PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXXVIII

Prestigiacoma stava immobile in quel cantuccio, tutta in un gomitolo, con le mani appoggiate sulle ginocchia, e col viso nascosto nelle mani. S’alzò, e si mise in ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani, alzò il viso e le pupille al cielo, e disse: “o Vergine santissima! Voi, a cui mi sono raccomandata tante volte da bimba bigotta sicula, voi che volevo emulare stando vergine e non svergognata nei miei impeti adolescenziali, e che tante volte m’avete consolata! Voi che avete patito tanti dolori vedendomi poi tra le fila del partito dei puttanieri, e siete ora tanto gloriosa, e avete fatti tanti miracoli; aiutatemi! fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva con mia madre, Madre del Signore; e fo voto a voi di rimaner di destra; rinunzio per sempre a quel mio proposito bipartisan con il fonzarello di Santa Maria Maggiore.”

Proferite queste parole, abbassò la testa. Rimessasi a sedere in terra, sentì entrar nell’animo una certa tranquillità, una piú larga fiducia. Fiducia. Questa parola che regolarmente ad ogni abuso legislativo durante i governi cui partecipava la portava a votare i provvedimenti in aula parlamentare. Fiducia. Le venne poi anche in mente quel domattina ripetuto dallo sconosciuto potente col grembiulino indosso, e le parve di sentire in quella parola una promessa di salvazione, e s’addormentò d’un sonno perfetto e continuo.
Ma c’era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto fare altrettanto, e non poté mai. Partito, o quasi scappato da Prestigiacoma, dato l’ordine per la cena di lei, fatta una consueta visita a certi posti del castello, sempre con quell’immagine viva nella mente, e con quelle parole risonanti all’orecchio, Gelli s’era andato a cacciare in gabinetto massonico, s’era chiuso dentro in fretta e in furia, come se avesse avuto un attacco violento di muratoriale diarrea; e spogliatosi, pure in furia, s’era seduto a meditare sulla tazza massonica. Ma quell’immagine, piú che mai presente, parve che in quel momento gli dicesse: tu non dormirai stanotte. “Che sciocca curiosità da donnicciola,” pensava, “m’è venuta di vederla? Non lo sapevo io prima d’ora, che le donne strillano? Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si possono rivoltare. Gli urli che non tirava Calvi mentre lo suicidavano sotto il ponte dei Frati Neri, il suo grido ‘maledetto sia il vostro umorismo parolaio e toponomastico!’… Che diavolo! non ho mai sentito belar donne?”
E concluse tra sé e sé, rigirando il compasso tra le mani: “Via! Sono sciocchezze che mi son passate per la testa altre volte. Passerà anche questa.”
Ma poi subito tornava a inquietarsi, nonostante la squadretta fosse retta e il pigreco compiuto: “La libererò, sì; appena spunta il giorno, correrò da lei, e le dirò: andate, andate. La farò accompagnare… E la promessa? E l’impegno? E Dell’Utri… Ma chi cazzo è poi Dell’Utri?”

E il Venerabile Licio s’immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformato, immobile, in balìa del piú vile sopravvissuto; la sorpresa, la confusione nella Loggia, il giorno dopo: ogni cosa sottosopra; lui, senza forza, senza voce, buttato chi sa dove. Immaginava i discorsi che se ne sarebber fatti lì, d’intorno, lontano; la gioia de’ suoi nemici. E assorto in queste contemplazioni tormentose, andava alzando e riabbassando, con una forza convulsiva del pollice, il cane della pistola; quando gli balenò in mente un altro pensiero. “Se quell’altra vita di cui m’hanno parlato quand’ero ragazzo, di cui parlano sempre, come se fosse cosa sicura; se quella vita non c’è, se è un’invenzione de’ preti, e abbiamo invece ragione noi, esoteristi razionalisti, illuminati babilonesi egizi; che fo io? Perché morire? Cos’importa quello che ho fatto? Cos’importa? E’ una pazzia la mia… E se c’è quest’altra vita…!”
Lasciò cader l’arme, e stava con le mani ne’ capelli, battendo i denti, tremando.Aspettava ansiosamente il giorno, per correre a liberarla. “E poi? Che farò domani, il resto della giornata? Che farò doman l’altro? Che farò dopo doman l’altro? E la notte? La notte, che tornerà tra dodici ore! Come gli apostoli, come i mesi, come gli adepti di una setta attorno al maestro che fa 13, ovvero che dici tre…”.

Ma, al chiarore d’alba che andava a poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che usciva dalle case, e s’avviava, tutti dalla stessa parte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestito griffato, e con un’alacrità straordinaria, poiché il cardinal Tettamanzi era arrivato in visita pastorale, e ci starebbe tutto quel giorno.
Il Gran Maestro finì in fretta di vestirsi, mettendosi un grembiulino da grandi occasioni. Andò prima di tutto alla stanza dove aveva lasciata Prestigiacoma, entrò, e data un’occhiata per la camera, la vide rannicchiata nel suo cantuccio e quieta.
“Dorme?” domandò sotto voce alla vecchia: “là, dorme? eran questi i miei ordini, sciagurata?”
“Io ho fatto di tutto,” rispose quella: “ma non ha mai voluto mangiare, non è mai voluta venire…”
“Lasciala dormire in pace; guarda di non la disturbare; e quando si sveglierà dille che io… che il padrone è partito per poco tempo, che tornerà, e che… farà tutto quello che lei vorrà.”

Quando Gelli fu nella strada pubblica, quello che faceva maravigliare i passeggieri, era di vederlo, anziché ai domiciliari dorati, lì a camminare tra loro, anziché su grossa cilindrata con vetri oscurati. S’accostò a uno, e gli domandò dove fosse Tettamanzi. “In casa del curato,” rispose quello, inchinandosi, e gl’indicò dov’era. Gelli andò là, entrò in un cortiletto dove c’eran molti preti, che tutti lo guardarono con un’attenzione maravigliata e sospettosa. “Il satanasso” diceva qualcuno. “Un semplice generoso intestatario di conti correnti Ior” dicevan altri.
Lui, voltatosi a uno di quelli, gli domandò dove fosse il cardinale; e che voleva parlargli.
Il pretino inchinò l’innominato, stette a sentir quel che voleva, e alzando con una curiosità inquieta gli occhi su quel viso, e riabbassandoli subito, rimase lì un poco, poi disse o balbettò: “non saprei se monsignore illustrissimo… in questo momento… si trovi… sia… possa… cioè Lei ben sa che voi… che voi massoni… e insomma l’anticlericalesimo di facciata, ormai sceso dal ventunesimo secolo a più miti patti affaristici… ma le battute onomantiche sul cognome del cardinale… e i simbolismi mungitoriali, e gli abbinamenti al fallo del toro… seppur rispettando certo il Suo potere… e le ampie coperture piduiste a ogni lavoro sporco di Marcinkus, oppur dell’Opus Dei… anzi, per l’appunto, io… vado a vedere”. E ciò detto andò a annunziare a Tettamanzi la strabiliante visita.

(continua…)

(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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chi non si abbona a IL NUOVO MALE (contiene FRIGIDAIRE) è sciemo

 

 

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