the evil that man do

facce di bronzo.
incredibilmente gommose manco fossero bonbon fragola&panna;
sobriamente stretti da cravatte modello “pompino sul goldone”;
discretamente impettiti nelle loro camice ricamate;
sordidamente appoggiata allo schienale della sedia in pelle, nel vedo non vedo caratteristico&cordiale la giacca d’ordinanza;
penna con lo sponsor d’ogni dove, quello del “meno banco più antonio”. meno suore, più parcheggi;
pacioso l’odore acre e fastidioso di perenne dopobarba&chewing gum ostentato;
fastidiosi gli occhi vitrei, coperti da un pallido velo di sincerità “nonvedichelodicopertè?”;
smorfia che si maschera in ruga e non si scopre, neanche quando meno se lo aspetta, quando un pivello di vent’anni propone, parla, reagisce. e senza paura, lo fa;
i nervi tesi a percepire, e nello stesso istante la percezione si fa maschera, e si muta in esistenza;
esistenze racchiuse tra firme, codicilli, ed essenze fasulle di false realtà, racchiuse in codici che nessuno dei presenti ha mai detto di accettare. Assistenti sociali?
no.

Più semplicemente, quelli che Jello voleva travestire da spazzini durante la pausa.
Più semplicemente, l’odio materiale del proletariato, della classe urbana per eccellenza.
Più semplicemente, quelli che son sofisticati da chiamare i NAS / quelli che benpensano.
Più semplicemente, l’oggetto ammirato dai plasticosi anni ottanta degli omologati.
Più semplicemente, l’oggetto dello scherno del punk essenziale di Londra e Berlino.
Più semplicemente, il prodotto urbano delle scartoffie che affettano gli alberi.
Colletti Bianchi.

Non cambiano mai di una virgola, anzi, parafrasando altri detti, sono alquanto nudi. E i fogli non sono foglie di fico, tantomeno sono loro putti dal sesso indefinito, dunque nudi. Nudi e ridicoli.
Con tutte le loro regole per comunicare, fisicamente, corporalmente, col tono, con lo sguardo, con il gesto, con il porsi, col vestito.
Nudi. Regole in evidenza, come nervi su spalle scoperte, scapole lussate e ginocchia rotte. TVOR, teste vuote ossa rotte.
Regola materializzata nello stringere la mia mano perennemente viscida di sudore puzzolente, che lascia l’alone sul tavolo ogni volta che l’appoggio, e la sua, quella viscida di sudori freddi, inchiostri metabolizzati, celluloide sotto pelle, telecamere di controllo, sponsor e portafogli foderati.
Regola materializzata mentre ti foro la fronte con lo sguardo, pelle distesa in nessuna ruga e/o espressione, se non in quelle sottili scavate dal vento freddo caldo del termosifone e del clima del tardo ottobre, nessun lifting, non hai i soldi per pagarteli, colletto bianco, schiavo della carta e del potere che hai arrampicato onestamente.
Regola materializzata mentre ti buco le pupille con i miei spilli di violenza, mentre vedo la patina dell’insegnamento calare quando impettito tiri dritto il busto, braccio teso, novanta gradi agili tra il gomito, stretta vigorosa ma non dolorosa, leggero arcuare estremità di labbra secche, occhi lucidi e rotondi cordiali come nenche con la moglie che si scopa l’idraulico.
Regola materializzata mentre sputo i miei umori e conati in tua faccia che cambia suono e forma, diventa pulita, chiara, gialla e quasi splendente nel cupo grigio delle 17 di fine ottobre di torino, accompagnandomi alla porta, lasci che la apro, sai che sono così.
Regola, sei una regola e lo sai.
E a volte provi schifo. Mai quanto ne provo io.
Mai quanto ne provo io nel rischio di annullare questo odio e tramutarlo in regola.
Colletti bianchi, uguagli agli Ottanta, uguali ma nudi. Scoperti i nervi, pubbliche le tecniche di comunicazione, pubbliche le metodologie, pubblichi i pro e i contro.
Nudi.
E per questo ridicoli. Perchè non siete bronzi di riace, ma hominubus comunibus, con un cazzettino tra le gambe, i peli, e tutto il resto rende sgraziato e ridicolo.
(In altri contesti, forse, è quello il bello.)

Tutto questo, per dirlo, che Radio Blackout, ha una nuova sede.
E speriamo sia un nuovo potente e fragoroso inizio.

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