PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO IV

Prestigiacoma entrò nella stanza terrena, mentre Renzi stava angosciosamente informando Emmabonina, la quale angosciosamente lo ascoltava. Tutt’e due si volsero a chi ne sapeva più di loro, e da cui aspettavano uno schiarimento, il quale non poteva essere che doloroso: tutt’e due, lasciando travedere, in mezzo al dolore, e con l’amore diverso che ognun d’essi portava a Prestigiacoma (l’una per senso dell’istituzione democratica e del rispetto per l’avversario e amico e collega parlamentare, l’altro segretamente acché non si sapesse di quest’infatuazione bipolare), un cruccio pur diverso perché avesse taciuto loro qualche cosa.
Emmabonina, benché ansiosa di sentir parlare l’ex ministra, non poté tenersi di non farle un rimprovero. – A una candidata Presidentessa non dir niente d’una cosa simile!

– Ora vi dirò tutto, – rispose Prestigiacoma, asciugandosi gli occhi colla bandierina azzurra della prima Forzaitaglia anni ’90.
– Parla, parla! – Parlate, parlate! – gridarono a un tratto Emmabonina e Renzi.
– Santanchéissima Vergine! – esclamò Prestigiacoma: – chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! – E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava da una cena elegante con brillanti conversazioni tra 20 giovinette ed un filantropo di Palazzo Grazioli, ed era rimasta indietro dall’altre fanciulle, le era passato innanzi tal Marcello, in compagnia d’un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com’ella diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, memore delle voci che di notte, dopo quelle cenette, tutto si trasformasse in bungabunga; e intanto aveva sentito quell’altro signore rider forte, e quel Marcello dire: investiamo. Il giorno dopo, coloro s’eran trovati ancora sulla strada; ma Prestigiacoma era nel mezzo tra la Carfagna e la Mussolini, con gli occhi bassi perché si parlava dei tacchi che s’era comprata la Carfagna, e invece la Mussolini gli stivali l’erano regalati da un nostalgico; e l’altro signore sghignazzava, e Dell’Utri diceva: vedremo, vedremo. – Per grazia del cielo, – continuò Prestigiacoma, – quel giorno era l’ultimo della legislatura. Io raccontai subito…
– A chi hai raccontato? – domandò Emmabonina andando incontro, non senza un po’ di sdegno, al nome del confidente preferito.
– A Papa Francesco, in confessione, mamma, – rispose Lucia, con un accento soave di scusa.

Al nome riverito Papa Francesco, lo sdegno d’Emmabonina si raddolcì. – Hai fatto bene, – disse, – ma perché non raccontar tutto anche a tua madre? E che t’ha detto Sua Santità?
– M’ha detto che cercassi d’affrettar le nozze il più che potessi, e intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e che sperava che colui, non vedendomi alle cene milaniste o ai presidi contro i piemme, non si curerebbe più di me. E fu allora che mi sforzai, – proseguì, rivolgendosi di nuovo a Renzi, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, – fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s’era stabilito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Che volevo il gossip, o peggio, peggio, ch’io volessi rovinare la corsa alle primarie rinfocolando le voci di una sorta di berlusconesimo implicito nel rottamatore… Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata, e tenevo per certo… e questa mattina, ero tanto lontana da pensare… – Qui le parole furon troncate da un violento scoppio di pianto.
– Ah birbone! ah dannato! ah assassino! ah mafioso! – gridava Renzi, correndo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto il fazzoletto da scout per resistere alla tentazione di far giustizia da sé, ma che non si dica che il Sindaco a Firenze è uno sceriffo alla moda legaiola.

– Sentite, figliuoli; date retta a me, – disse, dopo qualche momento, Emmabonina. – Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge, è solo il simbolo di una squadra, come il biscione lo è per le tivvù. A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d’un uomo che abbia studiato… andate a Lecco; cercate della Belzebessa, raccontategli… Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire la signora dottoressa… Come si chiama, ora? Oh to’! Andreotta?… Non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo, Belzebessa. Ah, sì, la Bongiorno, l’avvocatessa Bongiorno. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli. Li sacrificherà al suo Diavolo -Gobbo.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario & Manzone Ramingo 2013
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