LUI CI TENCO

LUI CI TENCO

maRino Gaetano, alias Apolide Sedentario, al Premio Tenco 2009

contiene: Alice, Staino, Battiato, Paolo Hendel, Mau Mau, Momo & meniaders

ghestar: l’Uomo che fissava il Caprone


0. INTRO

[ Battiato
]
Il cantautore non è un musicista.

Il cantautore pensa a voce alta, e le parole sono fonazioni, ed i fraseggi suonano all’udito come suoni sensati, potendo pur venir interpretati in chiave armonica, potendo andare a toccare le sinapsi dell’analisi tonale. Ma son messaggi, non musica.
Un cantastorie, parimenti oppure, non è affatto un pittore. Pur impiegando icone per narrare appunto una storia nodale, cui le immagini sono soltanto contorno didascalico.

Al Tenco, come altrove, son 30 anni che la raffinatezza musicale scavalca e talvolta annienta il letterario e il fastidioso urticante concettuale.

Non vado a un festival jazz, e vaffanculo a chi mi dicesse “macaja” o similari pseudointellettualità.

Vado a portare me. Non a fruire.

Vado da cantautore, a ritirare il premio che mi son autoassegnato: “Targa Tenco 2009 al miglior disco esordiente esondante per l’album maRINO GAETANO (noiseville.org)”.

Il premio, al massimo, se lo dà  l’autore. Quando si rende conto d’aver reso quello che, componendo, era la meta ideale, alchemicamente ottenendo dal crogiuolo il risultato geniale dell’intuizione fatale. Un premio non lo possono assegnare gli “esperti” di quassivojacazzo siano “esperti”. Non c’è un oggettivo valore, non siamo ai cento metri alle olimpiadi, dove chi “ha vinto” è banale: è il più veloce.

Il metro all’Arte è puerilità  meschina. E’ quello che uccise Luigi. E Lui, ci tenco a ricordarlo, si è ammazzato.

LUI CI TENCO

(canzone aristonata)

lui,

ci

tengo

a ricordarlo,

s’è ammazzato

non lo avevan cagato

o erano andati a ballare

(a scaricare)

lui

come tutti pare

a posteriori

con premi intitolati ai cantautori

(sì, ciao, amore, ciao,

con il sarcasmo

suo

amaro

amaro)

io mi sono premiato, io, da solo

(medico, cura te stesso),

ché si possa dar riconoscimenti a chi non sia del clan dei soliti noti,

ai capitali che accumulano e, anfami, che poi non vengon spartiti,

come gli imprenditori, altro che artisti

ma lui, ci tengo a ricordarlo, s’è  ammazzato…

io invece vorrei tanto farvi fuori,

occidentali feticisti del postumo

incapaci d’avere cura dell’uomo

e del suo genio scomodo, se in vita,

(ma mi si dice è reato)



1. SPREMUTA DITTA (PER NON PARLAR DELLA PISCHELLETTAH) EGHEN

 [ SPREMUTA DITTA ] 

Era il 2003, che andammo al Tenco come “Spremuta Ditta”, io e il Gianco freaklance.

In quel biennio fummo un duo prolifico prosaico-immaginifico, audace nel testimoniare l’atroce (l’occidente), dall’assassinio del muratore albanese a Ponte Galata a Ge No Va (Museo del Mare crollato appena fatto), al PalaMazda con gli altoforni horrorifici di Riva, ex-monumenti all’abominio umano (che fortunatamente almeno quelli, come le Torri, non ci sono più).

Si sono riformati gli Spandau di Through The Barricades vent’anni dopo? E fa reunion la ditta Gianco-Apolide, eccheccazz!

Gianco mi dice che c’è. Sei anni dopo, c’è. Gente che non ce n’è, o è troppo poca. Forme di osmosi percaos e punto org.

E si va al Tenco, all’Ariston, a Sanremo. Tutte robacce inquientanti. Bisogna esser coesi tra cumpari pronti al combattimento culturale e all’empatia mentale. Ci vuole anche una cumpara. La contatto, ed alla Ditta s’aggrega Pischellettah, cumpara a sua volta già nota a chi è lettore puntuale. Punto org.

Gianco, Apolide Sedentario, Pischellettah: Un Trio Le Scanno davvero micidiale.




2. INTRAVISTA ESCLUSIVA AD ALICE

 [ Alice ] 
 [ Alice ] 
 [ Alice ] 

 

Appena, tosto appena, entrati all’Ariston, ancora prima d’aristoncraticamente esser forniti del cappio al collo (l'”accredito”, pardon, pur detto “pass”), vedo che nel “foyer delle interviste” Sky intervista Alice.

Alice.

Ho scelto la data del giovedì perché  io sono un animale feriale. I salariati si tengano le “feste” omologate. Io latito volentieri, sia da lavoro che da festività.

Ma si diceva: Alice.

Ho scelto il giovedì perché  è feriale, ma anche perché c’è Alice.

E c’è pure Battiato. Ma sarò  un rintronato (son Rimasto…), però rivendico e ammetto: son decenni che sto incantato da Alice. E di Battiato, scusate, me ne sbatto, perché Battiato si sa quanto sia bravo, ma lo si trova, gravita permamente sulle scene. E invece Alice è rara, in tutti i sensi, in timbrica, in bellezza, e in occasioni di fruirne canzoni, essendo fuori dalle situazioni del porco circo mediatico.

Mi si dirà: grazie al cazzo, è una strafica, ci credo che cerchi lei e non Battiato. E cazzo se è una strafica, siam d’accordo. Ma io ho detto “mi incanta”, ed un incanto è svendita di sé, e non soltanto la debolezza maschile ingenerata dalla pur evidente e ineludibile fascinazione estetica al cospetto di tal Donna perfetta.

Mi incanta che è BELLISSIMA, ma anche il come canta, e il cosa canta con la sua voce unica, sublime. E che è raffinata ma  non algida, per quanto algida venga interpretata. E vola alta sopra le meschine ambizioni al “successo”.

Alice mi incanta perché è  un mio riflesso (o io sono il suo, il che è lo stesso), ovvero “è”, non “ci fa”, ed appartiene alla mia stessa monade: coloro che hanno un tesoro nelle proprie interiora, e lo regalano perché ad averlo dentro e a non poterlo gettar fuori brucia, ustiona.

Alice: sono venuto di giovedì per Te. E, appena entrato all’Ariston, sei Tu la prima persona che incontro con lo sguardo. Quando si dice il Caos.

Che sempre sia lodato Nonno Albert.

Alice interloquisce coi microfoni Scai.

Io, a distanza, rimango sulla scala, addirittura tremante (come m’annota la Pischellettah cara, che ben sa io non sia affatto il tipo da emozzzionarmi, cazzo, ché io ai vips li vedo e anche li guardo sempre dall’alto al basso…).

Mi passa ogni ambizione al pass (la priorità  che avevamo giungendo a Aristo-cazzo). E fisso Alice, in Sindrome Stendhal. Con nulla, mi si creda, di carnale: Alice è celestiale.

Che poi sembrerò instupidito o anche maiale, ma ovvio che ho preparato materiale che nulla ha di ammiccante: io sono intravistatore “epatizzante”, io genero fastidio, io mi approccio con gli aculei simbolici ben fuori.

Alice mi fa innamorare, ebbé, lo ammetto. Ma non sono un ometto: sono Autore, e anarchico si rimembri, e perdavero. Perciò vinco il tremore, apro il taccuino, e ho pronta una domanda al chilotone, altro che al provolone.

Mi appropinquo ad Alice. E arriva il filtro, il paravento solito che esiste tra Uomo ed Artista, manageriale tutore del secondo che si interpone tra il secondo e il primo dicendo “Alice non può”. E come al solito “fammelo dire da lei” è la risposta banale.

E infatti lei è invece colloquiale. Mi guarda sorridendomi. Mi sciolgo, pardecazzi. Ma contengo, perdio! Gli dico velocemente chi son io. Ma non c’è bisogno, lei sa, io so, lei sa già io chi sia. Lo sa per empatia.

Le direi “Ti Amo”. E chi mi conosce sa che non lo dico a nessuno.

Ma invece scandisco teatrale la domanda che nulla ha di ruffiano.

Apolide Sedentario:

Se guardo in prospettiva è un bel nevskjfo, mi tocca guardare al passato, ma nessuno si guarda alle spalle, tutti fiduciosi nell’ipnosi del progresso occidentale, col media che conduce, e essendo un mezzo è cieco, è un treno per Vaffanculo, altro che per Tozeur…

Siamo qui per “elisa umanità”, elisa, cancellata, come il valore artistico, dal soldo…

Ma se quel che è “successo” è “Stato”, tu che non scegli il successo sei anarchica come me?

(Alice sorride splendendo compiaciuta via via che si inanellano titoli di canzoni e vaffanculi; raggiante giunge al finale del quesito, e con fare squisito mi risponde)

Alice:

“PENSO PROPRIO DI SI’!”

Apolide Sedentario:

Sei favolosa, la chiudiamo così? Sinteticissimo, ma chiarissimo, direi…

Alice:

“Direi che più chiaro di così…”

Non sarò mai partner di Alice, ahimé. Ma ho sposato Alice all’Anarchia. Come averla accoppiata, appunto, a me.

Che poi non è che sia stata sbrigativa. Non ha risposto “sì” per fare presto. E’ che, vista la domanda, la prolusione sarebbe stata sviso rococò, pedanteria ridondante.

Sei anarchica? Sì!

E così sia.

Ma siccome dicevo non trattarsi d’essere sbrigativa, Alice resta, non si allontana col fare “devo andare”. Mi guarda con tenerezza da star male dal bene. La fisso nello sguardo per, tacendo, comunicare quanto con parole non basta il vocabolario: lo straordinaria eppure naturale sincronia alchemica “simile con simile”.

La stringerei come faccio solamente coi cari più vicini. Ma le porgo la mano. Lei mi concede la sua. Ci carezziamo le dita senza avere fretta di staccar la stretta (nonostante le mie sian proprio ghiacciate, appena entrato a teatro).

Le dico che sono onorato, e che le auspico, pur nel mondo infamerrimo in cui siamo, di non cambiare in nulla, ché  è sublime.

Mi ricambia complimenti ed auspicio.

La rivedrò nottetempo, giusto il tempo di lasciarle un mio disco, avvicinandola con la richiesta retorica “ti posso, Alice, regalare questo?”. E lei, deliziosa, chinando il viso a mo’ di ragazzina pulita: “Sì che puoi, volentieri”. E son sorrisi sinceri, e mi si scusi se tal artista altissima ed altera mi porta ad onorarmi dei suoi onori innanzi ai miei altezzosissimi lettori (e sempre siateli, critici, schizzinosi, refrattari).




3. maRINO GAETANO (vincitore targa antiautovelox tenco) vs SIAE everendever

 [ luomochefissailcaprone ] 
 [ maRINOGAETANO ] 
 [ luomochefissailcaprone ] 

Ma io qui al Tenco sono in doppia veste, per quanto mai in doppiezza, di intravistatore e cantautore.

Per Noiseville ho appena pubblicato un disco vero, un disco di 16 brani originali, ma in forma “tributo a Rino” (il genuino Gaetano, non quello dei jingle venduti dalla Sony pappona ai pubblicitari puttani)

Se dici brani ti sbrano. Se invece non dici niente, e stai a ascoltare, mi piazzo sul gradino del teatro festivaliero e te li suono, e te la canto, persino.

Dispongo al mio fianco copie piratate del mio stesso cd, insieme ai dischi di due altri cantautori di verecondo spessore che la giuria del Tenco neanche sogna: FABRIZIO SCOLLETTA e DAVIDE VIETTO.

Facciamo dischi, noi, mica banane: nessuna delle copie ha il bollo Siae, tutte le copie son corpo di reato.

Il primo malcapitato che chiedesse di acquistarne una copia sarà vittima di performance caina: lo aggredirò  dicendo che “è reato cercare di acquistare dischi privi di apposito bollino antipirata, checcazzo vuoi comprare? l’illegale? sei proprio un criminale! adesso chiamo gli sbirri!”, gli dirò, facendo l’avvocato al mio contrario, per straordinario gusto del beffardo, e per indurre logiche mentali del tipo: “Costui effettivamente scrive brani che poi incide, e mi piacciono, e vorrei poterli acquisire su cd per ascoltarmeli a casa, ma causa normativa pizzettara, costui non volendo pagare il pizzo Siae, il disco del proprio autore è illegale, nonostante sia suo, e con un prezzo e tiratura tali che non si posson dire commerciali”.

Mettere il paradosso, evidenziare la contraddizione. Grazie, cattivi maestri dei Settanta, che mi avete educato a che un dito non nasconde una fava, e che il belino del Re, se messo all’indice, è minore di un mignolo.

Canto le prime canzoni.

La gente scorre sul Corso, indifferente come fossi un barbone. Che poi sono.

Ma quando i versi scavalcano coi decibel il rumore delle auto, colgo al volo l’udito di chi passa, con giramenti di sguardi tra lo scandalo, l’ira, o l’approvazione.

La performance consiste nell’indurre attenzione, e poi gridare “questo cd non è siae, se me ne chiedi una copia sei un criminale, chiamerò gli sbirri”.

Ma c’è mica bisogno che li chiamo: i polliziotti arrivano da sé, su una volante a lampeggianti blu, e si porcheggiano ben rivolti a me, che me ne fotto e intono tutti i brani più oltraggianti e illeciti che ci ho.

Chi li ha chiamati? Direi quelli dell’Ariston, che poco prima, mentre Pischelletah e Gianco riprendevano in foto e video il live, erano usciti in chiaro intento “smamma, chi ti ha detto che puoi suonare?”. Ma Pischellettah era andata a interloquire col solito fare di femmina ruffiana per il qual  l’ho portata, lei capace di rigirar per un pelo la frittata. Rivolta al buttafuori aveva detto “lui è con me, ti piace?”.

La psicoarma letale, esser spostati in semantica mentale: e il buttafuori richiesto circa il gusto (“ti piacciono le sue canzoni?”) anziché corrisposto nell’intento (se Pischellettah avesse detto “senti, lui è un rivoluzionario e vaffanculo canta finché gli pare”) confonde le proprie intenzioni, e torna dentro, dando risposta del tipo: “Sì, mi piace, allora dai va bene” (se lei non c’era non andavo bene: fatta la donna trovato l’inganno della legge). Rientrato però nel teatro col sentore d’essere stato fregato, probabilmente l’inserviente chiama l’intervento sbirresco, a cui declina ciò che lui non sa fare.

I tuvacchi della lecca (i tutori della legge, lapsus, ops…), torneran per ben tre volte a guardonarmi: la seconda mentre sto ai tavolini del foyer strimpellando canzoni, la terza mentre converso sulla soglia, porcheggiandomi la volante col pneumatico praticamente sui piedi, a finestrini giù per origliare meglio il conversare. Hai “origliato”? Hai “sentito”? E allora “anvedi”, pure (d’annà dove  sai già).

E’ mentre appunto canto le canzoni che vengo a conoscenza della guest star di questa mia incursione, ovvero: L’UOMO CHE FISSAVA IL CAPRONE.

Campeggia sotto l’insegna-logo “Ariston” la programmazione cinematografica delle sale a Sanremo. Il cancerogeno Moccia è affiancato dalle promo di un film del serialtrash “l’uomo che parla con” (sussurrando ai cavalli, bisbigliando ai facoceri, spettegolando con qualche lepidottero), a questo giro intitolato: “L’uomo che fissava le capre”.

Scanzonatamente io cantando, un uomo canuto si ferma sulla soglia e mi resta a ascoltare. L’uomo Che Fissa Il Caprone, per l’appunto.

Terminata l’ennesima canzone, lasciando pausa all’ugola, con fare titubante mi avvicina. Mi chiede chi io sia. Lo chiedo a lui di rimbalzo, ed annotando “lei somiglia a Don Backy, e non si offenda, le ho fatto un complimento: non è che sei lui davvero?”. Smentisce d’esser Don Backy, e non s’offende. Anzi: mi chiede un disco.

Può iniziare la “performance antiSiae”.

Lo aggredisco: “Ma come? Non lo vede che questi cd non sono col bollino della Siae, e quindi sono un reato? Lei è un criminale, me lo lasci dire! Lei vorrebbe commettere il reato di appropriarsi di un cd illegale? Lei merita l’ergastolo! Piuttosto che comprare un mio cd si metta a picchiare il primo qui che passa per la strada: la condanneranno a ben meno della pena di un omesso bollino!”.

L’uomo fissava il caprone (ovvero me), ma ora strabuzza gli occhi, sbalordito, nel mentre io incarognito mi sdereno in apologie legali, recitazione da oscar. Insiste: “Voglio il disco, non mi importa che non ha il bollino Siae, lo compro e basta, qualsiasi prezzo abbia”. E io: “Ma allora è un mostro, lei, davvero; la salverò io dall’illegalità, il disco non glielo vendo, punto e basta, io sono un uomo onesto, cosa crede; al massimo può guardarlo il mio cd, tenga, lo prenda in mano”. Ma appena lo ha preso in mano, e sta leggendo la copertina, aggiungo: “E cosa crede, che può farla franca? Se lo compra è reato, ma se lo prende in mano è quantomeno un illecito, quindi le faccio una multa!”.

Insomma fatto sta che lo allontano, e lui ci rimane malemaleassai, e pure io, tantissimo, ma appunto il mio è il Teatro della Crudeltà. La cara Pischellettah ora mi invoca: “Ma dai, davvero, a parte la tua performance, adesso lo spettacolo lo hai fatto, lui ha capito il messaggio, e adesso basta, dai, dagli il disco, dai, non puoi trattare così questo brav’uomo che pure ci tiene a te…”.

Ma io sono incorruttibile.

La libertà si conquista, non si acquista.

(Scusami, Uomo che fissa il caprone, ed abbia tu, se non il mio cd, mia riconoscenza infinita)

In chiosa, narro una gag “identitaria”, curiosità sociologica: di solito mi pongo come Incognito, non lascio che nomi d’arte, e mai recapiti, dunque so bene il genere di chi, come l’Uomo che fissa il caprone, smentisce d’esser Don Backy, ma non dice nulla di chi poi sia in verità.

Ma in elusività, davanti all’Ariston, competono con me e lui anche due giovini, ragazzo e ragazza, che sembrano un po’ artisti, per cui chiedo loro “chi siete?”. La lei indica il lui: “Sono una sua amica”. Io mi rivolgo all’amico: “E tu chi sei?”. E lui indicando lei: “Un suo amico”.

E detta ‘sta barzelletta, arriva al mio cospetto un vignettista vip.




4. INTRAVISTA ESCLUSIVA A STAINO

 [ Staino ] 

 

Nel mentre che sto fuori dal teatro, sul gradino inscenando il mio concerto antiSiae, arriva Staino.

Il vignettista di Bobo mi vien servito sul vassoio siae e anche sul frigorifero: è in corso un tentato sgombero di Frigidaire (testata quasi trentennale di fumetto e cultura inarrivabili) dalla sede di Giano, bicraniuto comune agreste dell’Umbria che ha prima concesso usufrutto ventennale, ma dopo tre anni appena s’è pentito, ed ora ha imposto lo sfratto. Essendo io un autore in quelle pagine, mi è stato dato compito autoriale di perorare la causa. Staino ovviamente è “un nome”, ed il suo appoggio alla rivista di Pazienza, Scozzari, Sparagna, Liberatore è molto utile.

Lo fermo e inizio a parlare. Staino ascolta con bofonchiante attenzione.

Apolide Sedentario:

“Prima di tutto, Tenco secondo te l’avrebbe vinta una Targa Tenco?”

Staino:

“Ma che domanda sarebbe?… Tenco… La Targa Tenco… Cioè è ovvio no?… Sì, Tenco avrebbe vinto… Tu dici di no? Perché no? C’è una giuria di più  di 100 giurati, magari lo sceglievano, perché no?… Per esempio il gruppo che ha vinto la Targa quest’anno sono bravi…”

Apolide Sedentario:

“Vabbeh, io sono un autore di Frigidaire, volevo dirti che li stan sfrattando dalla sede, la situazione è  grave, e tu sei Staino, pardecazzi, devi far qualcosa perché il Comune di Giano si vergogni e ritratti lo sfratto…”

Staino:

“Ah sei uno di Sparagna? Ha rovinato tanta gente… Dello sfratto me ne avevano parlato, la notizia è  girata… Lo farò, segnalerò il mio sdegno…”

Apolide Sedentario:

“Se lo fai, bravo… Ma ritornando al Tenco, che senso ha dare premi? Nei 100 metri alle Olimpiadi è tutto chiaro: chi corre più veloce arriva primo, è una questione oggettiva… Ma nelle Arti, chi vince? chi è migliore?… Un premio, nell’Arte, mi spieghi cazzo c’entra? Ha senso una rassegna, una vetrina, chi aderisce viene e dopo suona, sia chi e quel che sia…”

Staino:

“Ma che ragionamenti fai, dai, non siamo più nel ’68”

(NdA: Non siamo più nel ’68 ??? Dalla bocca di Staino ??? Un sessantottino che dice a un non-sessantottino di non fare il sessantottino??? Ti è andata bene, Staino, doppiopesista sinistro, che non ci siamo più, nel ’68: con una battuta simile finivi minimo gambizzato, tu che in quegli anni avresti anche plaudito a chi avesse punito uno che dice infamie di ‘sto afflato. Bobo? Bah!)




5. ARISTONCRAZIAN

 [ Schiavon ] 
 [ momo ] 
 [ Piji ] 
 [ SPREMUTA DITTA ] 
 [ camerini ] 
 [ Hendel ] 
 [ GinoDoreciakgulp ] 
 [ Battiato e Alice ] 

 

Il pubblico è minoranza, al Tenco. Il settantapecciento dei presenti sono gli artisti o i sedicenti tali. Questo, lo riconosco, è l’unico pregio reale del contesto, che sarebbe, se no, da contestare.

Non c’è platea, al Tenco. Solo palco anche fuori dal palco. Performances colloquiali tra camerini, foyer, salette artisti, banconi del bar, sala.

Il secondo che incontro, dopo Alice, è MASSIMO SCHIAVON, ligure cantautore.

Schiavon mi saluta sempre, se mi incrocia per strada (incrocia? cristo? cristo inchiodato ai muri delle scuole?). Mi conosce di vista: mi ha già visto, acchitarrato e sminchiato, per estati ed estati a beateggiar sulle spiagge. E essendo un cantautore, mi saluta, come i motocicilisti tra di loro.

Schiavon è un cantautore, e nella band ha il “mio” batterista, nel senso quel Di Palo cui debbo le batterie e le percussioni del mio “maRINO GAETANO”.

Il mondo è piccolo, ma la Liguria di più. Regione nana tutta tana.

Schiavon, coerente, mi viene a salutare. Gli dico: “E’ da un po’ che voglio dirtelo: tu mi saluti sempre, e io lo apprezzo, così come ho apprezzato il tuo concerto a Laigueglia ad agosto”. Lui dice: “Ma scusa in che senso ti saluto? è ovvio che ti saluto, perché no?”. Rispondo che è “perché siamo tra merde umane, sempre, e spesso i cosiddetti colleghi non salutano”. Lui se la ride e fa “io ti saluto, e continuerò a farlo”.

Per tutta la sera, sino a notte fonda, ogni volta che ci si incontra con Schiavon lui dice “io ti saluto!” e mi saluta.

Per ventiquattromila volte.

Al bancone del bar dentro il foyer io e Pischellettah notiamo un viso già visto: il “manager di Jannacci”, con cui avemmo a che fare intravistando Enzo (vedi intravista in archivio). Insieme rimembriamo i vari temi di quella serata, l’aneddoto su De André. Gli faccio qualche appunto circa il Tenco, e lui mi dice: “Lo dici a quello giusto”, manifestandosi a “Direttore Artistico” o qualcosa di simile (carica che ovviamente io ignoravo). Memore del bel rapporto avuto all’epoca dell’intravista ad Enzo, nonostante i rimproveri, ci accoglie e ci introduce amabile (qual è). Quando in secondo tempo ci vedrà accedere ai camerini (il che è ovviamente proibito anche a chi al pass giornalistico) ci saluterà fraterno, senza porre alcuna resistenza al nostro transito, sapendoci leali. Citazione speciale per costui.

Sulle scale dei camerini incontro MOMO.

Quella del Festival di Sanremo, “Fundanela”, gira anca qua gira anca di là.

Che rimastona che è. Una pancabbbestia.

Il tempo d’averla vista e dico: “Momo, tu mi hai fatto godere quanto ti ho vista in tv, nel senso che almeno tu spezzavi il nulla, pur con una musichetta a tormentone che io pensavo poi sarebbe stata usata a jingle in ogni situazione. Invece chi l’ha più sentita. E allora diciamo che al Festival hanno l’uso in ogni edizione di mettere un outsider, quell’anno tu, l’anno dopo i Frank’s Head, per ipocritamente dare spazio anche a canzoni fuori dagli schemi. Ma esposti come gli scemi del villaggio, venite usati e subito gettati. Oppure, Momo, mettiamola così: non hai avuto successo perché non hai voluto vendere il culo o perché il culo nessuno te lo voleva comprare?”.

Tra la domanda al vetriolo disempatico, e il fatto che io abbia chiamato “kundanema” quella che invece era “fundanela”, ed aggiungiamoci pure che è una bbbestiadipunk, mi rutta in faccia una risposta acida (nel senso sia “sgradevole” che “sanamente onestamente freak”): “E’ che io faccio altro”.

Infatti, va ricordato, al DopofestivalRai Momo rispose a domanda “perché hai portato a Sanremo la canzone Fundanela?” il memorabile: “Perché le altre che ho scritto sono belle!”.

Vai, sorella. Le cose belle tienile al di fuori dei loro media di merda.

Tramite Pischellettah, che è una giovine in ormonale vigore e dunque va a adescare un riccioluto giovinotto con pass da musicista, vengo a conoscer la band di tale PIJI, cantautore romano.

Il batterista e il pianista hanno ascoltato dall’altro lato del Corso la mia performance concertista antiSiae. Da Pischellettah portati al mio cospetto, ha inizio un andazzo amicale che si trascinerà sino alla notte, facendo di Trio Le Scanno e Band di Piji un sodalizio tribale.

Per far conoscenza, chiedo: “Voi chi siete, dei proletari sorpresi dell’invito o dei raffinati d’alto bordo?”. E loro: “Siamo assolutamente proletari, ma Piji vince molti concorsi”.

Si parla di me, di loro, delle radio, della fruibilità dei dischi rustici, di Cammariere e i suoi testi abominevoli, di “Cammariere al tavolo”, di Britti e tutti gli altri “bravi musicisti” che invece di far quel che sanno (ossia suonare) s’ergono anche a comporre frasi idiote, deturpando il pianeta.

Poi si finisce a parlare dei miei brani, tra cui “Alessia Fabiani”, il cui inciso dice che lei fa bocchini. “Lo sanno tutti, a Roma”, fanno loro, qualora fosse stata una domanda a cui fare seguire un’asserzione, anziché appunto un verso di canzone.

E poi inventiamo la scatola cinese, la performance nella performance, dal titolo: “Tutti a svegliare Piji”: ci dicono i cumpari della band che il frontman di cui sopra “sta dormendo nei camerini, e adesso è quasi ora, dobbiamo andarlo a svegliare”. Non volendo spezzare il cerchio magico che s’è formato tra il Trio Le Scanno e loro, aggiungono: “Ci volete accompagnare?”. E noi aderiamo subito: tutti a svegliare Piji, per l’appunto.

In un corteo di 7-8 persone, chitarre e fotocamere alla mano, ci dirigiamo nei varchi del foyer non accessibili di per sé ai pass per stampa, e raggiungiamo i privé aristoncratici, i cessi e le doccie in cui i vips del Festival lavano le pudenda (il che non basta a detergere i crimini autoriali amore-cuore).

I camerini son messi su più piani: quello a cui dorme Piji è riservato al giro delle “giovani promesse”, tra cui i vincitori della Targatenco per gli emergenti del 2009, il gruppo degli ELISIR.

La schiena nuda in vestitino sexy della cantante degli Elisir è il primo acchito una volta giunti alla meta. Sotto un valentiniano bel caschetto di capelli corvini, la cantantina e gli altri musicisti scaldano i sax ed allenano le dita sulle tastiere di due contrabbassi, e gli altri indossano gli di scena. Degli Elisir dico solo che li ho visti a Rainews24 fare il tipico sofisticato jazzpop. Ovvero tecnicamente gente solida. Creativamente no. Però va detto: ogni volta ci incontriamo durante la serata mi rivolgono sguardi e saluti amichevoli, per quanto neanche un discorso sia intercorsa, né una presentazione.

Piji è già sveglio, che si sta a vestire. Gli pongo la domanda fatta a Staino: “Secondo te Tenco avrebbe vinto una Targa al Tenco?”. Sentendosi, in quanto invitato, denigrato dall’allusione al fatto che i giurati non siano per forza affatto illuminati, a differenza dei suoi a noi ben empatizzati musicisti si mostra infastidito, e mi risponde: “Sicuramente l’avrebbe vinta, sì”.

Gli dico se ne è sicuro. Mi chiede perché io sia sicuro del contrario. Gli dico che boh, non è che son sicuro ne del sì né del no. Che pongo la domanda senza saper la risposta, per sentire cosa mi venga risposto, per l’appunto. Ma che mi puzza anche  un po’ l’aria che tira in quassivoglia “premio”. Scusino se non mi fido dei padroni, dopo che Tenco appunto l’han trovato steso sul pavimento proprio in quanto escluso.

Solo per sentir Piji poso il culo sul mio posto prenotato nella Sala (sono a mia volta artista, non son pubblico, infatti “salterò” pure Battiato, del quale parlerò dopo), ascoltando due brani (un lento jazzato aperto, a tema pioggia, e un cabarattistico pezzo più ritmato sull’emigrazione italiota) per poi sfornare questo pagellino: “Gradevoli anche se sofisticati; considerandoli amici, voto 6/7”.

Li metto al corrente del voto. Serenamente accettato.

Durante la mia performance antiSiae mi era passato davanti, salutandomi con complice risatina di commento al mio sarcasmo autoriale, PAOLO HENDEL, al Tenco come co-presentatore. Lo avevo conosciuto nel 2000, poi ci si era rivisti quest’estate (trovate l’intravista qui in archivio), occasion nella quale m’ero dato a provocazione al vetriolo. Ma nel suo saluto scorgo un “chi si vede” senza remore ostili. Mi fa addirittura occhiolino. Altrettanti ossequienti saluti mi darà ogni qualvolta nel corso della sera mi scorgerà nell’Ariston.

L’attore porge rispetto al Grande Autore. Ma col rispetto non si fan pagnotte. E gloria non fa bocchini (Vigna docet). Alessia Fabiani, è confermato, sì.

Nel mentre me la schitarro ai tavolini del Caffé interno dell’Ariston, qualche minuto prima che mi dicano che “disturbo la sala” (io, il sub-plugged, a loro, i pluggedissimi…), passa un viso a me noto. “Scusa, scusa, ma tu sei quello di Do Re Ciak Gulp?”. E infatti “sì, sono io”, mi fa. Gli dico: “Maddaicchesstoria, vieni un po’:: com’è che fa la sigla che cantate tu e quell’altro al Tg?”. Lui dice: “Te la canto, ma tu suona, il pezzo fa così: questa picco-lis-si-ma sere-nata…”.

Avete presente Mollica al TG1? Avete presente mica la rubrica di spettacolo ed arti? Avete presente quel tipo che canticchia “Questa piccola serenata” nella sigla finale (prima, per anni, fu “Ciao ciao bambina”)?

Egli è GINO CAPPONE.

Gino canta con me. Poi si intrattiene. Gli chiedo di raccontarmi chi egli sia e come sia finito con Mollica. Mi spiega che entrò diciottenne al Teatro Ariston come lavoratore, e che attualmente è Direttore Tecnico. E che ama il teatro. E che ha fondato la Compagnia Teatrale Serianasca”, di cui è anche regista. E che lavora da anni al dialettale, essendo custode di un dialetto ligure ottocentesco e arcaico, avendo avuto nonni che parlavamo l’idioma belenoso originale.

Mi fa sol Gasp, conoscere Cappone? No, mi ha anche fatto davvero un gran piacere.

Citando Giampiero Alloisio, ci becchiamo anche con un cantautore di quel giro, ovvero CRISTIANO ANGELINI. Cristiano è un neurobiologo dai neuroni bizzarri e dal gusto musicale che il mio gusto trova condivisibile.

Si parla di Bob Callero (bassista di Finardi, oltre che di altri), che è un suo complice artistico, e del brano che Bob appunto scrisse e dedicò a Carletto. Mi racconta che chiesero a Callero cosa un artista pensasse del G8, e che lui nel rispondere s’accorse della necessità di una canzone a Carlo. Lui che non scrive testi. Ma che scrisse (e quando io la lessi trasalii) la lirica più alta che io scorsi tra quelle appese a Alimonda.

Poi mi ricorda FRANCO FANIGLIULO, che qui al Tenco non c’è, essendo morto pur lui. Andò a Sanremo a “fare un po’ il Gaetano”, come mi dice Cristiano, “perché era uno come Rino e te”. “A me mi piace vivere alla grande” cantò nell’edizione ’82. Poi fece dischi irridenti ad ogni schema, in fricchettona satirica allegria. Sorte lo portò via giovane nel mentre zappava la terra della fattoria che s’era comprato, andando a far bucoliche, coi proventi del disco sanremese. Medaglia d’oro al valore contadino delle Arti di ‘sto brutto Belpaese.

Nel mentre tutti vanno al Dopotenco e il Trio Le Scanno stremato fa i saluti agli amichetti pijiani (tra i quali cito l’Ufficiostampaman, Giuliano al secolo, che giovialmente mi ha fatto da cumpare duranti vari sprazzi della sera), riesco a conoscere ancora un cantautore, GIULIANO GANGEMI, intrufolato in veste giornalistica, e un poco alieno a tutto, con la sua aria occhialuta  minimale però condita da un sorriso cinico, da una sfrontatezza niente male e da un sottovoce  impercettibilmente feroce.

E, di Scalzetta parlando, la sera dopo noi non ci saremo (Augusto Daolio docet) ma ci sarà il VITTORIO DE SCALZI dei New Trolls, che suonerà – mi dice il TencoMagazine – le liriche di Mannerini. RICCARDO MANNERINI fu, bonanima, nume di Faber De André, oltre che autore del concept dei New Trolls “Senza orario e senza bandiera”, compendio di idee rossonere ad A-cerchiata  usate e dimenticate da coloro stessi che le cantarono. Nel TencoMagazine c’è pure un articolo di Ester Friendi, “Storia di un anarchico”, che apologizza la figura postuma del Mannerini cumpare. Gli anarchici son osannati sempre e solo quando ormai decomposti nella bara. E chi li osanna, cibandosi borghese di carogne di dipartiti anarcocarognoni resi da sora morte ormai inermi, è un avvoltoio e un verme.

Sulle scale tra galleria e platea ci passiamo dinnanzi sguardo a sguardo io e un altro allampanato. Sembra ci si conosca. Mi saluta. Gli ricambio il saluto. Mi avvicina: “Scusa, non mi ricordo, ma mi sembra che ci conosciamo, è vero?”. Rispondo al cumpare: “Mi pare pure a me”.

E’ Luca dei MAU MAU.

La sera dopo mi ricorderò che ci si era beccati in una notte zeneise con Ceccon (Colorado Cafè, ex Voci Atroci), e che si era parlato di flessioni e di tournée spagnole.

Mi dice che esistono tanti cantautori del giro “indipendente” di cui nessuno sa niente. E che quelli che “escono” son quelli emuli di altri sempre tali e quali. Essendo lui torinese, gli segnalo Scolletta e Vietto, e lui ne fa taccuino.

Poi va a sentire Battiato, che nel frammentre ha iniziato i suoi brani.

FRANCO BATTIATO è la star, è la galassia, è l’universo del giovedi del Tenco.

E, tenco a dirlo, tal pur io lo reputo, ché – tolto il suo fare il prono al Santo Subito woitila rapitore della Orlandi – davvero lo riconosco come un Grande del pantheon culturale.

Ma io non sono il tipo da ascoltare passivamente gli altri, fare il pubblico. Quindi Battiato lo guardo dallo schermo del bancone del bar, sorseggiando un caffè.

Battiato canta con la cuffia in testa. Al bancon del foyer dicono “è sordo”. Ma quando intona “La Cura”, in religioso silenzio anche i denigratori (cinici, critici, sani) si contrigono in un ascolto assoluto.

L’arte non è acqua fresca, la cura non è vaccino farmaceutico.




6. CHIOSA: LONTANO LONTANO DAL MONDO

LUIGI, FEDERICO, STEFANO, CARLO (Tenco, Aldovrandi, Cucchi, Giuliani) 

Sanremo, ore 18.00, prima di tutto quanto detto prima.

Erano dieci anni quantomeno che non ci si vedeva con Luca di Sanremo, tesserato del Circolo Rimasti. Ci incontriamo mentre parcheggiamo, Trio Le Scanno che arriva in zona Ariston. Dice che ci sarà anche lui, di sera, in quanto è nel frattempo diventato redattore di un foglio di spettacolo e manifestazioni. Infatti a fine serata ci si trova all’uscita dell’Ariston. Nel mentre ci si saluta, si ricordano i vecchi tempi del Circolo. Te la ricordi la Coppa del Rimasto? E le partite a Scorch? E come no, ci si giocava sempre con Carletto.

Carlo.

Carletto.

Giuliani.

Prima Cristiano Angelini, e adesso Luca, parlando a me ricordano Carletto. E io, Luca e Carletto quante ne abbiamo fatte, quante, insieme. Luca è da sempre un cinico letale. Ma pure a lui gli viene il lacrimone. Restiamo un minuto sospesi, muti, innanzi, specchiando la degluzione del magone.

Carlo, sono passati tanti anni, ma nessun colpo d’arma degli sbirri ti ha separato da noi. 

 [ Ramingo e Alice ] 

 

(c) per i testi Apolide Sedentario

(c) per le fotografie Gianco Freaklance

(c) per la foto b/n Pischellettah Sarah

(c) per il reportage: Trio Le Scanno 2009

DOWN DOW FOREVER 
 
 
 

5 Comments

  1. sarah scrive:

    wow…altro non mi esce…wow!ti voglio bene(pischellettah ) :-)

  2. chacka scrive:

    io l’anno scorso ho portato i ciddi agli afterauars a sanpero, mi aspettavo di trovare puttane e cocaina.
    invece ho trovato solo gli autogrill e quelli di casasonica che a momenti manco mi dicevano ciao.
    che merda, sanremo.

  3. Apolide Sedentario scrive:

    peggio di sanremo c’è solo (tolta la merda Superba ge no va) la tossica savona, siam d’accordo (minore), chacka, boiafaust…
    ma un ciddi agli afteauars lo si porta solo imbottito di Anthrax, sei d’accordo (maggiore)?…
    vedere il mio scontro con manuel agnelli, io Caprone, nelle intraviste d’archivio…
    (un saluto a Pischellettah che per un pelo rigira le frittate, cumpara efficacissima)


    apolide sedentario

  4. chacka scrive:

    potrei non darti un dò di petto? assolutamente in accordo di dò maggiore.
    e anche un po’ dò di stomaco alla consegna de Il Paese è Reale avevo quasi avuto la tentescion di mettergli in cambio tutti i cd invenduti di Boosta-Iconocolash.
    ma m’è venuto in mente giò strammè, e mi sono messo a piangere, pensando d’essermi fatto torino.milanonord.milanosudsudsud.sanremo.torino in circa 9 ore. praticamente sono arrivato quasi dopo Bari.

  5. Apolide Sedentario scrive:

    la prima volta che passai davanti all’ariston ero un minore per quanto maggiorato, con due cumpari coetanei, ed eravamo a sanremo per tutt’altro che il festival, ma ci trovammo innanzi appunto al festival senza nemmeno sapere quella fosse la via su cui s’affaccia l’ingresso del teatro
    non c’era ancora la passerella, e transitavan due sciure impellicciate
    uno dei miei cumpari aveva l’hobby di tirar scracchi sulle impellicciate, e così fece d’istinto pure a quelle
    Caterina Caselli, era, a noi ignota, una dei due bagascioni
    da quell’edizione del festival fu d’uso la passerella, ed i cordoni di gorilla e sbirri
    (sulle giovani di ieri ci scatarro su, agnelli tosato, caterina a pecorina)
    grande piccolo chacka (testo di bagliono claudi)


    apolide sedentario

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