PD: I PROMESSI DIVORZIATI, una storia che sa d’affare (con RENZI TRAMAglino)

CAPITOLO II

Uscito, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la sede fiorentina dei suoi fedelissimi appena tornati dai gazebo, in mezzo alla stizza d’aver sì vinto una Segreteria ma il sentor di non avere il controllo del Partito, Renzi tornava con la mente su quel quel farsi quasi nuovo della concertazione con Dalemiani e Lettiani, Berluscloniani e Vendolisti per cavar ragni dal buco governativo, e sopra tutto quell’accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzi che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che D’Alema aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlare fuor d’emendamenti; ma, alzando gli occhi, vide la Melandri che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un baretto romano cercando di ricordare che era finita l’era del farsi rimborsare le brioches con gli scontrini per i parlamentari. Le diede una voce, mentre essa apriva l’uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.


– Buon giorno, Giovanna: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme.
– Ma! quel che l’elettore vuole, il mio povero Renzi.
– Fatemi un piacere: quel satanasso baffettato di Massimo m’ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemi voi meglio.
– Oh! vi par egli ch’io sappia i segreti del mio padrone, pardon del mio stimato dirigente? Il qual per altro ti ricordo, Renzi, che mise naso e baffetti nei segreti dei più deviati Servizi?

“L’ho detto io, che c’era mistero sotto”, pensò Renzi; e, per tirarlo in luce, continuò: – via, Giovanna siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.
– Mala cosa nascer Sindaco, il mio caro Renzi. Anziché quadro del partito giovanile quando ancor baffuto era ben altri… E c’era Stalingrado, e non Pontida, ad eccitare il Popolo… Ma che dico “popolo”, figliuolo mio, volevo dire il “target elettorale di estrazione più umile”…
– È vero, – riprese questo, sempre più confermandosi ne’ suoi sospetti; e, cercando d’accostarsi più alla questione, – è vero, – soggiunse, – ma tocca ai Democratici trattar male co’ poveri?
– Sentite, Renzi; io non posso dir niente, perché… non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che D’alema non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.
– Chi è dunque che ci ha colpa? – domandò Renzi, con un cert’atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l’orecchio all’erta.
– Quando vi dico che non so niente… In difesa dei Democratici, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. C’è bene a questo mondo de’ birboni, de’ prepotenti, de’ grembiluini o de’ bungabunghisti, degli uomini senza timor di Magistrati…

“Prepotenti! birboni! – pensò Renzo: – questi non sono Marini o la Concia”. – Via, – disse poi, nascondendo a stento l’agitazione crescente, – via, ditemi chi è.

– Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché… non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt’e due -. Così dicendo, entrò in fretta nel baretto, e chiuse l’uscio al giovin contendente, a una troupe de Le Iene, e ad un inviato di Striscia.
Renzi, rispostole con un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell’orecchio della buona donna, allungò il passo; in un momento fu all’uscio di D’Alema; entrò, andò diviato al salotto dove l’aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.
– Eh! eh! che novità è questa? – disse il dirigente sotto i baffetti nervosi.
– Chi è quel prepotente, – disse Renzi, con la voce d’un uomo ch’è risoluto d’ottenere una risposta precisa, – chi è quel prepotente che non vuol ch’io pesi sulle scelte strutturali della riforma del lavoro e del Partito stesso?
– Renzi! Renzi! per carità, badate a quel che fate; pensate allo stipendio, alle cariche che possiamo inventarci, ai sottosegretariati che possiamo togliere ai Cuperliani e dare ai tuoi, governando.
– Penso che lo voglio saper subito, sul momento -. E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul telefonino, quasi a voler minacciare di chiamare qualche banchiere, per essere intercettato.
– Misericordia! – esclamò con voce fioca D’Alema.
– Lo voglio sapere.

– Mi promettete, mi giurate, – disse – di non parlarne con nessuno, di non dir mai…?
– Ti prometto che fo uno sproposito, io racconto di tutte le cenette segrete con Ghedini a raccontar barzellette sopra i giudici che pare sian dotati della virtù meno apparente, se non mi dice subito subito il nome di colui.
A quel nuovo scongiuro, D’Alema, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti o un conto off-shore appena sputtanato, proferì: – Dell…
– Dell? – ripeté Renzi, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l’orecchio chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all’indietro.
– Dell’Utri! – pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle poche sillabe.


(continua…)


(c) Apolide Sedentario & Manzone Ramingo 2013
DOWN DOW FOREVER
chi non legge FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE è sciemo

One Comment

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