PD: I PROMESSI DIVORZIATI una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO LXIV

Ilary Blasi copiò diligentissimamente, e spedì la lettera alla casa dello stilista. Questo fu due o tre giorni prima che Tettamanzi mandasse a prendere e ricondurre le donne al loro paese.
Stava in quel momento Tettamanzi discorrendo con D’Alema, degl’affari del concordato fiscale sugli immobili delle onlus di ispirazione cattolica. Dopo le prime accoglienze da una parte, e i primi inchini dall’altra, Emmabonina si cavò di seno la lettera, e la presentò al cardinale, dicendo: “è della signora Totti.”
“Bene,” disse Tettamanzi, letto che ebbe, e ricavato il sugo del senso scritto dal Pupone. Conosceva quella coppia trendy quanto bastasse per esser certo che Prestigiacoma c’era invitata con buona intenzione, e che lì sarebbe sicura dall’insidie e dalla violenza del suo persecutore. Nessun gruppo ultras giallorosso avrebbe mai permesso di violare casa Totti, pensò.

Terminati i convenevoli, D’Alema, ch’era corso a vedere se la Melandri aveva ben disposto ogni cosa per il lunch, fu chiamato dal cardinale. Andò subito dal grand’ospite, il quale, lasciatolo venir vicino, “Signor presidente,” cominciò “perché non avete voi unita in matrimonio civile quella povera Prestigiacoma col suo promesso sposo?”
“Hanno votato il sacco stamattina coloro,” pensò D’Alema; e rispose borbottando: “monsignore illustrissimo avrà ben sentito parlare degli scompigli che son nati in quell’affare: è stata una confusione tale, tra dispacci dei servizi deviati, imminenti elezioni, legge di stabilità, tensioni geopolitiche in Libia e Siria, da non poter, neppure al giorno d’oggi, vederci chiaro.E se vossignoria illustrissima sapesse… che intimazioni… che comandi terribili ho avuti di non parlare…” E restò lì senza concludere, in un cert’atto, da far rispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione il voler saperne di piú. Ragion di Stato, ben sappiamo. Da Ustica, a Ilaria Alpi, a Pinelli, al caso Mattei…
“Ma!” disse Tettamanzi, con voce e con aria grave fuor del consueto: “voglio saper da voi il perché non abbiate fatto ciò che, nella via regolare, era obbligo vostro di fare.”
Allora D’Alema si mise a raccontare la dolorosa storia; ma tacque il nome principale, e vi sostituì: un gran signore. “Sotto pena della vita, m’hanno intimato di non far quel matrimonio.”
“E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d’adempire un dovere preciso? Non ricordate il fulgido esempio di Aldo Moro, e di tutti i caduti degli anni di piombo, eroi borghesi che non temevano il prezzo della vita pur di difendere le istituzioni, e il matrimonio è tra queste?”
“Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave incomodo, tipo quando dovevo ascoltare gli interventi dei veri comunisti alle assemblee dei circoli proletari, stupidi idealistacci insopportabili… ma quando si tratta della vita…”

D’Alema stava a capo basso: “monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando si parla di contrasti con gli iperliberisti, di contenere la spesa pubblica, di garantire il rispetto dei patti militari internazionali, è un conto. Ma quando s’ha che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si potesse guadagnare. E’ un signore quello, con cui non si può né vincerla né impattarla.”
“E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete premier onorario della sinistra? qual è la buona nuova che annunziate a’ poveri, a’ proletari, a’ lavoratori?.”
“Torno a dire, monsignore,” rispose dunque, “che avrò torto io… Il coraggio, uno non se lo può dare. Per tutto il resto c’è Mastercard. Ma il coraggio, quello, il coraggio, uno non se lo può dare. Non può. We can’t.”

“Tutto casca addosso a me,” proseguì D’Alema: “ma queste persone che son venute a rapportare, non le hanno poi detto d’essersi introdotte in casa mia, a tradimento, per sorprendermi, e per fare un matrimonio contro le regole.”
E Tettamanzi a questo punto alzò la voce, e prese a dire: “Me l’hanno detto, figliuolo: ma questo m’accora, che pensiate di scusarvi, accusando; mi sembrate davvero il tipico funzionario dei Servizi che colto in abuso dei propri metodi e poteri inizi a sputtanare – dio mi perdoni il termine – tutti i segreti personali dei suoi avversari ideologici, segreti scoperti pe’l mezzo di sue proprie licenze di spiare; e questi segreti disvelando non ai fini di una verità processuale, ma per portar seco nella fogna, vedendosi ormai perso, i propri nemici; oppure sfruttando la loro potenza, ricattare per ottenere una doppia impunità, a sé e ad essi.”

La mattina seguente, venne la Blasi, secondo il fissato, a prender Prestigiacoma, e a complimentare il cardinale, il quale gliela lodò, e raccomandò caldamente: “Intelligente e bella, ne parli ai capostruttura del canale televisivo che la ospita, qualora perdesse il posto per assenza di quorum, costei di certo può aver successo nell’enterteinement”.
Tettamanzi ricevette dunque una lettera di Gelli, la quale lo pregava di far accettare a Emmabonina centomila euro, per servir di dote alla Prestigiacoma. Il cardinale fece subito chiamare Emmabonina, le riferì la commissione, e le presentò una carta di credito, ch’era contenuta nella lettera, e ch’essa prese, senza far gran complimenti. “Dio gliene renda merito, a quel signore,” disse: “e vossignoria illustrissima lo ringrazi tanto tanto. E non dica nulla a nessuno, perché questo è un certo paese… Mi scusi, veda; so bene che un par suo non va a chiacchierare di queste cose; ma… lei m’intende, vorrei mai che iniziassero a vociferare su finanziamenti illeciti anche ai Radicali…”
Andò in banca, zitta, zitta; e quantunque preparata, vide con ammirazione dal terminale del cassiere l’ammontare contenuto in quella carta, soldi, tanti soldi che facevan pancia; ricompostasi finalmente dal senso di ingordigia, chiese che il contenuto della carta di credito le venisse liquidato in contanti, li prese, corse a casa, e l’andò a ficcare in un cantuccio. Il resto di quel giorno, non fece altro che mulinare progetti politici in cui investir la donazione, far disegni sull’avvenire, a progettare referendum, e sospirar l’indomani. Andata a letto, stette desta un pezzo, col pensiero in compagnia di que’ centomila che aveva sotto: addormentata, li vide in sogno.

(continua…)


(c) Apolide Sedentario e Manzone Ramingo 2014
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