PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO XXXVI

Prestigiacoma tentò un’altra volta di buttarsi d’improvviso allo sportello; ma vedendo ch’era inutile, ricorse di nuovo alle preghiere; e con la testa bassa, con le gote irrigate di lacrime, con la voce interrotta dal pianto, con le mani giunte dinanzi alle labbra, – Oh – diceva: – Per l’amor di Dio lasciatemi andare! Cosa v’ho fatto di male io? Sono una povera deputata senza portafoglio, mai inquisita per mazzette, una delle poche che a parte il mantenersi una poltrona incensando un cavaliere del lavoro di polso nei briefing coi giornalisti non ha fatto niente. Se avete anche voi una figlia, una moglie, una madre, o delle puttanelle da gestire in papponaggio per conto di qualche imprenditore, pensate quello che patirebbero, se fossero in questo stato. Lasciatemi andare.
– Non possiamo: è inutile: non abbiate paura, che non vogliamo farvi male: state quieta, e nessuno, a parte a quel polipo di Lavitola, vi toccherà.
Prestigiacoma ricadeva a nuove angosce. Ma ormai non ci regge il cuore a descriverle più a lungo: una pietà troppo dolorosa ci affretta al termine di quel viaggio, che durò più di quatt’ore a causa del traffico per i molteplici cantieri sulla carreggiata, con fine lavori mai. Trasportiamoci al castello dove l’infelice era aspettata.

Era aspettata dall’innominato Venerabile, con un’inquietudine, con una sospension d’animo insolita. Cosa strana! quell’uomo, che aveva disposto a sangue freddo di tante vite, che in tanti suoi fatti non aveva contato per nulla i dolori da lui cagionati, se non qualche volta per assaporare in essi una selvaggia voluttà di potere esoterista e occulto, ora, nel metter le mani addosso a questa sconosciuta, sentiva come un ribrezzo, direi quasi un terrore. Da un’alta finestra del suo castellaccio, guardava da qualche tempo le telecamere di sorveglianza; ed ecco spuntar il taxi..
«Ci sarà? – pensò subito; e continuava tra sé: – che noia mi dà costei! Liberiamocene».
E voleva chiamare uno de’ suoi sgherri al telefonino, e ordinare a Parolisi che voltasse, e conducesse colei al palazzo di Dell’Utri. Ma un no imperioso che risonò nella sua mente, fece svanire quel disegno. Tormentato però dal bisogno di dar qualche ordine, fece chiamare una sua vecchia donna.
Era costei nata in quello stesso castello, da un antico custode di esso, e aveva passata lì tutta la sua vita, ché un posto di lavoro fisso e ereditario in tempi di precariato è manna, pensan gli stolti che s’avverviscono al sistema monetario. Ciò che aveva veduto e sentito fin dalle fasce, le aveva impresso nella mente un concetto magnifico e terribile del potere de’ suoi padroni incappucciati e ingrembiulati; e la massima principale che aveva attinta dall’istruzioni e dagli esempi, era che bisognava ubbidirli in ogni cosa, perché potevano far del gran male e del gran bene.
Quando Gelli, divenuto Gran Maestro Venerabile, cominciò a far quell’uso spaventevole della sua forza, costei ne provò da principio un certo ribrezzo insieme e un sentimento più profondo di sommissione. Col tempo, s’era avvezzata a ciò che aveva tutto il giorno davanti agli occhi e negli orecchi: la volontà potente e sfrenata d’un così del trentatreesimo livello, era per lei come una specie di giustizia fatale.
Fin da ragazza non mise piede fuor del castello che molto di rado. Tanto c’erano i social network per svagarsi.
Vecchia, era il suo appellativo usuale.

– Tu vedi laggiù quel taxi! – le disse il Venerabile Licio.
– Lo vedo, – rispose la vecchia, cacciando avanti il mento appuntato, e aguzzando gli occhi infossati, come se cercasse di spingerli su gli orli dell’occhiaie.
– Fa allestir subito uno scooter, e recati incontro ad esso. Subito subito. In quel taxi c’è… ci dev’essere… una giovine. Se c’è, dì al Lavitola, in mio nome, che la mettan sul tuo scooter, e lui venga su subito da me. Tu starai con quella… giovine; e quando sarete quassù, la condurrai nella tua camera. Se ti domanda dove la meni, di chi è il castello, guarda di non…
– Cosa le devo dire?
– Cosa le devi dire? Falle coraggio. Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai acceso un mutuo che ogni mese ti pesava sul bilancio domestico? Hai tu mai visto Brunetta da vicino? Hai tu mai avuto paura? Non sai le parole che fanno piacere in que’ momenti? Dille di quelle parole: trovale, alla malora. Va’.

La vecchia era corsa a ubbidire e a comandare. S’avvicinò al finestrino del taxi; e a Lavitola, che mise il capo fuori, riferì sottovoce gli ordini del padrone.
Prestigiacoma, al fermarsi della vettura, si scosse, e rinvenne da una specie di letargo. Si sentì da capo rimescolare il sangue, spalancò la bocca e gli occhi, e guardò. Lavitola s’era tirato indietro, togliendole finalmente la mano dal culo; e la vecchia, col mento sullo sportello, guardando Prestigiacoma, diceva: “venite, la mia onorevole; venite, poverina; venite con me, che ho ordine di trattarvi bene e di farvi coraggio.”
Al suono d’una voce di donna, la poverina provò un conforto, un coraggio momentaneo; ma ricadde subito in uno spavento piú cupo. “Chi siete?” disse con voce tremante, fissando lo sguardo attonito in viso alla vecchia. E pensava: tra donne siamo trasversalmente unite, in Parlamento, a difesa delle quote rosa e delle leggi sul femminicidio; ma fuori dall’Aula ci sono anche le mantidi, le sataniste, le maitresse, le mistress…
“Venite, venite, poverina,” andava questa ripetendo. Lavitola e Parolisi, argomentando dalle parole e dalla voce così straordinariamente raddolcita di colei, quali fossero l’intenzioni del signore, presero Prestigiacoma, e la cacciarono sul lato posteriore del sedile dello scooter. Dopo salì la vecchia; Lavitola disse a Parolisi e all’altro manigoldo che andassero dietro, e prese speditamente la salita, per accorrere ai comandi del padrone.

“Chi siete?” domandava con ansietà Prestigiacoma: “perché son con voi? Dove sono? Dove mi conducete?”
“Da chi vuol farvi del bene, dell’arcaico mutuo soccorso, pratica dimenticata dalla Loggia in epoca iperliberista, ma pur sempre fondante la confraternita” rispondeva la vecchia, “Non abbiate paura, state allegra, ché m’ha comandato di farvi coraggio. Glielo direte, eh? Che v’ho fatto coraggio?”
“Chi è? Perché? Che vuol da me? Io non son sua. Ditemi dove sono; lasciatemi andare; dite a costoro che mi lascino andare. Oh! voi che siete una donna, in nome di Maria Vergine, delle Suffragette, e della sorellanza…!”

(continua…)

(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
DOWN DOW FOREVER
chi non si abbona a IL NUOVO MALE (contiene FRIGIDAIRE) è sciemo

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