BASTA UNA SOTTANA, PUTTANA intravista tra Apolide Sedentario e ENZO JANNACCI

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NTRO:
Non sto un cazzo bene, la mia vita non è bèla per un cazzo, eppure cazzo ho sbirciato un manifesto, la settimana scorsa, che annuncia una “conferenza musicale” di e con Enzo Jannacci.
E Jannacci è ormai vecchio. E’ un grande vecchio. Uno che – cazzo – fece turpiloquio a fin di ceffone per gli ascoltatori e spettatori della televisione democrista, insegnando al bambino ch’ero allora che “parlare male”, dire parolacce, può essere un “parlare bene”, pane al pane, e quando ce vo’ ce vo’.

Insomma: è un grande vecchio, e (toccati i coglioni, Enzo, e campa ancora cent’anni) l’occasione potrebbe non ripetersi, di intravistarlo, al Maestro in bianco&nero del turpiloquio d’autore, di cui sono (a lui sconosciuto) allievo.
E io sto di merda, cazzo, sto di merda, succube di problemi personali. Ma non posso evitare: devo andare, devo, ché Enzo è un Maestro, devo…

1. NON HO VISTO UN RE MA HO VISTO UNO DELLA BIBBIA
Si potrebbe andare tutti davanti ai bagni comunali del borgo di pescatori di Liguria in cui Jannacci stasera terrà la serata.
E infatti ci troviamo tutti là, ai bagni comunali dietro al palco che Enzo calcherà: io, Sarettah, Luc’o, e lo Scozzese coi due bancarellari, l’Indiano, e il Valdostano e la sua Pam.
Jannacci – dicono tutti da iersera – è uno che merita, Raro, anzi parecchio raro, lo si dica, di chicchessia.
Sarettah farà le foto, e nel frattempo – conoscendo il patron della serata – si è già informata: le han detto che Enzo è vecchio, e pure stanco, e che non dà interviste, meno a una giornalista della Rai che si è già prenotata.
Vedremo come fare. Nel frattempo non resta che aspettare, dicendo amenità, guardando i culi delle bagnanti passare, nel nostro clima sociale scandaloso ma tanto bello agli occhi dei bambini che passando salutano quel gruppo di ultimi fricchettoni.
Sul palco fanno il saundcièc della band che suonerà dopo Enzo. Di loro il più umano è Andrea, chitarrista-clarinettista diplomato al conservatorio che si è fatto un decennio di liscio, di balere, e trasmissioni di Telecupole per casalinghe avanti con l’età. Qua è stato aggregato da una band di musica alla Capossela (che disprezzo, il biascicone ubriacone). S’apprezza invece Andrea, tra di noi: è un bravocccristo, uno che a fine serata dirà pure che se capiterà ce la suoniamo tutti insieme là in spiaggia, che a lui farebbe piacere.
Intanto però rimane da beccare Enzo Jannacci. E lo hanno avvistato al bastione, e ci corriamo, ma non c’è già più. E poi lo vede uno, “guarda è là”, e lo inseguiamo, ma è un altro, c’entra un cazzo con Enzo.
E allora s’aspetta, una pizza, una birretta, a turno si va a prendere qualcosa per ammazzare l’attesa.
E intanto s’aggrega a noi Mario Casale, un vispo settantenne dalla chioma ancora lunga e bianca, che ci racconta d’essere un attore, e d’essere comparso in più filmoni come “La Bibbia” e “Vacanze Romane”, sul set con Gregory Peck e Anita Ekberg, ed a comprova di ciò mi fa vedere articoli di giornale ripiegati in un astuccio tipo la patente, come patente d’attore, appunto. Mi parla di Ornella Muti e De Laurentiis. Dice che dentro quel mondo c’è soltanto lurido compromesso, e lui è contento d’esserci passato, ma non esserne diventato uno strumento, vivendo d’altro che il cinema.
Casale mi racconta e mi racconta. Finché Sarettah m’urla che è il momento: Andrea il clarinettista-chitarrista, con cui s’era conversato ormai ore prima, non solo s’è ricordato del discorso, ma ora ci ha fatto da gancio (un po’ come “il palo” d’omonima canzone poi eseguita sul palco da Jannacci) e ci segnala che “Enzo è entrato là”.
E “là” è nel “Buco del…”!


2. L’INCONTRO NEL BUCO DEL
“Il buco del…” è il nome di un locale, qui, nel borgo di pescatori ligure.
Autoironia gestionale, visto l’antro, ma con davanti un dehor con tavolini sulla piazza dei concerti, assai appetibile dunque (come d’altronde pure il buco omonimo ma fisiologico).
Gestore è un tipo senza naso in sù (o non l’avrebbe chiamato “Il buco del…”) e senza nenie ci informa che Jannacci è appena andato al cesso, e quando gli chiediamo se possiamo aspettare Jannacci fuor dal cesso ci dice “ho 20 cocktail già ordinati, pensate se bado a voi, aspettate o meno, fate quel che volete”. Il che, non essendo noi suoi avventori, e visto altri locali come trattano, merita encomio, appunto.
Jannacci esce dal cesso, stralunato. Ci vede al varco aspettarlo, stralunanti. Sarettah spalanca il sorriso e chiede “posso?” e salta al collo ad Enzo, ringraziandolo per averla fatta crescere – lei che è ancora pischella pure ora, da regazzina precoce quale fu – con le canzoni sue, così sarcastiche e intelligenti e a lei care.
Jannacci stringe la mano a me e a Luc’o ed al barista pure, ma col braccio di lato, e lo sguardo puntato su Sarettah. Le chiede se è una cantante e se cantiamo insieme io e lei. Diciamo che cantiamo ma di sera sul mare, io aggiungo che lei sembra Janis Joplin, quando apre la voce. Lui dice “meglio che sembri te stessa, non le altre”. Dico “sì certo, era un esempio, Enzo”, contento che lui non sia uno dei soliti “istruttori da talentsciò” che badano solo alla tecnica schiacciando le peculiari personalità.
Dicevano “non rilascia interviste”. Ma basta una sottana, un metaforica pelo di al buco del. Viva Jannacci uomo ancor vitale nonostante l’età. L’intervista si fa. Dice: “Sediamoci”.


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3. INTERVISTA ESCLUSIVA A ENZO JANNACCI
(Avevo quattro domande per Jannacci, ma il tempo è davvero poco, e poi la formula che Enzo sceglie per darmi la risposta impegna la sua attenzione, per l’appunto giocando tutto il tempo che è concesso. Siccome però una domanda non risposta era davvero importante, la riporto in parentesi. “Ci sono sempre tutti che partono, ma dove arrivano portano occidente, e partono contenti perché il loro piangere farebbe male all’economia globbbale, e mi dicono sempre dai vieni anche tu, e io no, e loro ma perché, e io perché no, e intanto il massone è scappato davvero, ma se lo dici l’effetto che fa è che ti danno del complottista, ma allora la vita l’è bèla o béla ovina e basta?”. Peccato, la non risposta…)
E’ mio stile ormai noto a voi cumpari lettori il rigirare i testi degli autori in domande a cut-up.
Ma Enzo è il primo che gioca al gioco mio: sentita la prima domanda (che leggerete sotto) esclama perplesso “Ma cosa devo dire?”, e mi strappa di mano il notes, perché vuole leggere la domanda coi suoi occhi, e resta notes in mano a ragionare, poi dice “Dai, va bene, ti rispondo”, e quando faccio notare che ha il mio notes e io non posso trascriver la risposta mi strappa un foglio bianco e me lo dà, tenendo la domanda ben davanti, per giocare al mio gioco, per l’appunto, parafrasando me che parafraso lui. Jannacci è un genio, e infatti si gioca alla pari.

Apolide Sedentario:
“Mai avuta alcuna divisa, mai servito nessun padrone, cresciuto leggendo Beppe Viola, eppure sembro neanche un ragazzino, soltanto che la faccia nel mirino non fu la mia, ma di mio fratellino Carlo, e ci ho il pacco e anche parecchio, e anche parecchio scazzo, perché tutto è corretto e sicuro, sicuro che ci se la piglia in culo, e non esagera più nessuno, ma io al tuo funerale piangerò, e tu piangerai al mio?”

Enzo Jannacci:
“Cercavano di darmi divise, cercano di farmi sentire padrone, sono cresciuto insieme a Beppe Viola, ma la faccia nel mirino era quello di mio figlio, nelle canzoni, e nella vita invece è quella di mio fratellino Carlo Giuliani. Ho avuto un pacco, che non è una di quelle troiate che si vedono oggi in tv la sera, e loro vorrebbero che ne avessi parecchio, ma parecchio al giorno d’oggi è uno scazzo, come dicono i gggiovani, e tutto deve essere corretto, perfetto, insuperabile, come Berlusconi, che si ritiene insuperabile, sicuro che se la piglia in culo (non Berlusconi: chi si ritiene insuperabile). Non esagera più nessuno, ma piangerò solo al mio funerali, tu piangi al tuo.”
Apolide Sedentario:
“Ci vuole orecchio o ci vuole il bollino siae?”

Enzo Jannacci:
“Ma ci vuole davvero internet per scaricare quelli che hanno fatto una vita per poi venir scaricati come canzonette laddove ci hanno messo il mal di cuore?”

Apolide Sedentario:
“Beh, per esempio io faccio canzone sociopolitica, ed essendo interessato alla diffusione del messaggio me ne strafotto dei diritti d’autore, anzi che duplichino, purché l’idea giri…”

Enzo Jannacci:
“Anche io ho sempre fatto canzoni sociopolitiche, ma se non c’è il ritorno economico come mangio?”

Apolide Sedentario:
“A me basta suonare due canzoni e subito mi offron da mangiare…”

Enzo Jannacci:
“A te offrono, ma quando l’età avanza, hai famiglia, e il teatro e la piazza sono vuoti perché il grande successo sta sfumando, aspetti i soldi della Siae… Però sono dei mascalzoni, perché io sono un socio Siae, e dicono che per i soci Siae si prende dal calderone, ma sì Paoli, Lauzi, De André, Mogol li pagano, mentre a me dovrebbero mandarmi a casa almeno un tot, però io nemmeno gli scrivo per dirglielo…”

 

Opinata la sua difesa della Siae (non fosse che – in linea con l’ideologia bauscia di Elio&Storie, vedi mia intravista precedente – ha rivendicazioni circa i conti e i pagamenti), menzione d’onore ai passaggi più elevati delle risposte di Enzo: il definir “fratellino” mio fratellino Carletto, e l’autosarcastico “ho avuto un pacco”. Mi inchino davanti al granduomo.


4. VINCE ENZINO (fuor dalla fabbrica)
Copriamo enzo di ringraziamenti. Il manager mi dice che vorrebbe aggiungere una cosa. Gli dico “quando vuoi”. Dice “Tra un poco”. Si spostano nell’angolo de “Il buco”. Io resto sulla porta. La porta dà sul palco. Dal palco il “presentatore” annuncia fiero: “Ed ecco Enzo Jannacci”. Jannacci è seduto là in fondo al buco del, e da laggiù non si sente. Vado da Enzo e dal manager per dire “guarda che t’hanno annunciato”. “Davvero?” mi fa il manager. Dal palco dicono: “Vi chiediamo scusa, ci dicono che Enzo sta arrivando”. Vi dicono una sega: se non sentivo io, dov’era Enzo non lo sapeva nessuno. Dico “guardate, hanno detto adesso che c’è un inconveniente, e Enzo sta arrivando”. Il manager dice ad Enzo “dai dai Enzo, dice che t’hanno annunciato!”. Enzo si alza, ed è ringiovanito. Enzo animale da palco, cazzo, vero. Balza fuori dal buco, e la gente lo vede, e scatta applauso. E lui informale invece di arrivare al palco dal retro passa la soglia del bar, attraversa il pubblico, e va a iniziar la serata.
La performance di Iannacci è tutta eclettica. Prima fa il conferenziere un quarto d’ora. Poi suona al piano “Lettera da lontano”, con la dedica a Carlo. “Lettera da lontano” ha per finale la parolaccia in stile (ed assonanza) tipico di Jannacci, ovvero “rompicoglioni”. Un bambino dietro me dice alla mamma: “Ma dice le parolacce!”, e se ne va. Poi Enzo intona “El portava i scarp del tennis”, e la interrompe a metà. La gente plaude, come avesse finito. Lui va nel centro del palco, lentamente, cerca un microfono, il rodie glielo porta, e lui riprende, a cappella, senza piano, e fa la seconda parte del suo brano. Teatrale come sono i grandi artisti, altro che scuole di recitazione e talentsciò. O ci si fa o ci si è. Ed Enzo grande è, facendo ciò.
Andiamo dietro al palco, e c’è un silenzio irreale. Sembrerebbe che Enzo abbia già smesso di suonare, eppure la gente è assorta, e la platea ha gli sguardi inchiodati verso il palco. Minuti e minuti. Ci stupiamo, e andiamo a cercar di capire. Enzo è dall’altro lato della scena che canta senza microfono (!). La libertà totale. La personalità totale. Il fottersene totale delle regole e delle convenzioni. Esultiamo, esultiamo tra cumpari: la libertà di uno è un trionfo di tutti i libertari.


6. LA MIA MOROSA LA VA’ ALLA FONTE A VIA DEL CAMPO – aneddoto esclusivo del manager di Jannacci

Terminata la serata, mi ricordo che il manager di Enzo aveva detto di aspettarlo, dopo, ché mi doveva aggiungere una cosa. Tutti i cumpari mi chiedono se il manager l’ha più aggiunta, la cosa. Non l’ha ancora aggiunta, e dubito lo faccia, ed ipotizzo sia un “vaffanculo” quello che egli intendeva per aggiunta, ed i cumpari ne ridono con me.
Vado a cercarlo, il manager. Gli dico se vuol fare, poi, l’aggiunta. Mi dice la farò. Gli dico sono là, su quel muretto, insieme ai miei cumpari. Mi dice che arriverà.
Dopo un’oretta infatti arriva. Bravo, che dici una cosa e poi la fai, pensiamo noi.
E inizia a raccontare:
“Nel ’57 Enzo e Dario Fo vanno a Genova per un evento musicale. Tra gli artisti c’è un giovane 22enne, tal De André. Enzo canta “La mia morosa la va alla fonte”, brano composto sulle ricerche medievali di Dario Fo, con musica di Enzo, nello spettacolo che portano in giro e che mi pare s’intitolasse “22 canzoni”. Esce a un certo punto di lì a poco la canzone “Via del Campo”: le parole sono nuove, ma la musica è quella di “La mia morosa”. Tuttavia Enzo tace. Fo e tutti dicono ad Enzo che si deve rivalere. Ma Enzo non lo fa. Molti anni dopo Dario va a casa di Dori Ghezzi e Fabrizio De André a dirgli che la musica era di Enzo. Fabrizio, che pensava il brano essere tradizional-popolare-medievale, si accorge solo allora del talento di Enzo nel ricreare – e solo un grande artista lo sa fare – un tal ambiente storico. Alla fine Fabrizio va alla Siae e fa mettere il brano con autori DeAndré/Jannacci. Questo per far notare la correttezza di De André e il disinteresse economico di Enzo.”


CHIOSA:
E’ un periodo che i bambini spontaneamente mi salutano, passando. Lo faccio notare al cumpare Valdostano. Dice: è davvero un buon segno. Anche se dico le parolacce, cazzo.


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(c) Apolide Sedentario 2009 – (c) per le immagini: Sarettah 2009
DOWN DOW FOREVER
giornalisti del cazzo
chi ha votato è sciemo

2 Comments

  1. zia piera scrive:

    bravi soprattutto la mia nipotina saretta .zia piera

  2. damiano scrive:

    che micche

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