//Music Review #20//

20050519-isis_panopticon_cover.jpg|250|250|Isis – Panopticon //ISIS// //Panopticon// Release Date: 2004 Format: CD/LP Label: Ipecac Tracklist: 1 So Did We > 2 Backlit > 3 In Fiction > 4 Wills Dissolve > 5 Syndic Calls > 6 Altered Course > 7 Grinning Mouths > Line Up: BC Meyer>Electronics/Guitars/Vocals M Gallagher>Guitars A Harris>Drums J Caxide>Bass A Turner>Vocals/Guitar (*Prima infamata: io me li gusto stasera.*) E’intrinseco all’idea stessa di repressione, il panopticon; e viceversa naturalmente, il panopticon è motivo ricorrente dell’esperssione della repressione. Inizialmente ideato e progettato per carceri ad altissima densità, successivamente adattato a qualunque struttura necessitasse un controllo globale da parte di qualche entità, è una delle architetture più devastantemente perfette e malefiche mai progettate. Un mio amico ci vuole fare una tesi, L’architettura della repressione. Consentire il controllo di più di un migliaio di persone per mano di due o tre guardie non è da poco, neanche Adolf & i suoi amichetti c’avevano mai pensato. Progettato da Jeremy Bentham, doveva essere secondo il suo folle progetto, l’espressione massima del controllo e della disciplina, in una parola del potere. Potere di devastare le menti dei carcerati a tal punto da auto indurre in loro stessi la disciplina, l’ordine e la disciplina, consapevolizzandoli di essere osservati tutti in contemporanea, non si sarebbero mai permessi di uscire dalle righe. Meglio di qualunque teoria scolastica, meglio del latte+. Un tappeto corrosivo di chitarre sature a riempire le orecchie, talvolta docili, talvolta indomabili. A chiudere il buco tra le pennate ci pensa il synth. Una tensione strana invischia le bacchette sulla batteria, all’impatto con le pelli così come con i piatti, sembra come di essere avvolti in fluidio magmatico, caldo e minimale. Una colonna pesante di basso apre le danze, senza troppi capitelli e fronzoli barocchi, l’equivalente del cemento. 20050519-158M.jpg|470|307| 20050519-163M.jpg|470|307| 20050519-430M.jpg|470|307| Una tensione densa, intrigante, comprensibilmente addolorata e malinconicamente violenta lega tutte le atmosfere del disco. Esattamente come una paranoia materializzata, come una spia che ci segue nei mopmenti più intimi e nascosti, un viaggio interiore nella cupa vita di un cervello del duemila, nato sotto le nubi perenni dello smog, sotto il buco dell’ozono in espansione e in un mondo sempre più prossimo al punto di non ritorno. E non ci sarà il lieto fine con l’eroe che ci porta all’idillio da cui siamo usciti. Costantemente sul filo del rasoio, Panopticon pizzica le corde più tese dei nervi, le fa vibrare e suonare, con una omogeneità spaventosa, scappa da qualunque definizione di musica ‘pesa’, poichè scappa e basta. Come un grido a corde vocali mozze, rumoroso quanto il silenzio. Ancor più dilatato del precedente Oceanic, la vetta raggiunta da un gruppo a molti sconosciuto, è inquietantemente elevata. E’ equivalente allo stesso brivido che percorre nell’analizzare la perfezione del panopticon. Allo stesso brivido che percorre mente e cuore nel pensare alla arida secchezza di una infinita serie di sovrastrutture che hanno concettualmente ingabbiato la mente, ma che fisicamente sono ben più che esistenti. Sono presenti nella nostra stessa vita, magari un po’ meno nella nostra terronaggine italica mediterranea, sicuramente più evidenti nella modularità dell’alveare giapponese dei quartieri popolari.. Sonorità sature che viaggiano con estrema tensione e dilatazione per oltre sei minuti, volano su un’infinità di sentimenti personali ed introspettivi dell’headliner, nonchè grafico stesso, Aaron Turner, per poi dissolversi in lontane eco delle stesse paranoie con dolcezza e distacco. I riferimenti si sprecano. Sono diventati un riferimento loro stessi, e pensare che le prime scorregge non se le è cagate nessuno. Sicuramente più puliti e precisi delle prime demo – che sono qualcosa di estremamente pesante e lento, d e v a s t a n t e – con questo disco siamo ad un’altro livello. Ma chi si era accorto degli Slint quindici anni fa? L’unica vera pecca del disco è il rischio che ha sull’ascolto. O l’assuefazione, o l’estrema paura. Perchè oltre che un concept album, è l’espressione di un demone interno, del lato oscuro, del tumore, è un Potere. e certe volte piglia male. devastante. bellissimo. E come l’acido di un trip che sale sale sale non chiedermi cos’è-cos’ho.

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