’era parlato, e che aveva rilevato la villa di Dell’Utri.
“Vengo,” disse, “a portarle i saluti di Caltagirone. Mi parlò un Maestro Venerabile di due giovani ch’eran promessi sposi, e che hanno avuto de’ guai, per causa di quel povero Dell’Utri. Son vivi? E le loro cose sono accomodate?”
“Accomodato ogni cosa. Piú presto che si potrà, saranno marito e moglie.”
“E io la prego di volermi dire se si possa far loro del bene, e anche d’insegnarmi la maniera piú conveniente. In una delle rese dei conti interne a Forza Italia, ho perduto i due figli che avevo, e, compresa quella ricevuta a mia insaputa da un capitolino, mi ritrovo con tre conti correnti considerabili. Del superfluo, n’avevo anche prima di questi tristi eventi: sicché lei vede che il darmi una occasione d’impiegarne che non sia fonte di ennesimi procedimenti giudiziari.”
“Il cielo la benedica! Perché non sono tutti come lei…? Basta; la ringrazio anch’io di cuore per questi miei figliuoli. Sappia dunque che questa buona gente son risoluti d’andare a metter su casa altrove, a metà strada tra quella delle Libertà e quella del Popolo, unendone nella nuova dimora vettovaglie e tassazioni sulle spazzatura. Insomma, nulla bisognano. Differentemente da noi rottamati, che saremo pur vecchi ma tante ne sappiamo sui nostri passati connubi, Scajola caro. E quindi forse il miglior uso di quelle quote eccedenti di cui parlava sarebbe finanziare una nostra fondazione, con ovvia garanzia di assoluto riciclaggio delle somme che intascheremo per sua magnificenza”, propose D’Alema con una rinnovata baldanza.
Scajola lodò molto il suggerimento; ringraziò D’Alema della prosecuzione del rapporto fiduciario.

Al che D’Alema, tutto gongolante, come vi potete immaginare, ne pensò e ne disse un’altra. “Giacché vossignoria illustrissima è tanto inclinato a far del bene a questa gente, ci sarebbe un altro servizio da render loro. Il giovine ha addosso una cattura, una specie di bando, di avviso di garanzia, di richiesta di autorizzazione a procedere da votarsi in sede parlamentare, per qualche scappatuccia che ha fatta in Milano, due anni sono: nulla di serio, veda: ragazzate, scapataggini, mica come ai tempi delle Ustiche, delle Piazze Fontane, dei Vajont: di far del male veramente, non è capace: egli è dell’indole degli inetti: e io posso dirlo, che l’ho veduto venir su, e non lo temevo proprio in quanto inetto, non fosse stato il calcioinculo di Licio… E insomma lei m’insegna che è sempre meglio non esser su que’ libri d’indagini. Una raccomandazione, una parolina d’un par suo, è piú del bisogno per ottenere una buona assolutoria.”
“Belin Massimo, a me lo vieni a chiedere? Ma allora è proprio vero che non conti più una minchia. Comunque la cosa sarà facile; e la prendo volentieri sopra di me”, disse Scajola.


(continua…)



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