PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO III

– Ah cane! – urlò Renzi. – E come ha fatto Dell’Utri? Cosa le ha detto per…?
– Come eh? come? – rispose, con voce quasi sdegnosa D’Alema, il quale, dopo un così gran sagrifizio, si sentiva in certo modo divenuto creditore. – Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non c’entro per nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in parlamento -. E qui si fece a dipinger con colori terribili il brutto incontro, con i baffetti dritti come pelo di schiena della fiera feroce, e vedendo nello stesso tempo che Renzi, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso sullo smartphone leggendo il nuovo twit di Civati, continuò: – avete fatta una bella campagna elettorale! Un tiro di questa sorte al Partito! in casa sua! in luogo democratico! Avete fatta una bella prodezza, com’anche quel balanzon professore bolognese! Per cavarmi di bocca ciò ch’io vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete? Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza.
– Posso aver fallato, – rispose Renzi, con voce raddolcita verso D’Alema, ma nella quale si sentiva il furore contro il nemico scoperto: – posso aver fallato; ma si metta la mano al petto ed al baffetto, e pensi se nel mio caso, lei, proprio lei, così arrivista…


E qui Renzi, presa la porta, livido d’ira d’andare a scaricare in comunicati stampa ed interviste ai tg, s’allontanò di fretta.

– Melandri! Melandri! – gridò D’Alema, dopo avere invano richiamato il fuggitivo. Melandri non risponde.
È accaduto più d’una volta a personaggi di ancor ben più alto affare che il leader Massimo, di trovarsi in frangenti così fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo ripiego mettersi fuori dai giochi un certo tempo, lasciando magari viva una corrente. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare, perché gli si offerse da sé. Si ripose sul suo seggiolone, cominciò a sentirsi qualche brivido nell’ossa, come quando puoi mettere le mani sul consiglio d’amministrazione d’una banca, e chiamava di tempo in tempo, con voce stizzosa: – Melandri!-
La venne finalmente, con un faldone sui processi di Scajola sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla fosse stato. Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i “voi sola potete aver parlato”, e i “non ho parlato”, tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che D’Alema ordinò alla perpetua di metter in silenzio stampa Franceschini, di non aprir più il tavolo delle trattative con la Fiom per nessuna cagione, e, se alcun telefonasse, risponder che si stava tenendo una riunione.

Renzi intanto camminava a passi infuriati il Comune di Firenze, senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. Avrebbe voluto correre alla casa di Dell’Utri, afferrarlo per il collo, sbattergli in  faccia un avviso di garanzia prestato all’uopo da Ingroia, o ricattarlo con un esame antidoping positivo di Kakà… ma gli veniva in mente ch’era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata da picciotti al di fuori; che i soli amici degli amici e servitori ben conosciuti v’entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi.
Quella soverchieria di Dell’Utri non poteva esser mossa che da una brutale passione per Prestigiacoma. E Prestigiacoma? Che avesse data a colui la più piccola occasione, la più leggiera lusinga, che so durante una manifestazione culturale o libraria in terra sicula, non era un pensiero che potesse fermarsi un momento nella testa di Renzi. Ma n’era informata? Poteva colui aver concepita quell’infame passione, senza che lei se n’avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima d’averla tentata in qualche modo? E Prestigiacoma non ne aveva mai detta una parola a lui! al suo schiavetto col guinzaglio in pelle fonzarella a borchie dei mercoledi alla pensione lì vicina a Montecitorio?

Dominato da questi pensieri, passò davanti al Comune, ch’era nel centro a Fiorenza, e, attraversatolo, s’avviò in scooter blu da Prestigiacoma. Poche ore dopo, Renzi entrò nella hall, e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S’immaginò che sarebbero le solite Carfagna e Bernini e Mussolini, venute a far corteggio a Prestigiacoma e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova in corpo e sul volto.
La Meloni che si trovava nella hall, gli corse incontro.
– Zitta, Meloni, zitta! – disse Renzi. – Vien qua; va’ su da Prestigiacoma, tirala in disparte, e dille all’orecchio… ma che nessun senta, né sospetti di nulla, ve’… dille che ho da parlarle, che l’aspetto nella stanza terrena, e che venga subito -.
La Meloni salì in fretta le scale come se andasse a un concerto a Casappaund, lieta e superba d’avere una commission segreta da eseguire, tanto per far vedere all’Alessandra che pure lei ne capiva di massoni, e che il Renzi con lei e i suoi fratelli di taglia accettava un tavolo di trattative, perché c’era una base politica credibile e non fondata soltanto su un cognome, e non per altro ai tempi del Fronte della Gioventù queste “nipoti del duce” le disprezzavano alquanto, altro che Donnassuntalmiranta.


(continua…)


(c) Apolide Sedentario & Manzone Ramingo 2013
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