1 GIORNO DA DE LEO DOPO 100 GIORNI DA DI TONNO – intervista esclusiva a JOHN DE LEO

Sanremo quest’anno l’ha vinto Gio’ Di Tonno.
Nove anni fa vi rutto’ invece il “Rospo” blasfemo di John De Leo.
I totem non siano tabu’: un uomo chiamato cavallo se fosse stato chiamato montone avrebbe fatto un porno e non un western.
Da De Leo a Di Tonno c’e’ un abisso. In tutti i sensi. E tra “La bella e la bestia” e “Il principe ed il rospo” c’e’ di mezzo la proprieta’ psichedelica che appunto l’ascella del rospo secerne, e che sCocciante non sa che cazzo sia.
John “vaga”, io vado ramingo; e lui “svanendo”, io mai esistito al mondo (il mondo essendo il prodotto dei massmedia): tra tedio e diffidenza, un’intravista astiosa, roba spissa tra i due magrissimi Apolide Sedentario e John De Leo…

1.

Terza puntata di note in liberta’ vigilata.
La definizione mi viene vidimata da assessora ed organizzatrici, casting ormai ben noto a voi lettori di questa situescioncomedi coi soliti protagonisti e una guest-star a puntata, come i Simpsons, ma in una Springfield ancor piu’ provinciale, piu’ delocalizzata.
Personaggi che hanno trovato l’auto Re (che poi sarei me, che’ non di questo mondo – il mondo essendo prodotto dal danaro – e’ il regno mio, anticamente detto “naturale”).
Dopo l’incontro gioval coi Quintorigo e dopo il losco “caso meretrice” al concerto di Morgan, a “Note in Liberta’” c’e’ John De Leo.

John De Leo era voce, autore e frontman dei Quintorigo.
E appunto i Quintorigo gia’ ho beccato.
Ho riciclato dunque l’intravista: ad “intervista incrociata” posso porre le mie questioni a De Leo, dopo che ho avuto le risposte dal fronte Quintorigo (con Valentino Bianchi).

Allarmeunoprotezionecivile. E di fatto diluvia.
Colpa della scaletta di De Leo, che prevede anche un brano che, testuale, parla di “storming weather” e di una situazione “raining all the time”.
Sotto la rain battente, tuttavia, il pubblico e’ accorso solerte e numeroso: un mio compare nota che in provincia c’e’ piu’ risposta del popolo alle arti, e che in citta’ – col tempo alluvionale – per un De Leo nessuno avrebbe sporto la testa fuori dall’uscio.
Sotto la rain battente sguscio fuori dall’auto parcheggiata, e mi smarrisco una cosa. Nei 100 metri che stanno tra la macchina e La Comune di Loano (la location di situation cui sopra, gia’ ormai lo sanno i lettori) son scolato. Pero’ ho scordato un pezzo sulla macchina. Devo tornare alla macchina: ci affogo…
Nell’atrio de La Comune di Loano c’e’ il portaombrelli pieno. Prendo il piu’ bello in prestito (che bbbello, stare ne La Comune: la proprieta’ collettiva dei servizi, il fascismo repubblicano di un Comune Itagliano dove governano A.N e ForzaItaglia secondo un avanguardismo che ha qualcosa di “fuori dal comune”).
Con il mio ombrello stile comunardo, esco da La Comune e m’indirizzo all’auto. Si e’ parcheggiato un furgone. Se hanno il pass per arrivare in piazza, ed e’ un furgone, vuoi dire che sia De Leo che sta arrivando? Cazzo, infatti e’ De Leo. No, non e’ lui. Ci ho le allucinazioni. E’ uno simile, sembra John, con quel taglio di capelli, quella forma del viso. Ma non e’. Se lo era gli dicevo: guarda, John, che dopo ti farei quattro domande…
Ma non e’ lui, ci assomiglia. Quello a fianco ha il cappuccio. Vado oltre. Una ciocca di crine corvino dal cappuccio. Cazzo: e’ lui, John De Leo, l’incappucciato, con un suo sosia al fianco! Ma ormai sono andato oltre. Cosa faccio? Dico: “tu, col cappuccio, John, ti devo dire solo una cosa”? Ma cazzo gli sto a dire, c’e’ un tempaccio…
Che serata del cacchio, mi son pure dimenticato un robo in macchina, e mi scappa De Leo…



2.

Sarebbe gia’ una serata andata ammmale, se la buonasera si vede dal furgone.
De Leo non aveva l’aria colloquiale, in quello scorcio che ho visto d’espressione, e averlo lasciato scappare, avere perso la prenotazione per dopo, e’ un poco come – di totem parlando sopra – essere gatto che ha fatto sfuggire il sorcio.
Infatti al mio ritorno a La Comune trovo l’organizzatrice, e mi propongo: mi prenoti De Leo nel postconcerto? E lei lo dice a De Leo, ma per risposta mi viene a riferire: “John ha detto che prima aveva tempo, ma ora inizia, e dopo non si sa se ce la fa”.
“Prima” ero la’, dalla macchina.
E – a proposito – l’ombrello l’ho rimesso paro paro dove l’avevo preso, dopo averlo collettivizzato in funzione di riparo (le funzioni, non i mezzi, comunisti spariti, si dovevano collettivizzare, dico tra parentesi).
Ma, ritornato asciutto a La Comune degli ombrelli in comune, m’e’ sfuggito l’attimo di Leo sfuggente…

Ho un piano di riserva.
Assai pesante.
Resto in attesa.
Snervante.

A de-snervarmi ci pensa il mio talento (che talvolta ha il “valore” che in passato venne “monetizzato” anche in semantica, da nome proprio di soldo).
Se hai talento, hai del credito, ti paga. Lo diro’ poi anche a De Leo, facendo esempio di come lui sarebbe ben nutrito in cambio di un acuto, o un verso roco, od una diplofonia.
In questo caso paga invece ammia: le organizzatrici e l’assessora vengono a dirmi che hanno letto e poi riletto e poi triletto le mie recensioni alla rassegna in corso, e che si sono tropppospanciate dal ridere, e che sono uno che “sulla rete e’ sprecato, ci vorrebbe il cartaceo”.
All’assessora dico che il cartaceo e’ seppellito con l’editoria via dal Pianeta Moneta, e che lei e’ di A.N., che e’ al governo, e che ci pensi lei, a riesumarla, e io pensero’ a scriverlo, il cartaceo, ma che intanto tant’e’.

Tant’e’ che sto meglio, i nervi mi si stirano.
Anche perche’ la lettura e’ stata arguta, e le istituzionalettrici – che dei testi sono protagoniste – si son viste specchiate sullo schermo, come fruitrici ed attrici di se stesse. E non solo il mio stile iper-sarcastico non le ha offese o turbate, ma hanno imparato a memoria dei passaggi che citano divertite, e mi contagiano con le loro risate, e rido grasso anch’io, di quanto ho scritto io stesso, e dell’uso che fanno dei miei testi decontestualizzati (tanto simile appunto a quanto faccio quando intervisto gli autori, giochino che funziona ad ogni grado, sia lode all’odioso Logos…).
Faccio per dire: l’organizzatrice mi dice “io non sono laureata, vorrei che lo scrivessi, io non ho mica due lauree” (ovverossia fa il verso alle due lauree della tipa a cui avevo dato epiteto di fronte al suo altrettanto laureato buttafuorfidanzato, il quale appunto – vedi il mio brano su Morgan – aveva detto a difesa dell’amata che era bi-dottorata).
E poi mi dice “pensa se me l’avessi detto a me, il titolo che le hai dato”, e io gli dico “ma tu non sei bionda”, e lei mi dice “ma sono bionda dentro”, e poi aggiunge “mi saro’ mica data della troia da sola?”, e insomma il gioco d’arguzie mi e’ al livello, che bello che qualcuno mi capisce.
E qui inizia il concerto, e ci zittisce.



3.

John De Leo fa spavento, fa sindrome di Stendhal, non e’ un talento, e’ un portento, e’ un dono di natura che egli ha e un dono di natura per noi qua che lo stiamo a sentire.

Dal primo suono ad ogni ghirigoro, ogni emissione sua e’ un perfetto punto, un centro di intonazione e timbro.
Prima di lui solo Stratos.
Dopo di lui chissa’.

Attorno a lui gente a posto, tre musicisti che appena che li hai visti dici “bravi ragazzi, si vede”; e a posto anche nel senso che ciascuno sa fare il proprio ruolo di sostegno al genio vocale di John.
(Sul “genio” vocale dubbi non ci sono, su quello mentale invece i miei compari solleveranno remore, ad intravista avvenuta, e se vogliamo “john” e’ un’ammmericanata, che’ Giovanni De Leo suona benissimo…)

Dicevo della band:
Fabrizio Tarroni (chitarra elettrica, voce)
Dario Giovannini (chitarra elettrica, fisarmonica, macchina da scrivere)
Christian Ravaglioli (corno inglese, fisarmonica, pianoforte – che’ poi il pianoforte viene dichiarato ma non c’e’).

Il pianoforte non c’e’, ma c’e’ De Leo.
Sto par de cazzi, se c’e’.
Fa di tutto, di tutto, con la voce.
Non ha pace, coi suoni, usa le prese di fiato in chiave ritmica, e le inserisce in una loop machine, e supplisce cosi’ – che’ puo permetterselo, eccome se puo’ – all’assenza di strumenti della sezione ritmica, in campionata beatbox.
Sto par de cazzi: cazzo altro puo’ dire chi lo stia ad ascoltare…



4.

La scaletta e’ il suo disco da solista, “Vago Svanendo”.
Dei Quintorigo nulla, tranne il bis “Nero vivo”.

Il disco e’ con l’etichetta Carosello. Nome da pubblicita’, merce di major.
I Quintorigo sono “indipendenti” (cosi’ mi dissero loro). E kristo si’, cosi’ si fa, regazzi!
De Leo invece no. Lui ci e’, nel bisniss…
Non punta a far la popstar, ma a quanto pare cerca sempre la major per sfornare quella che da Arte, appunto (con la pietra antifilosofale imprenditora) si trasforma in prodotto da scaffale.
I Quintorigo dunque son piu’ puri. Parrebbe, poi vai a sapere…
Ne parlero’ con lui nell’intervista, e vi rinvio cola’ per la risposta.

Dopo ti faccio la posta, John, ma adesso mi godo il tuo talento portentoso, con l’ex-gruppo o solista che me fotte.
Poi scrivo tutta la notte, un mazzo tanto, ma intanto adesso mi godo le tue vette di controllo del fiato.
Un par de cazzi lungo piu’ di un’ora. Con lunghissime intro e eterne code alle “canzoni” del disco, per abusare delle sonorita’ rese possibili sopra il tema iniziale, tra consonanze e rumore, tra rarefazione e tra saturazione dello spettro, i quattro sul palco, De Leo e i suoi musicisti (a un certo punto sento un ticchettio che mi e’ familiare, l’infanzia da scrittore, la Olivetti rotta di mio padre, e raddrizzo le recchie e poi anche gli occhi: c’e’ Dario Giovannini che per ritmica usa il dattiloscrivere…).
A proposito: il sosia di De Leo uscito dal furgone ad inizio serata e’ il “suo” musicista Christian Ravaglioli, cosi’ somigliante che anche una compara presente all’incursione dice che “sembra il fratello”, ma ci hanno diverso cognome.
E poi Fabrizio Tarroni alla chitarra.
E – sempre, mai domo – De Leo.
Piove che dio la mand: pero’ la band qui present, cazz comm’ suona…



5.

Al penultimo brano mi appropinquo al camerino di John.
Mi viene detto: “Probabilmente non puo’, e’ molto stanco e ha fretta”.
Dico che ho un “piano B”, ma e’ pesantuccio.
Dicono che non rispetto la stanchezza.
Dico che ho fatto palco per dieci anni, e se non vuoi non fai palco, e se lo fai ci sono i fans, le gruppies, e chi ti vuole parlare, e questo e’ il minimo per essere stato sul palco, da egocentrico impositore di se’.
Dicono che chiederanno se si puo’.
Dicono di aspettare, forse puo’.
Aspetto coi miei compari.

Passa John.
Dico: “John ti vorrei fare soltanto quattro domande, ora vai a scaricare, io t’aspetto”.
Lui frettoloso e stremato dice: “Dopo”.
Aspetto coi miei compari.

Rispunta John, con la scorta del suo manager-rivenditoredeidischi-tuttofare, al secolo credo Muriel, se ho capito nel pre-concerto il nome.
Ci sono un po’ di tipi per gli autografi. Si mette a colloquiare e a autografare. Lo lascio autografare. Poi mi avvicino, dicendo “l’intervista…”.
John resta fermo e muto. Tra me e lui si para in mezzo Muriel.
Surreale.
Mi dice che mi “dovevo prenotare”, che non sono corretto, che i giornalisti devono introdursi e non pretendere senza avvisare.
Ma John De Leo e’ li’, libero, muto, mica impegnato a fare qualcheccosa, mica da altri incursori prenotato. Quando si incontra qualcuno, ci si parla, mica bisogna averlo preavvisato. E poi faccio notare al cuscinetto-protettore di John che a sorpresa si puo’ capire meglio la persona, con premeditazione invece esce soltanto il personaggio: per dirla alla musicista, e’ piu’ verace l’improvvisazione…
Mi dice: “Devi aspettare”. Come dovesse vendermi del fumo, con fare strano, losco.
Siamo alle solite: Apolide e il grottesco.
John resta fermo e muto.
“Ci metto cinque minuti”, dico a Muriel.
“Ho detto che devi aspettare”, dice a me.
“Mi stai a coglionare?”, dico a Muriel.
“No, ma devi aspettare”, dice a me.
Surrealissimo.
Dico a Muriel: “Ma aspetto cosa, almeno?”.
Mi dice: “Facciamo che ci fidiamo: adesso aspetti, e John dopo risponde all’intervista, ma adesso devi aspettare”.
John e li’, fermo e muto.
Ha liquidato le gruppies, sta impalato, mi guarda senza fiatare.
“Allora ci siamo capiti? Adesso aspetti”, mi dice Muriel.
Gli dico che son buono con i buoni, e cattivo con i cattivi, e dunque scelgano a quale ruolo giocare. Ci stiamo quasi per dare.
Surrealerrimo.

Aspetto coi miei compari.
Pare che prima vogliano smontare la strumentazione, e John debba stare con loro.
Hanno una protezione maniacale verso i contatti con John.
Chiedo a me stesso perche’, e mi rispondo che gia’ durante il concerto avevo fatto il conto del personale.
De Leo da’ pane a: 3 musicisti, 1 fonico, e 3 accompagnatori-tuttofare solo tra i qui presenti (durante l’intervista, proprio Muriel mi dira’: “anche piu’ di 6 o 7 persone campano su John”; io all’organizzatrice avevo detto: piuttosto che esser cosi’ iperprotetto preferisco esser ricrocifisso dai discepoli come in passato universo parallelo…).
E l’ho capito che John vi e’ pagnotta, ma io devo solo fare un’intervista, mica lo voglio ammazzare: sara’ John, ma non e’ mica John Lennon, Giovannino…
(E, anzi, non lo sanno, i protettori, ma se facesse il gesto di scappare ho pronto un “Piano B” da far paura. Meglio, assai meglio, starmi un po’ a cagare qualche minuto, fidatevi…)

(La mia compara notera’ che Muriel ha la maglietta con scritto sulla schiena: “Brutta roba la paura”. Tutto coincidenziale, nei percaso…)
(E poi notera’ anche che, nel mentre io dico a Muriel che ho gia’ intervistato i Quintorigo, John sibila un labiale interpretabile come un “non fare il furbo…”)

Aspetto coi miei compari.
Non mi turbo.
Ho un piano di riserva micidiale.
Ma non e’ ancor detto che lo debba usare: “facciamo che ci fidiamo”, ha detto Muriel, e io mi provo a fidare (ma con la coda dell’occhio tengo in vista le porte dell’ascensore, via di fuga possibile di John…).

E nel frattempo passa il chitarrista, Fabrizio Tarroni: un buono, ce l’ha in faccia stampato.
Mi guarda il notes in mano.
Gli dico: “Vuoi che intervisto te?” (che’ poi, in effetti, si da’ attenzione sempre solo al frontman, ma anche i gregari chissa’ che abbian da dire qualche opinione propria, interessante…).
Sorride con timidezza, imbarazzato, e dice che “non ha da dichiarare”, e che “meglio se parla John”.
Tipico musicista, che si esprime solo con lo strumento, e che ha pudore del confronto a parole. Ce l’ha stampato in faccia, d’esser buono, d’aver natura mite. Lo dicono anche i compari.
Con cui aspetto.

Finche’ mi viene detto di salire.
John De Leo mi concede l’intervista.
Poeta: spiega la meta.



6.

INTRAVISTA DI APOLIDE SEDENTARIO A JOHN DE LEO
(ovvero: “La musica solare siamo sull’altro versante”)

Arriviamo a De Leo io e i miei compari.
Lui li vede con me, e li saluta: “Siete con lui? Come fate?”.
Occhei, gion: e’ un esordio come i miei, astio e sarcasmo, sorriso ma bastardo, clima hardcore.

Apolide Sedentario:
“Solo un momento di tempo per me. Sgomenta coincidenza: ti sto davanti, non sono un’illusione, sembro te, proprio te. Ho idea tu sia ad un faccia a faccia, ti piaccia o no. Io non so fingere, e sono contento di essere infelice: nel mio mondo inutile, la mia presenza ti disgusta?”

(Come coi Quintorigo, il “ti disgusta” lo faccio in crescendo isterico di voce, citando l’intro di “Rospo”… De Leo resta ammutolito: e’ assai provato da quanto ha dato – e va riconosciuto che ha dato proprio tanto – nel concerto… Tace un istante, guardandomi perplesso…)

John De Leo:
“…La domanda e’?…”

A.S.:
“La domanda e’: nel mio mondo inutile, la mia presenza ti disgusta?”

J.D.L:
“Ma no, sono diventato tollerante, crescendo… sono diventato democratico…”

A.S.:
“No, dai, democratico non dirlo. E te lo dico io che ho pubblicato la rivista Democrazia, pero’ era una presa per il culo…”

J.D.L.:
“Vedi? L’ho detto per promuovere la tua rivista…”

A.S.:
“Credimi, perche’ mi vedi ridere, ed assomiglio a Kristo, si’, e ti puzzo, e son sarcastico, si’, ma e’ necessario, nel mondo mercantile. Tu, avendo fatto anche il mercenario, ti consideri merce-Bergonzoni, o inestimabile come Stratos? Perche’ se sei merce io, bambino marrone, ti sputo…”

J.D.L.:
“…E la domanda e’?…”

A.S.:
“Se ti consideri merce o no.”

J.D.L.:
“Sono merce o no?… Fai domande difficili…”

A.S.:
“Grazie, si’… Anche tu fai testi difficili…”

J.D.L.:
“Sono merce impropria, sono solo un po’ di merce, sono un pezzo di merce.”

A.S.:
“Non mi hai detto niente del riferimento a Bergonzoni, pero’…”
[nda: Bergonzoni compare nel finale del disco solista di John, con una sua tiritera in libertina semioillogica a palla, con – si’ – qualche trovata, ma casuale, dovuta a ridondanza autoreferenziale del suo strasproloquiare]

J.D.L.:
“Perche’ ce l’hai con Bergonzoni?”

A.S.:
“Ce l’ho con lui perche’ non dice nulla, fa solo effetto speciale. Vedi, John, tu sei un tubo che convoglia aria su corde, gole, cavita’, e emetti suoni fantastici. Io faccio il lavoro opposto: come i Profeti convoglio il Logos biblico come farebbe un imbuto, e cosi’ facendo lo rendo traducibile in termini di linguaggio; ma cio’ che esce da imbuti fatti male, come nel caso di Bergonzoni appunto, sono parole vuote, in-decriptate, mentre le mie hanno il dunque, per diffondere il senso e i referenti.”

(John De Leo non ribatte. Sta a ascoltare come stesse a seguire una lezione, un documentario, o forse un delirare. Come prendesse appunti: questo dice che Bergonzoni fa del gran frastuono, ma in fin dei conti non dice proprio un cazzo. E insomma: non difende Bergonzoni, che e’ un suo pezzo del disco…)

A.S.:
“Comunque tu non ha senso che sia merce. Tu sei troppo di piu’. Tu sei un talento vero, hai un dono di natura inarrivabile. Se tu, fuori dal commercio e dallo show, ti trovassi a girare per un mondo fatto senza danaro, in cambio di un tuo pezzo con la voce chiunque ti darebbe da mangiare, e un letto per dormire, e anche la figa, qualcuna, ti darebbe, vai sicuro…”

J.D.L.:
“Magari… Quella invece non me la danno mai…”
(nda: ???!!!… ma allora ho ragione io, che usando la parola in modo puro e con finalita’ d’artista, senza contamizione del mercato, chi me l’ha data, in vita pur assurda, l’ho – eccome – trovata…)

A.S.:
“Perche’ ti sei mollato con i Quintorigo (che peraltro m’han detto di farti “tanti, tanti, tanti auguri”)? Tra di voi tradimento? E date la colpa a un dito di/vino?”

J.D.L.:
“I giocattoli si usano e si rompono, anche quelli che ti piacciono di piu’.”

(nda: nell’estrema sinteticita’, John quindi dice, in qualche modo, che fossero il suo gioco preferito, i suoi ex gruppettari staordinarii, e questa – visto il clima di tensione che e’ evidente tra loro – e’ alle mie orecchie gran bella ammissione: ho fatto far pace pacetta fra le parti, adesso merito il Nobel, o una vacanza insieme a Jimmy Carter?)

A.S.:
“Dovrei ringraziarti, tu che non lasci vivere ne’ morire gli indipendenti estremi come me, e che vuoi sogni accessibili ma segui gli schemi, i doveri, e i borderaux della Siae? Eppure sei libero, se vuoi…”

J.D.L.:
“…E la domanda e’?…”

A.S.:
“Cosa pensi della Siae.”

J.D.L.:
“Anche se non la pensi di certo come me, io dico sempre che e’ piu’ efficace cantare Rospo a Sanremo che fare il dito nei centri sociali. Bisogna entrare dentro per distruggere.”

A.S.:
“La penso esattamente come te, pensai esattamente questo, quella sera che ti vidi cantare Rospo su quel palco. Chi se lo puo’ permettere, e son pochi, e tu sei tra quelli, deve proprio fare come te, che – pero’ – mica vai a fare entrismo come dici o sembri dire: tu vai imbottito di bombe, non fai entrismo, tu vai come un kamikaze [nda: John conferma gestuale, qui ci siamo capiti]… Io odio i centri sociali, e ti dissuado da andarci se ti invitano… Ma anche io ho fatto palco, e sto facendo un disco, ma da solo, e non avra’ il bollino che tu invece, essendo di Carosello, di un’azienda, devi mettere; ma la Finanza controlli il suo mercato, io non ne faccio parte, e non mi vengano a spaccare la mmminchia sulle cose che mi faccio da me…”

(Il fonico locale si avvicina. Mi dice: chiedi a tutti della Siae.)

A.S.:
“Con lui come fonico, e con me sul palco, abbiamo fatto almeno dieci serate, nel passato: abbiamo lo stesso fonico, io sono te, proprio te, come ho gia’ detto. E ha ragione, il fonico: io chiedo sempre agli artisti un parere sulla Siae, e quasi tutti han detto che fa schifo, anche Petra Magoni e Giorgio Conte…”

J.D.L.:
“Ah si’? Cosa ti ha detto la Magoni?”

A.S.:
“Lei proprio netta: ha detto che la Siae e’ un’associazione a delinquere.”

J.D.L.:
“Ah, ecco, capito…”

A.S.:
“Io coi borderaux Siae, nelle serate, ci facevo gli aerei di carta, e li tiravo sul pubblico.”

J.D.L.:
“Ma ti e’ piaciuto Il Bambino Marrone?”

(Sibillina e allusoria, la domanda? Stavolta mi spiazza lui: cosa intende, nel dirmelo? E’ un attacco? E’ una richiesta di un parere? Oppure mi vuole dire: “a uno come te dovrebbe esser piaciuto, quel mio brano sarcastico…”. So solo che quando ascoltai il disco solista, a “Il bambino marrone” sdilinquii, ma poi venni bruciato dal finale con Bergonzonicoglione a sproluquiare, e il disco lo lanciai via dal lettore. A questa sua domanda sibillina mi sembra avesse assistito a quella scena…)

A.S.:
“…Mi e’ piaciuto si’, infatti, vedi, John, se mi scappavi avevo un Piano B: ti inseguivo facendomi filmare, e – urlandoti nelle orecchie che IL BAMBINO MARRONE TI SPUTA – ti sputavo davvero…”

(John De Leo con la bocca emette un suono, ma col pensiero dice “vaffanculo”.
Poi mi porge la mano per andarsene. La porge ma non la da.
Gli porgo la mia mano. Non la do.)

A.S.:
“Comunque ti facevo ancor piu’ stronzo.”

J.D.L.:
“Tutto e’ bene quel che finisce.”

Non provo a ridere, adesso.
Rido proprio.
E ci stringiamo la mano.



7.

Ci intratteniamo ancora, coi compari. Parlando sulle scale. John De Leo e’ di sotto, al pianerottolo, e sente tutto. Sente dire ai miei compari che “e’ stato deludente, per i pochi contenuti nelle risposte, e per le scene grottesche dei suoi manager”. Io tento una difesa squinternata, poich’egli m’ha cagato, quantomeno. Penso che e’ stanco, o timido, o che e’ uno che pensa solo al suono, a come renderne la perfezione e la gamma degli spettri, tutto centrato su quello e quello solo. Ma in fondo so che e’ una sola, e che soltanto mi ha pensato un gran spaccacoglioni, e mi ha trattato con sbieca diffidenza e vaga sufficienza, svanendo poi di fuori dalla sala.
Usciamo da La Comune, coi compari. Loro (De Leo e i suoi, e l’assessora e le organizzatrici) stanno chiudendo il furgone e gli strumenti. Poi vanno verso qualche ristorante. Un mio compare dice: “A te non offrono mai”.
Nel mentre s’allontana, John si volta: saluta con la mano me e i compari.
Sventola: “A mai piu’…”.


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(c) Apolide Sedentario 2008

2 Comments

  1. Chiara scrive:

    Banale, trito, già sentito, ma chettedevodì, questo è: sei un grande

  2. Apolide Sedentario scrive:

    Cara fresca e dolce Chiara, grande grande grande come me è grande solamente Tu(pacamaros)… Chettedevodì, questo è: grasssie, (non) prego, scusi tornerò (se i Tornado e i droni non mi bombardano prima)…

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