IlDIGNiToS(o)

Quando il Sistema del (e delle) Capitale/i crolla, io e le tope balliamo. Lubriche lubrificazioni, altro che scontri.
Chi si incazza per la crisi del nemico è un masochistico Qoglione.
A casa rini (abitante in Viafffanculo, Veneto). Il viola porta sfiga, l'azzurro vince partite a tavolino. Io gioco a Subbuteo. Gioco di dito, io, preparando la por(c)a avversaria al mio infilarla.
La libbbertà sei schiavi-Tu, Tu indignagnagnato succube della Neolingua. Io sempre con la mia sana Vecchialinguaccia.


(c) Apolide Sedentario 2011
DOWN DOW FOREVER
chi non legge FRIGIDAIRE è sciemounito

9 Comments

  1. champ scrive:

    ben scritto il manoscritto.ineccepibile nella sostanza sessual manichea. anch’io stavo scopando mentre frotte di nerovestito assaltavano al suon delle sirene gli scudoincrociati. L’abbbestia faceva il suo dovere ,ligio nel suo anticlericlalismo glocale ,spezzando le reni alla madonna balcanica difesa da cobasiani bernocchiolati. La scure della falce vuol il suo martello.
    Aspetto tua replicas.
    ciao

  2. Apolide Sedentario scrive:

    nel mentre Champ e Lisée chiavano trionfanti e mi fanno sovvenire il manicheismo, io fondo l’Emani-cheismo, nuova teoria Reichiana orgonista per cui si fa sesso, non tumulti (altro che “fate l’ammmore e non la guerra) emana benessere libertario all’universo intero mentre il cadavere del nemico transita sul fiume…
    mentre altri tornano alle Leggi Reale, io vivo il Reale, immune come sono (sarà la caramella di Nonno Albert?) alle scie chimiche e alle altre forme di ipnosi induttiva…
    mi si dia in mano manichea il minchia galattico che bestemmiando Carletto si copre il volto mostrando il tatuaggio, penserò io alla pena, e sarà ben peggiore di ogni detenzione a Guantanamanicheo…
    chi teme la crisi palesa il suo stato servile volontario… chi tirà un calcio alla base del castello di carte che già sta crollando è un pusillanime… Breivik salvaci tu


    (c) Apolide Sedentario 2011

  3. Apolide Sedentario scrive:

    errata hardcorrige:

    nel mentre Champ e Lisée chiavano trionfanti e mi fanno sovvenire il manicheismo, io fondo l’Emani-cheismo, nuova teoria Reichiana orgonista per cui chi fa sesso, non tumulti (altro che “fate l’ammmore e non la guerra) emana benessere libertario all’universo intero mentre il cadavere del nemico transita sul fiume…
    mentre altri tornano alle Leggi Reale, io vivo il Reale, immune come sono (sarà la caramella di Nonno Albert?) alle scie chimiche e alle altre forme di ipnosi induttiva…
    mi si dia in mano manichea il minchia galattico che bestemmiando Carletto si copre il volto mostrando il tatuaggio, penserò io alla pena, e sarà ben peggiore di ogni detenzione a Guantanamanicheo…
    chi teme la crisi palesa il suo stato servile volontario… chi tirà un calcio alla base del castello di carte che già sta crollando è un pusillanime… Breivik salvaci tu


    (c) Apolide Sedentario 2011

  4. 2Champ scrive:

    Champ xè sono uno champista.
    Outing /coming appparte ,Er pelliccia ,questo è il nome del bestemmiatore, è già al gabbio.
    Mò cercano, con tanto di foto segnaletica pubblicata ovunque, il b(r)locco nero iconoclasta pre reo confesso dello stupro alla madonna.
    ah.

  5. Apolide Sedentario scrive:

    nel solito itagliota tempo supplementare dell’eterno derby tra ultras e sbirri, il giudice sportivo è ovvio condanni il fallo da tergo alla madonna…
    il che per nulla turba la mia gioiosa danza sulla tomba dell’occidente, il bicchiere di cristallo è andato in frantumi da se stesso, senza che il mio acume dovesse strillare il suo acuto ulteriormente…


    (c) Apolide Sedentario 2011
    down dow forever

  6. Massimo Fini bis scrive:

    Certe paure incoffessabili

    Alessandro Magno catturò un pirata che infestava i mari. E civilmente, come usava in quei tempi barbari che non conoscevano ancora la “cultura superiore” nè gli odierni “eroi della libertà” che si fan liberare dalle armi straniere e poi si dedicano al linciaggio sotto gli occhi compiaciuti del mondo intero o alla caccia sistematica al nero, gli concesse l’ultima parola prima di impiccarlo. Il pirata disse: “Vedi Alessandro, noi due facciamo le stesse cose. Solo che io le faccio con trecento uomini e tu con trecentomila. Per questo io sono un pirata e tu un grande Re”.

    I cinquecento che l’altra domenica hanno messo “a ferro e fuoco” Roma sono oggi, oggettivamente, dei teppisti, ma se diventassero cinque milioni sarebbero dei rivoluzionari, come è accaduto in Tunisia dove una rivolta violenta ma non armata ha cacciato in due giorni il dittatore Ben Alì. E il coro unanime di indignazione, da destra a sinistra, dai fascisti mascherati del PDL, ai fascisti propriamente detti come Ignazio La Russa (che nel 1974 organizzò a Milano una manifestazione dove due giovanissimi militanti dell’MSI, Murelli e Loi, uccisero un poliziotto buttandogli una bomba sul petto) all’estrema sinistra, ai sindacati, ai Pierluigi Battista che in sintonia col premier ha lanciato il diktat “chi non si dissocia anarcoinsurrezionalista è”, al Presidente Napolitano, dimentico che era già un alto dirigente del PCI quando il suo sodale Secchia preparava la rivolta armata, significa proprio questo: il timore di questa classe dirigente, che ha la coscienza sporca e nera come la pece, che quei cinquecento decerebrati, smaniosi di distruggere tanto per distruggere, possano diventare cinque milioni che decerebrati non sarebbero.

    Nei giorni sucessivi ai fatti ero a Roma, “la capitale ferita”, e parlando con amici, conoscenti, taxisti, personale d’albergo, gente incontrata al bar non ho notato una dissociazione così netta dai teppisti, ma un’oscura, sottaciuta, vergognosa soddisfazione. Come se quell’esplosione di violenza li avesse vendicati, anche se per interposta persona, dalle umiliazioni, dalle frustrazioni, dal senso di impotenza che il cittadino subisce ogni giorno.

    Il fatto è che è diventato sempre più difficile tenere le mani a posto, facendo un tremendo sforzo su se stessi, assistendo quotidianamente allo spettacolo di una classe dirigente, politica, economica, intellettuale, autocostituitasi in una nuova oligarchia nobiliare, con noi cittadini normali retrocessi a sudditi, senza dignità e senza onore, pecore da tosare, asini al basto ad uso di “lorsignori”, che mentre “la città brucia” (non Roma, l’Italia), continua nelle solite manfrine, nei soliti giochetti, nelle solite sordide lotte di potere senza tenere in minimo conto quel “bene comune” con cui si sciacqua quotidianamente la bocca.

    Certo che ci vorrebbero, noi del ceto medio, buoni, civili, educati, rispettosi delle buone maniere, come siamo sempre stati, per poter ruminare in tranquillità i propri privilegi. Ma, come tutte le cose, anche la pazienza ha un limite. E, come dice la Bibbia: “terribile è l’ira del mansueto” o, per dirla più modernamente con Peckinpah del “cane di paglia”.

    Ed è proprio questo che i politici, gli economisti, gli intellettuali ben sistemati nel regime, temono. Ma questo vulcano che potrebbe esplodere da un momento all’altro è un fatto. Un fatto che si misura appunto attraverso la violenza patetica di tutti i discorsi che vorrebbero cancellarlo.

    pubblicato sul Fatto Quotidiano il 22 ottobre 2011

  7. Apolide Sedentario scrive:

    meschine sono le ire vendicative (per interposta persona perdipiù) dei servi pluridecennali (taxisti, albergatori, avventori dei bar)…
    non pelidi achilli ma pelosi achitèmmuerto…
    e solo simpatici ragazzacci, non certo “eroi” di una qualsiasi idea, sono i casseurs del casso itagliani, viziatelli paraculati del mondo bianco che diserbano per lite sulla paghetta col paparino le piantagioni di cotone, con la scusante dell'”emancipare gli schiavi”…
    la Nato non è intervenuta a bombardare Palazzo Chigi per sostenere i “rivoltosi della domenica”…
    e Massimo Fini è un vecchio laido panzone borghesissimo (e, questo glielo riconosco, tronfio della sua borghesità, della quale fa “onesto” vanto) che anni fa ebbi modo di sbeffeggiare mentre se la tirava da viveur innanzi a un pubblico di fighe ragnatelose durante la presentazione estiva di un suo libro sull’Eros… Massimo Fini: eros meglio che morivis da piccolos…
    finché avremo i Fini e il Fatto si sarà solo al più dei fini fattoni… la Rivoluzione è un moto dell’animo, e qui al massimo di animato c’è il cartone giapponese…
    arriveranno i veri Pirati e ci daranno tutti in pasto ai pesci, e i delfini diranno tra loro che le carogne degli occidentali sono solo sostanze inquinanti…


    (c) Apolide Sedentario 2011
    DOWN DOW FOREVER

  8. Oreste Scalzone bis scrive:

    ultimi preludî

    L’augurio si rinnova, “contraccambiando” le risposte a loro volta augurali, come incrocio di ‘moti dell’animo’ : al netto di “tutto”, senza (o comunque, prima di) chiedersi perché e come, e soprattutto che senso…, e metterci contenuti, o anche precisare che si tratta di un contenitore, come una bolla di sapone, iridescente, dove – se vuole – ognun metta ciò che vuole, che pensa…).
    Tanto per dire : il Sessantotto, il più gigantesco sciopero generale mai visto – sciopero operaio, e sciopero umano –, era un anno bisestile (certo, ’71 essendo numero non divisibile per quattro, l’anno della primavera della Comune di Parigi non era bisestile ; quanto alla Catalogna, e altri ‘epicentri’, non ho controllato : ma non si può avere tutto, anzi, poi, è meglio così, che sennò il gioco delle coincidenze simboliche può emanare luce di suggestione corroborante illazioni abduttive e credenze esoteriste la cui ‘presa’ è inquïetante…).
    Ora, l’anno che viene è bisestile, personalmente ho la sensazione di avere un giorno in più, e la cosa disseta l’arsura del tempus fugit – il «tempo di nostra vita mortale», di comuni mortali, animali di razza umana, esseri parlanti di specie «specializzata nella parola», epperciostesso «pericolosa» [***].

    Per intanto dunque (per tornare all’immediato ‘degli affetti’, rinnovo l’augurio lanciato di qui, con Lucia. E potrei cominciare il prosieguo della lettera, così, come segue.

    Car’amici, amiche, compagni [& compagne] *
    o anche [*come si è trovato di dire ai giorni “nostri” – così uscendo da una quæstio sempre più vexata, ingarbugliantesi vieppiù, “a complessità crescente”], Compagn*[VIRGOLA], persone care, Complici, Maestr*, «compañeros de l’alma, compañeros»… & che e chi altro ancora… ,
    ad ogni cambio di calendario – “anno, nuovo”! – si usa ripetere un rito infantile, ancestrale, apotropaico : bisogno di bilanci, previsioni, proponimenti, promesse, auguri (rivolti agli altri e, anche se non soprattutto, a se stessi) …

    Si può obiettare, certo, che è un rito scontato, una procedura convenzionale, un riflesso gregario e conforme che sempre riproduce il medesimo ; o sennò – o anche – una coazione a un dispositivo di auto-rassicurazione illusoria, un esorcizzare l’angoscia ‘via’ un’autoincantamento, illusionistico, con aggiunta della saccarina dei Buoni Sentimenti – e chi più ne ha, più ne metta…
    Epperò, questa ipercritica arcignetta e smagata, c’è da dire che ci pare, se possibile, quasi ancor più vieta, frusta, scontata – un ‘siparietto’ déjà vu… Viene da dire, “ma proprio su qualcosa che, all’occorrenza, consola ; proprio su un fugace re-incantamento, deve appuntarsi un rigore che si risolve nel cipiglio, che sa tanto di messinscena della propria pubblica intelligenza, requisito d’ordinanza di ossessionati dal fantasma dell’eccellenza, da veri ‘sognatori di una vita riuscita’ ? ”
    A sua volta, certo, anche questa contr’obiezione è già sentita, sarebbe difficile sfuggire al contrappasso per chi fosse assillato dall’inedito come requisito prioritario. Ma non essendo il caso nostro, andiamo avanti.
    Sputare, con aria disincantata fino allo sprezzo, su un gesto che, tra l’altro, più ancora che il «contenuto» dell’asserto, traduce una voglia di comunanza, ecco, questo mi parrebbe non già “infantile”, ma bensì infantilistico : cioè versione negativa, «razionalizzata» in ideologia, in Norma. Doppiamente finirebbe per esserlo, venendo da chi, etnoculturalisticamente, adora e sacralizza tutto quanto è dell’ordine del tradizionale e dell’ancestrale, ma a patto che sia esotico, conculcato dalla modernità e dunque espresso da vittime, di preferenza anch’esse esotiche : atteggiamento perfettamente speculare – un vero e proprio calco – all’egocentrismo etnocentrista e a qualsivoglia forma di identitarismo, sempre patrimoniale, proprietario, che pretende dare valore universale, fondamento di maggiore legittimità e qualità di paradigma del Bene, con effetto normativo, al proprio particulare, surrettiziamente universalizzato-sacralizzato.
    Converrebbe comunque che chi sprezza, vuoi in nome di modernismi, vuoi di sorta d’ iper-crisìa comunque ispirata, vigilasse piuttosto su ben altri elementi di omologìa,all’occorrenza esaltati in mimesi ad oltranza, e comunque di non-rottura con il “grande attrattore” dello stato e del moto dominanti, di modi di vita e affetti e logiche che gli sono consustanziali. Beninteso, pensare di poter essere scevri da tutto ciò, perfettamente estranei e indenni, equivale a pensarsi come Munchausen che si tira fuori da una buca senza alcun punto d’appoggio, sollevandosi verso l’alto col tirarsi per il codino. Ciò posto, quando si maledice in blocco la storia dei saperi e delle pratiche dell’Occidente, la chimica la clinica e il resto, converrebbe quantomeno – pur senza necessariamente conati di esodo integrale, romitaggi o frugalismi esemplari – tener vivo un grado di (pur sempre relativa, certo) indipendenza rispetto a tante altre cose.

    Indipendenza, per cominciare, rispetto ad una partecipazione attiva, financo zelante, al «consumo produttivo» : esercitandosi a ricordarsi sempre che si può vivere anche senza iPad, senza low cost ; e persino comunicare senza FaceBook e telefonini, e financo Internet ; e soprattutto, che si può anche pensare che ci si possa ribellare e insorgere, senza passare per Twitter.
    Si tratta di conservare almeno, con le unghie e coi denti, una messa in prospettiva, una distanza : persistere nel proprio essere, è non lasciar atrofizzare delle facoltà pregresse, che permettono di evitare di interamente affidarsi all’artifizio giunto alle soglie del “post-umano”.
    Conviene, insomma, non pensare di salvarsi (l’anima?) accentuando fino all’integralismo forme di rigetto e rifiuto di alcuni aspetti delle logiche dominanti, e al contempo accomodandosi ad altre, concorrendo a “farne girare le turbine” : parliamo del denaro, parliamo del valore del lavoro, parliamo della proprietà, parliamo del principio gerarchico e del comando. Parliamo del discorso sofistico, parliamo del sospetto, del risentimento, della pulsione a sopraffare, parliamo delle dialettiche della colpa, parliamo delle neo-lingue e del potere arbitrario sul senso e sul passato, parliamo del “Giudizio di Dio” nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, della sua proliferazione metastatica – la metastatizzazione come “democratizzazione del cancro”, fino alla microfisica di miliardi di Giudizi di Io ; parliamo della riproduzione sub specie diversa, modernissimamente“riformattata”, con ibridazioni e remake, del rito antico del capro espiatorio, parliamo dell’alienazione legale e penale, della connivenza ‘attivamente acquiescente’ con l’incessante prescrizione di «dilemmi morali» ; parliamo delle «Guerre Giuste», dell’aberrante soggezione ad un comparatismo da “tifoserìe”, che baratta la critica che tende ad approssimare la radice delle cose, la natura delle relazioni, le logiche, le “leggi di movimento” : in altri termini, passando per un lavoro di scavo, di archeologie, genealogie, ricerche di eziopatogenesi, con lo schierarsi tra l’uno o l’altro polo di Coppie oppositive, l’una o l’altra faccia di una stessa medaglia, una testa o l’altra di una medesima Idra, l’una o l’altra forma… e questo, sulla base di una medesima forma-pensiero, invocando tra l’altro i medesimi principî e «Valori», applicando i medesimi metodi, schierandosi sull’uno o l’altro fronte tra speculari manicheismi, speculari negazionismi, speculari colpevolismi…
    Se noi – in logica di concorrenza e/o di ritorsione, mossi da desiderio mimetico – finissimo a ridurci ad esser calco arrovesciato di ciò che “la sistemica” che ci è nemica incarna, allora davvero non ci sarebbe scampo. Non ci sarebbe alcuna ragionevole speranza sulla possibilità di fuoriuscire dall’orbita di tutto quanto crediamo di combattere […].

    Ecco : diciamo che per quanto riguarda il mittente, sugli augurî si chiude qui . Si passa ai bilanci, e a ciò che ne segue. [***]

    Oreste Scalzone _ Paris

  9. Apolide Sedentario scrive:

    Quello che non ho, il danaro, è quel che non mi manca. Quello che ho, una minchia tanta, è quello che manca a tanti. La rete collassi anche ora, finalmente non dovremo transitarci come dal vicolo-orinatoio che sta tra noi e il dove sbatter la minchia di cui sopra (o “luogo del sol dell’avvenir”, o del “venir” e basta, che è il vero scopo organico e fisiologico dell’intellettuale-organismo biologico). Sputo sui flash-mob da twit perché appunto parlo una lingua arcaica fatta di grezzo sabotaggio spontaneista e non di infantili raduni woodstockiani o wikilecchini. Ma che bello sapere che sotto la panca Oreste campa sempre libera mente.


    (c) apolide sedentario 2012
    DOWN DOW FOREVER
    chi non legge FRIGIDAIRE e IL nuovo MALE è dalla parte della legge, anfamaccio

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