L A S T MI NU T E: OSAMA IS DEAD ??!

Osama Bin Laden morto, ucciso dagli americani in Pakistan. Si trovava in una villa nei sobborghi di Islamabad. E’ stato il presidente Obama a dare il via libera all’operazione militare per uccidere il leader di al Qaeda, sulla base di informazioni attendibili dell’intelligence Usa. Già una settimana fa il presidente Usa era stato informato del luogo esatto dove bin Laden si nascondeva.

La notizia ha incominciato a circolare negli Stati Uniti alle 22 e 40 ora di New York. Ancora pochissimi i dettagli ma gli Stati Uniti sono in massimo stato d’allerta nell’ipotesi di un attentato contro luoghi o cittadini americani negli Usa o in giro per il mondo. L’annuncio da parte di Barack Obama è stato rimandato varie volte per mettere a punto ogni parola di questo messaggio che è stato definito “di portata storica”. Prima di annunciare alla nazione e al mondo interno la morte di bin Ladin il presidente Usa si è consultato  con la leadership del Congresso e con vari leader mondiali, compreso il presidente pakistano.

Messaggio di Barack Obama:

“Queata sera sono in grado di annunciare agli americani e al mondo intero che gli Stati Uniti hanno condotto un’operazione che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden, il leader di al Qaeda”, ha detto il presidente Usa ricordando la strage dell’11 settembre 2001 e ricordando l’impegno di allora di fare giustizia per l’attacco terroristico. “In questi dieci anni abbiamo fatto molto per intralciare le attività terroristiche di al Qaeda. Poco dopo avere nominato Leon Panetta a capo della Cia gli ho impartito ordine di dare massima priorità alla cattura di Osama bin Laden”.

“Justice has been done”, ha concluso Barack Obama mentre centinaia di persone si erano radunate esultanti davanti ai canelli della Casa Bianca. “Giustizia è stata fatta”.

George W. Bush ha ricevuto una telefonata da Barack Obama che lo ha informato personalmente dell’uccisione di bin Laden.

2 Comments

  1. Apolide Sedentario scrive:

    il capo dell’Estasia è stato ucciso, il capo dell’Oceania ci attacca, la produzione di patate quest’anno è migliorata del 10,7 %, la libertà è schiavitù, 1+1 fa quel che lui dice che fa


    (c) Apolide Sedentario, sepolto in mare 2011

  2. Corriere DellaPera scrive:

    LACRIMOGENI CONTRO VERNICE LA DISFATTA IN DUE ORE DEI RIBELLI – DI NOTTE ARRIVANO I «MATTI» CON LE MAZZE. DISPERSI AL PRIMO ASSALTO…
    Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”

    L’uomo che fugge aggrappandosi alle reti antifrane indossa una maglietta nera con l’immagine di Kabir Bedi quando era Sandokan. «Hanno sfondato, hanno preso il campo». Lo guarda dall’alto, come fosse una Mompracem perduta. Poi ricomincia l’arrampicata, perché la nuvola di gas lacrimogeni sta salendo sul costone di roccia che incombe sul presidio.

    La libera repubblica della Maddalena finisce alle 9.30 del mattino tra i rovi e i massi della montagna Ramat, unica possibile via di fuga dai blindati di polizia e carabinieri che circondano la piazzola dell’eco-museo di Chiomonte, che per 36 giorni ha definito i confini di questa autoproclamata utopia.

    Non è un esercito in rotta, quello che si ritira sui dirupi di questo spuntone inospitale. Si tratta piuttosto di un gruppo eterogeneo proveniente dal Nord più antagonista che la scorsa notte, dopo una fiaccolata che ha raccolto 5.000 abitanti della Valsusa, ha preso possesso del campo.

    Con l’avvicinarsi dell’alba, annunciata dal rumore di elicotteri e blindati, i «civili» , vecchi e bambini, sono tornati a casa. Marisa Meyer, la cuoca ufficiale del presidio, si è invece chiusa nella sua tenda, a preparare pentole di caffè. «Con azioni aggressive- dice- rimarremmo isolati, mandando in malora 22 anni di lotta non violenta. Non la voglio, questa guerra» .

    Alla fine non l’ha avuta, nonostante premesse tutt’altro che incoraggianti. Quel che si vede, per fortuna, è solo una rappresentazione del conflitto. Alle 4.30 via dell’Avanà, l’unica strada che porta dritta al presidio, sembra un presagio. L’ingresso viene sbarrato da quattro pesanti lastre d’acciaio, dietro alle quali vengono posizionati estintori e molotov pronte all’uso. Ogni quindici metri c’è un posto di blocco dall’aspetto minaccioso. Il secondo è formato da alcuni pali di legno puntati verso eventuali aggressori, sembra un carro medievale, che al suo interno nasconde anche spranghe di ferro pronte all’uso.

    A sovrintendere alle operazioni ci sono decine di incappucciati, gente che nessuno ha mai visto prima d’ora. Sono i «matti» , così li chiamano al campo base, convocati dai centri sociali torinesi come truppe di supporto, gente dell’area anarchica alla quale le sorti della Valsusa non interessano troppo. Radio Maddalena libera che scandisce questa ultima notte con musica e comunicazioni di servizio diffuse dall’altoparlante, è costretta a un appello. «Mandate gente del posto giù all’Avanà, che quelli stanno facendo come gli pare».

    Le ore passano lentamente, il piazzale è illuminato a giorno. Parte una sirena, tutti si guardano intorno preoccupati. Falso allarme, è solo l’antifurto dell’eco museo. La consapevolezza di quel che sta per accadere è tutta in un dettaglio. Non ci sono più viveri, neppure l’acqua. Come se tutto fosse già pronto per un ritorno a casa. Alle 6, sul ciglio di un tornante, appaiono i primi blindati. Manca poco. Il presidio è popolato da sconosciuti in nero che brandiscono mazze da baseball, c’è un’anarchia diffusa, nessuno che comanda. Con fragore, una pala scavatrice spunta dal tunnel della Torino-Bardonecchia.

    Il dente comincia a rimuovere i tronchi d’albero e la ferraglia che intasano il sentiero diretto all’area del cantiere. Volano secchiate di vernice, qualche sasso. Alcuni militanti si calano sul tetto della galleria per prendere meglio la mira. La macchina prosegue il suo lavoro, mentre sul prato si diffonde l’odore acre dei lacrimogeni. Giù all’Avanà è cominciato lo scontro. La folla urla, ma il campo è più vuoto di quel che si pensava. Sono rimasti solo gli irriducibili. Le forze dell’ordine risalgono la strada. Partono i primi razzi verso il parcheggio, l’aria diventa irrespirabile.

    La montagna diventa l’unico rifugio di una fuga affannosa e intossicata dal gas. «Abbiamo perso e ci siamo persi, siamo nei boschi» urla al telefonino un ragazzo milanese. I pochi indigeni rimasti fanno da sherpa sui sentieri scoscesi che portano alle frazioni vicine. I «matti» non hanno avuto l’occasione per sfogarsi, tornano ai loro indirizzi con facce che sono un impasto di rabbia e delusione. Il piazzale si riempie di blindati e divise. Un agente brandisce un paio di forbici e cerca di staccare dalle reti lo striscione bianco dei No Tav.

    Il superiore lo redarguisce. «Non dovete toccare niente» intima. Alberto Perino, leader di una protesta che non controlla, contratta la resa. Gli oggetti delle persone che hanno vissuto accampate qui sopra vanno messi in un unico posto. La tenda verde della cuoca Meyer diventa un magazzino.

    La libera repubblica della Maddalena ammaina bandiera. I feriti si contano solo tra poliziotti e carabinieri, gli antagonisti non hanno avuto il martirologio che invocavano. «Abbiamo perso una battaglia, non la guerra» dice Perino. A sera tardi nella piazza di Bussoleno si contano almeno 1.500 persone che partecipano all’assemblea. Sull’alta velocità, e sul movimento che la contesta ci sarà ancora molto da dire. Magari lasciando da parte le metafore guerresche.

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