E A NON VEDERTI PIU’ DA VICINO VICINO – intravista in memoria con Paolo Limiti
A vederlo così, da vicino vicino, Paolo aveva un’aria da brav’uomo genuino.
Noto per l’educato savoir-faire da salottiero conversator cortese, Paolo Limiti non recitava la parte. C’era, non ci faceva.
E dire c’era mi duole. Perché quest’anno per la prima estate dopo tante estati che non stavano finendo non lo vedrò più al dehor altolocato del Mediterranée. E la chiamano estate, questa estate senza Limiti, che non sarà sfrenata ma nostalgica.
Paolo Limiti lo incontrai nella remota intravista che pubblicai su questo sito (http://turistipercaso.org/apolidesedentario/2009/07/21/il-gatto-aldo-e-il-volpino-edo-intravista-tra-apolide-sedentario-e-edoardo-bennato-e-malmorto-ghestar-paolo-limiti/)
Ancor non c’era feisbuc né gli hastag, non esisteva l’aifon né la macchina di guggl che non beve mica il sabato, ma che si schianterà pur essa un dì feriale. Io quella sera andavo in bicicletta ma senza Nonno Alberto, ed ero triste triste come Ivan, e sinceramente incosciente: piangevo a getti di lagrime che neanche vedevo dove andavo, per fatti miei personali andati ammale. Nell’offuscatezza visiva scorsi sagoma in rotta di collisione con la bici. Inchiodai a solo un palmo da quel piede che come me s’avviava sulla rampa che dal Mediterranée a 4 stelle (Limiti, mica Grillo…) conduce alla passeggiata. Alzai gli occhi lagrimanti verso il tizio che stavo per travolgere. Costui senza rancore alcuno disse: “Salve, lei è un musicista vedo”, guardando la chitarra che portavo sulla mia bicicletta psichedelica. Io asciugai la vista dal mio pianto, e misi a fuoco l’interlocutore. “Più che altro un cantautore, ma lei invece è Paolo Limiti!” risposi.
Gli anni a seguire risparmiai i lettori da tutti gli altri incontri della sera con questo Autore senza il cant davanti. Lui che soleva nel caldo dopocena sedersi amabilmente tra avventori di quel dehor da signori, con l’oratoria e il sorriso ch’eran tipici dei pomeriggi televisivi della Rai da lui condotti per anni. Ed io che m’avvicinavo a salutarlo con l’aria di quello che non vuole rompere, saluto e tolgo il belino. E i benestanti del Mediterranée a far espressioni sconvolte di terrore per questo nostrosignore seminudo che gli giungeva in bici al tavolino (un tossico? un barbone? un assassino di vip?). E Limiti invece a sorridere bonario: “E’ un giovane cantautore che conosco”.
Fu l’anno scorso il commiato che mi fregio (non petrolinianamente, questa volta) d’avergli dato, all’Autore Paolo Limiti, con deferenza sacrale. Lo vedo a conversare come al solito con ospiti del Grand Hotel di sua fiducia, ma senza disturbare giusto transito. Solo che in quel momento mi rammento il testo di un brano di Mina. Bugiardo e incosciente, il titolo. “E a vederti così, da vicino vicino…”. La metrica di quella canzone è la perfidia tecnica più infida per un letterato per quanto talentuoso, trattandosi di 6 sillabe soltanto con pure la tronca in chiusura. Chiunque l’avrebbe sbrigata con 3 strofe e 2 ritornelli scarni uguali uguali. Limiti invece non si pose limiti: scrisse per 6 minuti di canzone la descrizione lunghissima e precisa di uno stato d’animo in tormento, senza ripetere mai nessuna frase, e senza licenze liriche, tenendo un tono da rimuginazione, pur obbligato in una gabbia metrica letterariamente quasi impraticabile.
Tornai quindi sui miei passi (anzi pedali) per approcciare il tavolo di Limiti. Feci comprendere che era solo un attimo (un’intravista appunto) che intendevo rubare a quel convivio. Limiti mi diede assendo a che parlassi. Io dissi: “Lei è l’Autore che ha composto il più difficile testo della canzone leggera di ogni tempo, e ci tenevo a dirle che lo so”. Spiegai brevemente il motivo di quel Grammy (di scytto) a chi assisteva alla scena. Limiti mi studiò, e comprese subito la pertinenza assoluta letteraria del mio tributo a quel componimento.
Ringraziò, con pudore, e si schernì. Sin troppo modesto sotto l’ampio ciuffo cotonato.
Quest’anno, invece, la voce del silenzio.
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(c) apolide sedentario 2017
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