PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)
CAPITOLO LXXIII
Venne la non autorizzazione a procedere da parte della Camera, venne l’assolutoria per prescrizione in base a un codicillo residuo del precedente governo, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella cerimonia, dove, proprio per bocca di D’Alema pur torva sotto i baffetti, furono sposi bipolaristi.
Un altro trionfo, e ben piú singolare, fu l’andare pe’l rinfresco a quel palazzotto che fu di Dell’Utri ed ora era invece di Scajola; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all’entrare in quella porta. Accennerò soltanto che, in mezzo all’allegria, ci mancava il povero Papa Francesco. “Ma per lui,” dicevan poi, “sta meglio di noi sicuramente, bevendo caffè con San Pietro”. E vai di grasse risate da parte di Pannella, pur seduto in disparte alla tavolata, digiunando per le mancate riforme in chiave liberalizzatoria.
Scajola fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello con rubinetti che pensava d’ottone ed erano invece a sua insaputa d’oro, mise a tavola gli sposi, con Emmabonina a capotavola se proprio non a capo dello stato.
Non si pensò piú che a fare i fagotti, e a mettersi in viaggio con volo di stato.
E se que’ luoghi son quelli dove siam nati, dove il pane non sa di sale, c’è forse in tali memorie qualcosa di piú aspro e pungente. Anche il bambino riposa volentieri sul seno della balia, cerca con avidità e con fiducia la poppa che l’ha dolcemente alimentato fino allora; ma se la balia, per divezzarlo, la bagna d’assenzio, il bambino ritira la bocca, poi torna a provare, ma finalmente se ne stacca; piangendo sì, ma se ne stacca. E ancor più piange se, passategli le voglie di quel latte, non gli dia ora invece assenzio e basta.
Cosa direte ora, sentendo che, appena arrivati e accomodati nel nuovo paese, Renzi ci trovò de’ disgusti bell’e preparati? Miserie; ma ci vuol così poco a disturbare uno stato felice! Uno di quello Stato arriva al vertice, felicemente e applaudito negli studios dei talentshow, e ci ha già pronti tutti i suoi calendari di riforma, e tolti i tempi parlamentari in due mesetti sarebbe in grado di rinnovare tutto dagli intonaci al presidenzialismo, e invece sempre pronti degl’intoppi.
Ecco, in poche parole, la cosa.
Il parlare che, nel Paese, s’era fatto di Prestigiacoma, e il saper che Renzi aveva avuto a patir tanto per lei, e sempre fermo, sempre fedele, più ancor che al patto del nazareno, avevan fatto nascere una certa curiosità di veder la giovine, e una certa aspettativa della sua bellezza. Ora sapete come è l’aspettativa: immaginosa, credula, sicura; alla prova poi, difficile, schizzinosa: non trova mai tanto che le basti, perché, in sostanza, non sapeva quello che si volesse; e tutti a dir che sì sarà belloccia, ma le labbra sono rifatte, e anche le tette, e poi guarda le sopracciglia…
Quando comparve questa Prestigiacoma, molti i quali credevan forse che dovesse avere i capelli proprio d’oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l’uno piú bello dell’altro, e che so io? cominciarono a alzar le spalle, ad arricciar il naso, e a dire: “eh! l’è questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s’aspettava qualcosa di meglio. La Fico, la Polanco, per dire. Cos’è poi? Una sicula normanna come tant’altre. Eh! di queste e delle meglio, ce n’è per tutto”.
Renzi, che volete? ne fu tocco sul vivo. Cominciò a ruminarci sopra, a farne di gran lamenti, e con chi gliene parlava, e piú a lungo tra sé. “E cosa v’importa a voi altri? Son mai venuto io a parlarvene? a dirvi che la fosse bella? E quando me lo dicevate voi altri, v’ho mai risposto altro, se non che era una buona giovine e fedele ai patti politici e al proprio uomo? Non vi piace? Non la guardate”.
A forza d’esser disgustato, era ormai diventato disgustoso. Era sgarbato con tutti, senza più ombra di battutelle saccenti da ghepensimì in salsa medicea, o sorrisetti da monello scout. Aveva aumentato quel non so che di sardonico in ogni sua parola; in tutto trovava anche lui da criticare, a segno che, se faceva cattivo tempo due giorni di seguito, subito diceva: “eh già, in questo Paese refrattario alle modifiche costituzionali!”
Vi dico che non eran pochi quelli che l’avevan già preso a noia, e anche persone che prima gli volevan bene; dal 40% a dei sondaggi sotto il 28%; e col tempo, d’una cosa nell’altra, si sarebbe trovato, per dir così, in guerra con quasi tutta la popolazione, senza poter forse né anche lui conoscer la prima cagione d’un così gran male.
E per questo si dovrebbe pensare piú a far bene, che a star bene; a svolgere servizi al Popolo anziché a governarlo; e così si finirebbe anche a star meglio. E’ tirata un po’ con gli argani, e proprio da socialista ottocentesco; ma in fondo v’è ragione.
Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzi d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Leonide PPoldina, con 2 P per omaggiare Gelli.
Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Emmabonina affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E Renzi volle che imparassero tutti a twittare e scaricare brani musicali legalmente, ma poi passarli agli amici, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro. Cosa che non piaceva affatto a Prestigiacoma, mamma di sani principi destrorsi.
Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che la corruzione tra chiunque giunga al potere viene bensì spesso, perché ci si è dato cagione; e che la condotta piú cauta e piú innocente non basta a tenerla lontana; e che quando viene, o per colpa o senza colpa, il lauto incasso che ne proviene raddolcisce il tradimento dei propri ideali, e lo rende utile per un tenore di vita da Sultano, e lascia che sbraitino il Califfo ed i nemici dell’Occidente ingordo.
Questa conclusione c’è parsa così pertinente e fin troppo facilmente preveggente, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, sempre meglio che farvi stare a postare le foto del vostro gattino. E se invece vi fosse sorto un senso come di “a me poi checcazzo menefotte di ciò che a dire o imporre chi sostiene d’esser padrone, presidente, premier, prefetto, od assessore, se il mio unico scopo è che ho da Vivere?”, allora in quel raro caos, come un refuso, credetemi: s’è fatto proprio apposta.
FINE
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(c) Apolide Sedentario & Manzone Ramingo 2014-15
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