Categoria: ‘gentilissimo gentiloni’

Venne proposta un’imposta sugli immobiloni. Nel senso che chi possedeva grossi appartamenti, o addirittura interi palazzoni, avrebbe dovuto devolvere i milioni dei propri profittoni quando affittati a inquilini o ad inquiloni (vedasi nel secondo caso quei pollitici che a loro insaputa hanno abitazioni).
Ma la sinistra estrema richiedeva una misura meno ingentilita: non ci voleva un’imposta sugli immobili di grosse dimensioni, ossia una piccola tassa edulcorata, bensì una vera impostona.
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“Niente giochini”: questo il palettone posto immediatamente dal Premier agli alleatoni.
“Gioconi però si può?”, chiese timidamente uno sbruffone della coalizione.
“Niente giochini, giochetti, giochettoni”, rispose Gentiloni, “ma tratteremo in qualche Commissione l’ipotesi dei gioconi”.
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Sforza che ti risforza, nonostante gli sforzoni scorreggianti del Governo Gentiloni si andava mese a mese sempre peggio delle più cupe e cupone previsioni degli affaristi di zona Cupolone.
Recessioni, degradazioni… Due trimesti consecutivi con il Pil negativo… Il Pil negativo: un po’ come un pelo incarnito.
Gli exdemocristi buttaron pure lì potevasi parlar di incarnazione. “Incarnizione, semmai”, fece notare il premier Gentiloni, con affettato rispetto per l’errore da penna blu di quelle opposizioni.
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Il Governo Gentiloni pose quindi due urgenti (ma garbate) priorità: la protezione (anzi, la protezionona) del Culatello di Zibello (quant’è bbbuono), e quella dello yogurt fresco (ma itagliano di mungitura e poi di produzione). Ma fu dissidio immediato stabilire la nuova denominazione dei prodotti: Gentiloni, in coerenza con se stesso, proponeva di chiamarli “yogurtone”, e poi “Culatellone di Zibello” (pur favorevole anche a un più pomposo “Culatellone di Zibellone”, in caso si fosse posta fiducia in votazione). Qualche ministro colto provò a dire: “Allora tanto vale farne pure una questione di orgoglio cultural della Nazione”, suggerendo ulteriore dicitura: “Culatellone di Zibaldone Dop”.
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Fu a quel punto che si ruppe la tregua, o la “treguona” come veniva amplificata dai portavociona di Gentiloni.
E qui per vociona non si intende il far la voce grossa, ché non è affatto educatone e gentilone, ma proprio l’aver un timbrone nel vocione, oltre che nella burocrazia (o burocraziona, grassa com’è, per quanto Gentiloni promettesse di snellirla col solito dietone a beveroni).
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Scadeva però in quei giorni la concessione alla Società Autostradone (così ridenominata dopo l’aumento di capitale e di capitone e il conseguente balzo in borsa e in borsone del malloppone), ed impellente era la costruzione di un by pass.
Un piccolo by pass per una autostradona, ma un grande passone per Gentiloni, diceva con sorriso da còlto il premier in conferenza stampa, detta anche conferenza stampone, per quanto gli articoli venissero poi invece scritti con lo stampino.
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Circa la politicona estera e il contenimento dei prezzoni petroliferi, il Governo Gentiloni, in qualche modo anche in prosecuzione dei matrimoni gayoni, acconsentì ad un un’unione civilona tra Itagliani e Sauditi: sbocciava l’amore tra Roma e gli Emironi. Dopo il Gender, una nuova frontierona: lo sposalizio non solo tra le etnie, ma tra nazioni.
Trionfo dell’amorone. E poi non si dica che non si dicano o non si faccian cose di sinistrona.
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Visti dati diffusi dall’Istat sulla crescita itagliana, il Governo Gentiloni non aveva da fare salti di gioia. Anzitutto perché saltare di gioia è poco gentilone (lo sarebbe forse fare saltoni di gioiona, ma in modo poco casinista, il che non sarebbe affatto semplice neppure per un semplicione). E poi perché trattavasi di evidente crescitina: Roma non diventava Romona, e neppure Ramona, che proseguiva a battere sulle strade che portano a.
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I tecnici del Tesorone a questo punto puntarono i piedoni.
Il rischio di spesoni senza avere il creditone adeguato apriva crepe, crepacci, e anche creponi (nel senso di investitori finanziarii infartuati per crolli dei listini ora chiamati listoni) nei conti pubblici.
Si confermò un tettone (per quanto in generale Gentiloni ritenesse le tettine forse più delicate) di 68 annoni per andare in pensione.
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Il Governo Gentiloni aveva a fondazione l’intenzione di norme più severone, però squisite nei modi, rispetto al passatone.
Perciò rifiutò, ma con belle parolone, l’anticipazione alla pensione degli accademiconi e dei primari (già così primi inter pares milan perdes juve merdes da non esser chiamati “primarioni”).
La Ragioneria Centrale dello Stato riteneva di aver ragione. Anzi per dirla più coi tempi: ragionona.
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