PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO LXX

Una sera, Emmabonina vede la fotocellula all’uscio accendersi. “E’ lei, di certo!” Era proprio lei, Prestigiacoma, con la buona Marcegaglia. L’accoglienze vicendevoli se le immagini il lettore. A parte l’essere due Emme (e dicendosi l’un l’altra “ora ci manca solo la Marrone”), tre tali donne radicalmente donne – per quanto ciascuna in una propria interpretazione del potere al proprio utero – fanno certo entusiasmo del ritrovarsi per spettegolar dei maschi…
La mattina seguente, di buon’ora, capita Renzi che non sa nulla, e vien solamente per isfogarsi un po’ con Emmabonina sulle difficoltà nel riformare in un paese restio all’iperliberismo postpostfordiano. Gli atti che fece, e le cose che disse, e l’erezione evidente alla patta al trovarsela davanti, si rimettono anche quelli all’immaginazion del lettore (e tanta ce ne vuol, per immaginar evidenze di priapismo in tal toscan uccellino).

Le dimostrazioni di Prestigiacoma in vece furon tali, che non ci vuol molto a descriverle. “Vi saluto, collega d’emiciclo, e non intendo emiciclo emimestruale: come state?” disse, a occhi bassi, e senza scomporsi.
E non crediate che Renzi trovasse quel fare troppo asciutto, e se l’avesse per male. Sapeva bene che tra tutte le forziste lei, sicula d’onore, era ben l’unica che anche ai festini arcoriani, pur tra coca e vibratori e smanacciate di Fede sul sedere, mai dava segno di far succhi vaginei.
Prese benissimo la cosa per il suo verso, Renzi; e lui intendeva bene che quelle parole non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Prestigiacoma. “Sto bene quando vi vedo,” rispose il giovine, con una frase vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel momento. E così bene gli era venuta che la twittò, ricevendo 570 “mi piace” nei primi cinque minuti.

“Il nostro povero Papa Francesco…!” disse poi Prestigiacoma, ricordando l’improvvisa fine dell’e-pauperista argentino: “pregate per l’anima sua: benché si può esser quasi sicuri che a quest’ora prega lui per noi lassú.”
“Me l’aspettavo, pur troppo,” disse Renzi. Tre anni e tre mesi anziché i trentatré giorni di Luciani, ma in Vaticano non duri se non partecipi agl’utili del Tesoro di San Pietro e all’orge sperperose con le Orlandi di turno.

Ma che? di qualunque cosa si parlasse, a Renzi il colloquio gli riusciva sempre delizioso. Gesticolante, sfrontatamente sicuro di sé, convincente e vincente pur con la faccia improponibile che ben sappiamo ei teneva per screzio di Mamma Natura. Come que’ cavalli bisbetici che s’impuntano, e si piantan lì, e alzano una zampa e poi un’altra, e le ripiantano al medesimo posto, e fanno mille cerimonie prima di fare un passo, e poi tutto a un tratto prendon l’andare, e via, come se il vento li portasse, così era divenuto il tempo per lui: prima delle primarie che gli consegnarono il trono del PD, i minuti gli parevan ore; poi, dopo la Leopolda, l’ore gli parevan minuti.

Renzi disse finalmente che andava da D’Alema, a prendere i concerti per lo sposalizio. Ci andò, e, con un certo fare tra burlesco e rispettoso, “Compagno presidente,” gli disse: “le è poi passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Ora siamo a tempo; la sposa c’è: e son qui per sentire quando le sia di comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto. Non come la riforma elettorale o l’abolizione dell’articolo diciotto”.
D’Alema non disse di no; ma cominciò a tentennare, a trovar cert’altre scuse, e che la cosa potrebbe farsi ugualmente altrove; in Chiesa magari no, per i precedenti legami coniugali; ma con tutti i Comuni che potrebbero guadagnar molto dall’evento, ricarburando le economie locali immiserite dal patto di stabilità; e questo e quest’altro.
“Ho inteso,” disse Renzi: “lei ha ancora un po’ di quel mal di capo. Ma senta, senta.” E cominciò a descrivere in che stato aveva visto Dell’Utri; e che già a quell’ora doveva sicuramente essere andato.
“Questo non ci ha che fare,” disse D’Alema: “v’ho forse detto di no? Io non dico di no; parlo… Esercito la dialettica parlamentare a cui tu non solo non sei avvezzo, ma pari proprio contrario, ogni qualvolta ai tg dichiari che né i sindacati né le fronde e i dissidenti potranno mai fermare i tuoi provvedimenti, esattamente come il noi-tirerem-diritto di ben sappiam che memoria…”

Dopo qualche altra botta e risposta per dare lavoro a quelli di Rai Parlamento, né piú né meno concludenti, Renzi se ne tornò.

(continua…)


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