LA TESTA A MEZZ’ASTA

Apolide Sedentario al “Su La Testa Festival 2010” intraviste esclusive con VITTORIO DE SCALZI (NEW TROLLS), SILVIA DAINESE, STAVOLTA MIA MOGLIE MI MANDA A FUNK…

0. INTRO
 
Albenga chi non ci ha da fare non ci venga? Ma se non si fa un cazzo mai, un cazzo mai, ad Albenga. Solo si accumula soldi, alla negriera. O li si spende in liti su rotonde. Un eterno ritorno maffissimo. Albenga, 2 dicembre, un anno dopo Paola Turci, ritorno appunto al Su La Testa Festival alla sua 5a edizione (l’unica cosa che accade o c’è da fare, in sto merda di mare senza un pesce che riesca a nuotare – scoppiraight Alloisio -, e tantomeno i bambini che affogarono tornando dalla Gallinara nei ’50, e a cui i soliti idioti – scoppiraight Monicelli – mesi fa hanno distrutto la lapide a memoria). A memoria io so di quei bambini, e quella lapide che – ero gagnetto – faceva fondale ai gioint tra pischelletti (quei che la Turci ha finito l’anno scorso prima del live al festival di Albenga, vedi intravista in archivio). Ed a memoria so “Concerto Grosso” dei New Trolls, e c’è De Scalzi, quest’anno a “Su La testa”. E poi c’è Silvia Dainese, che è carina, e fa le canzoncine sue intimiste, però ci mette un goccio di Ustmamò, anche se lei, che è un po’ alice, non lo sa. E poi c’è Giallombardo, il chitarrista più storico qui in zona, uno di gusto buono, e che conosco da quando ero gagnetto.
E mi porto un biglietto non “da” ma “che sconsiglia la” visita, su cui sta scritto così:

LA TESTA A MEZZ’ASTA
Il punto è che una vera testa non ha capo (né coda). Ed è la testa d’Artista. Opera della Natura i cui soli frutti sono conservati, restaurati, con cura. La testa che li ha partoriti invece no. E nonostante ch’essa sia malata della più atroce delle patologie: l’essere in sintonia col sottofondo simbolico del caos, esserne traduttori con semantica, ma coercitivamente, come colica che solo espellendo il calcolo (ossia il verso) smette di dare puntura. E il mal di cuore, poi, lasciamo stare: altro che i canti d’amore e che sei bella e che senza te non so stare (casomai senza te non sostare, ovvero godere ancora e ancora e ancora, non fosse che appunto il male è consapevole, dunque incapace a potersi accontentare, da cui la fame vorace e la mancanza – in questo spaziotempo d’ignoranza denominato cultura occidentale – mica di soldi o bonza, ma di comunicazione con sostanza). Ma non è mai questo il luogo per parlarne, le selezioni han già fatto la scaletta che non conduce a alcunché, mancando in alto qualcosa che sia “alto” da  trovare, schiacciati in un costipato consumare per scacciare la crisi. E Monicelli ha preferito crepare.


1. SOLITE TESTE FESTIVAL
 
Raggiungo il Teatro Ambra e già so bene chi troverò ad allestire il palco, e infatti c’è il vecchio MazziPunk, e il Gianna, e il Geddo organizzatore, e gira gira il giro è sempre quello, qui che ci son tre torri, quattro gatti, una leghista, e 8.000 tunisini tra lo sfigato e l’incainatissimo, e 30.000 ingauni che san solo pensare a in quale locale andare a spendersi la rendita di giornata con il Suv.
A Davide Geddo, diremmo l’artdairector dell’Associazione Zoo che è promotrice, devo una copia del disco(lo) panchissimo “maRino Gaetano”, come baratto con l’autoprodotto (però stiloso assaie) disco cantautorale che mi diede, intitolato “Fuori dal comune”.
Al Gianna dovrei invece dei pattoni, perché sul disco giurò che avrebbe messo le sue composizioni, lui che è pianista e pur’anche stick-ista, però stick-azzi tituba e non schioda il culo suo autoriale, se non chiuso nell’antro suo autistico. E quando gli dico: “Gianna, tu saresti uno grandissimo, e invece non fai un cazzo, l’unica cosa che hai fatto è esserti fatto crescer le basette” c’è Giallombardo dal palco che sghignazza: “Nemmeno quello ha fatto, gli son cresciute spontaneamente, per natura, se no non si faceva neanche quelle”. E il Gianna in tutta risposta dà conferma, dice che se la merita, ed aggiunge: “Il kharma ha la sua legge, datte una karmàta…”, e come fai a picchiarlo, che si picchia da solo? Però suonare suona, ahi se suona. Il punto è riuscire a ascoltarlo, quando e come. Gianna, ma come cazzo stai? Dillo a turistipercasopuntoorg, Gianna, dai.
Al Mazzi invece ho da mettermi d’accordo per il Festival Tex (dedicheitid tu Giovanni), in cui la “maRino Gaetano Band” ha da proporre due rock’n’rolls di quelli che a Giovanni gli facevano urlare “ROOOUUUAAAACCCCCHENROOOOOOOLLL!”. E lui mentre tira cavi e prova suoni e si lamenta che fa una vita grama (la stessa da 20 anni, come un po’ tutti, qua) mi dice che col nuovo anno si farà.
E poi ci sono i ragazzi dello Zoo (di Belino? no dell’associazione virtuosa che si sbatte per organizzare ‘sto festival) che mi ricordano da un anno fa, e che mi dicono “intervista me questa volta”, e io gli dico: “L’unica domanda che posso farti è se c’è qualcheccosa che abbia senso”, e lui laconico come la mia intro: “Il senso è che senza di noi non ci sarebbe neanche questo, e che la musica d’autore o la portiamo noi o nessuno”.
Su la testa alla meno peggio?
 

2. ROSSANO GIALLOMBARDO & STAVOLTA MIA MOGLIE MI MANDA A FUNK…
 
Mio padre insegnava umanesimo ai periti. Le cause perse le ho nella genetica.
Erano anni arcaici, e non stava scritto da nessuna parte che chi non sa scrivere ma è di razza bianca si debba iscrivere all’università. Agli studenti figli del contado che subivan lo studio come piaga, mio padre era solito dire: “Non è che al mondo la dignità la abbia solo chi è un matematico o uno storico, ci sono ottimi meccanici che valgono umanamente assai più degli eruditi, se compiono il loro lavoro con metodica capacità e passione”.
Giallombardo Rossano a 15 anni era già un guitar hero della zona, tutto preso dall’arte musicale che distraeva il pischello dallo studio prima dei compiti in classe. La classe Rossano la aveva nel suonare. Mio padre lo disse chiaro ai genitori: “Avete un figlio artista, e pure bravo, non costringetelo a stare sui miei libri, perché lui deve suonare, è il suo talento, e lo farà fruttare, se lasciate che vi si applichi a pieno, senza menarsela nel raccapezzare un sei stringato all’interrogazione”.
Quando poi 15 anni li ebbi io, Giallombardo suonava da un decennio su palchi anche internazionali: con la sua band (gli Areflexia) andava in tour in Scandinavia e riceveva inviti a Discoring. Scioltisi per motivi coniugali, gli Areflexia fecero reunion per far da spalla a un antico Beppe Grillo che si esibiva in zona. E non avendo spazi in cui provare, Rossano si ritrovò nel magazzino di casa mia col gruppo. Avevo 15 anni, e dopo cena scendevo in magazzino dove avevo in esclusiva per me una band storica in “Stella di mare” del Dalla primordiale, con assoletti sublimi di chitarra e scale in trentaduesimi suonate come se fossero semplici cazzate. E’ a loro, a Rossano, a Bobo, a Fabio, a Carmine (si chiamava così?), che devo l’aver imparato come cresce un brano musicale nelle prove tra musicisti puri, tutto core e zero arrivismo attuale: scherzando, ridendo, sfottendosi, ma – appena il “uanciutrifòr” dà l’attacco – partendo e ripartendo sull’inciso finché non viene preciso, e anche di gusto.
Suonando ormai da decenni con i “Belli fulminati nel bosco” (band di rock demenziale di riviera, nota per “Guido solo quando bevo” scritta in età non sospetta, molto prima degli accanimenti del business di patenti ed etilometri varii), Rossano Giallombardo è adesso il leader degli “Stavolta mia moglie mi manda a funk…”, dieci (!) elementi con fiati dirompenti che hanno fatto un disco (ed ora un tour) per raccogliere fondi da devolvere “all’assistenza del malato oncologico”. Dico soltanto che è proprio un porco mondo (senza offesa per il porco e per il dio) quello in cui per assistere i malati non ci sian fondi sociali (alias statali, finché esiste lo stato, essendo che io e Rino Gaetano siamo soli sul 109 per la Rivoluzione), e in cui si comprino dischi (mica, dico, le piante officinali) per finanziare le cure a chi ci lassa. Però il buon cuore che hanno gli “Stavolta” è un buon cuore sincero, e Giallombardo mi ascolta encomiare la sua carriera d’artista, ma anziché abusar dell’intravista per farsi figo alle orecchie dei lettori ci tiene solo a parlare e riparlare del progetto del disco (e me lo vorrebbe pure regalare, ma io gli dico “se è fatto per raccogliere fondi tienlo tu, dallo a chi vuol comprare finanziando quello a cui tieni”, finché ci accordiamo – senza accordatore – circa un baratto da farsi prima o poi, il mio disco col suo, così i malati oncologici, poracci, mi potranno ascoltare, e pro gli faccia).
Ecco quanto mi dice lui del disco: “E’ totalmente finanziato da noi, e diamo tutto il ricavato, niente escluso, ai malati oncologici. Quello che mi dà soddisfazione è che stà andando benissimo, ne sono andate 3000 copie nei primi 3-4 giorni dall’uscita, e ok che son conosciuto nella zona, ma sono cifre che non mi potevo aspettare. Abbiamo fatto una corsa incredibile nell’incidere per riuscire a arrivare a questa sera con la presentazione e il disco pronto. Ma ce l’abbiamo fatta, e i risultati sono davvero già ottimi. Speriamo di far sempre meglio, i fondi servono.”
Entusiasmo civile genuino da parte di un gruppo di amabili guaglioni tra il picaresco e gli Skiantos. Tanto che poi, fumando nel cortile, mi trovo a interloquir col tastierista con la risata sua stampata in faccia da impunito guascone, e io gli parlo di Autori, e lui mi dice “infatti noi stasera a questo festival non c’entriamo un granché”, un po’ come a dire che non son serii abbastanza, ma io gli ricordo Jannacci e tutti quelli che nelle canzoni d’autore dicon chiaro, pure con le parolacce, quel che gli viene da dire, e pur gli cito alcuni versi miei, e si consola (nel senso si fa una risata in più, ulteriore) mentre getta la siga e va al suo saundcièc.
 

3. SILVIA DAINESE
 
Silvia Dainese l’ho vista sulle foto del suo maispeis, dove ho ascoltato i brani per sapere chi fosse, e la facevo una tipa supponente (avendo aperto i concerti a Carmen Consoli, Ani di Franco, Cristina Donà, Benvegnù, ed essendo pure stata del primo maggio a san giovanni, nonché del Goa Boa, un bel filotto di robbba a me repellente, forse escludendo di Franco, francamente), ma anche mi aveva colpito un tormentone dentro una sua canzone: “Conserva almeno qualcosa per dopo, conserva almeno qualcosa per dopo, conserva almeno qualcosa per dopo, conserva almeno qualcosa per dopo”.
Così la riconosco, defilata nella sala movimentata dal montaggio del palco. Stasera suonerà accompagnata dal bravo Giangi Sainato, viso e chitarra a me noti dai bei tempi delle performances collettive di Alloisio e Settimo Benedetto Sardo. Musicalmente questo è il loro esordio, in cui Giangi colora le canzoni (e le intromissioni di samba che lei, Silvia, infila a sorpresa in ben altri andamenti) con l’esperienza di uno che ha suonato sia brani suoi che altrui nei più pregiati teatri della Superba.
La approccio e mi fa un sorriso delizioso. Metto le mani avanti (metaforicamente) e mi introduco (metaforicamente) come uno “cattivo e velenoso”, come a dirle “sorridimi, ma dopo che hai ascoltato bene la domanda, perché non vorrei mai che ti offendesse quel che per stile mio dell’intravista è sempre un attacco diretto”.
Lei fa i musetti carini e, piccolina, s’atteggia come a dire “io son buona, e tu non mi sembri cattivo, ma vai pure con la domanda cattiva, ti rispondo”. Le dico “sei genovese, e io ho lunghi trascorsi con le genovesi, e credimi mi spiace se mi faccio fregare dal musetto, dunque resisterò facendo il duro [metaforicamente], anche se vedi mi scappa da sorriderti, perché sei contagiosa, ma le trappole di voi genovesi le conosco bene”. Lei dice “guarda, son una che, credimi, di indole sta soprattutto per i fatti suoi, non so di chi parli, non frequento molto le genovesi che dici”, e mentre parla si vede che è dimessa (in senso buono), che è una tipina sveglia ma tranquilla, non sembra proprio una che apre concerti dei vips. Però mi ricordo che, appunto ho appena detto, non sono i musetti carini genovesi che mi posson fregare, li conosco. E mi concentro all’idea stia recitando, e sia una delle tante che vuol farsi una vita alla Grandi. Perciò le dico al brucio “non soltanto tu sei genovese e quindi non mi freghi, ma hai anche un altro peccato capitale: hai Carmen Consoli sulla coscienza”. Silvia si fa più piccolina ancora, mi guarda con simpatia che è travolgente, e esplode in una risata compiaciuta, a cui rispondo ridendo, e poi dicendole “cazzo, tu mi contagi, rido anch’io, e ti ricordo che invece son cattivo”. Lei dice “Carmen sì, la conosco, ci conosciamo, ho aperto dei suoi concerti, non so che dire, ci conosciamo”. La sua palese chiarezza è disarmante. Ci sorridiamo dunque ulteriormente. E vado con la domanda vera e propria, solito mio cut-up dei testi suoi.
 
Apolide Sedentario:
“Ciao Silvia, anche io scrivo nudo, ma scrivo anche crudo, e andando al sodo non sono un sognatore, caos mai un utopista. E ti definirei una Mara Redeghieri dei poveri ricchi di Sant’Ilario, ma aggiungendo che sei anche Hussein. E l’anno scorso con Paola Turci qui dicemmo che non aveva dietro scitto perché non fumava più, quindi a parte che se ti consola l’ammmore dovresti ascoltare il mio “Le sole” che “si consolano ai canti d’ammmore e alle ballads degli omosessuali” e della Consoli, ma l’alcool – Silvia – è borghese, e invece anarchico è il tiaccacì, per cui non far come Paola, conserva almeno qualcosa per dopo, ok?”
 
Silvia Dainese:
“…Grande!…”
 
E ride.
 
Silvia Dainese:
“…Bellissima!…
 
E ride.
 
Apolide Sedentario:
“Mi fa piacere che ci capiamo, ma tu non puoi far così, fai ridere anche me, e io sono cattivo.”
 
E rido.
 
Silvia Dainese:
“Tu non sei cattivo, tu sei un pazzo. Un romantico pazzo.”
 
Apolide Sedentario:
“Ma dai, grazie. Questa la scrivo per fare il figo.”
 
E ride.
 
Apolide Sedentario:
“Comunque dai, occhèi che si è simpatici, ma come avrai capito la domanda è retorica, serve soltanto a vedere la reazione, però nel contenuto del quesito vengono sviluppate più tematiche, la risata ce la siamo fatta, e adesso puoi dirmi qualcosa che ti viene sui punti che ho toccato, per esempio ho visto che hai scritto una canzone su Sant’Ilario e mi chiedevo se ci abiti, cioè se sei una altoborghese come Grillo che poi pontifica sulle vite povere…”
 
Silvia Dainese:
“No, non sono di Sant’Ilario…”
 
E se la ridacchia ancora.
 
Apolide Sedentario:
“Comunque se la eri ho visto anche nel sito che tu ti chiami Hussein, il che vorrebbe dire che pur altoborghese sei anche araba forse?”
 
Silvia Dainese:
“Hussein?… Ah no, è che io cambio spesso nomi, come Prince… E ho usato anche quello, come anche Silvia Dainese Verde, o Green, per il nome di mia madre…”
 
Apolide Sedentario:
“Ah ecco, è che potresti essere araba, esteticamente intendo, ci potrebbe anche stare…”
 
Silvia Dainese:
“Dici?…”
 
E se la ride. E me la rido.
 
Apolide Sedentario:
“Mi stai facendo fare l’intravista più frivola della mia storia, sono proprio uno stronzo, casco ancora in tutte le smorfiette di chi sa fare i musetti, ma adesso andiamo al cattivo veramente, così riprendo un po’ il personaggio.”
 
E se la ride.
 
Apolide sedentario:
“Ti ho definito una Mara Redeghieri dei poveri ricchi di Sant’Ilario. Nell’attacco quantomeno era presente un bell’accostamento, non pensi?”
 
Silvia Dainese:
“Certo, Mara e gli Ustmamò mi piacciono molto. E mi avevano già detto che le assomiglio. Ma li ho conosciuti solo molto dopo avere iniziato a comporre. Mi piacciono anche gli Scisma.”
 
Apolide Sedentario:
“Facciamo che va bene che ci troviamo d’accordo su Mara Redeghieri.”
 
Silvia Dainese:
“Non ti piacciono nemmeno gli Scisma?”
 
Apolide Sedentario:
“Guarda, a me non piace niente, facciamo prima a metterla così. Poi ci sono le eccezioni, tra cui in effetti Mara. Ed in effetti te lo devo dire anche le tue canzoni intimist-femminili non m’entusiasmano, non fosse che appunto nei brani prima o poi vai a evolvere in certe ambientazioni alla Ustmamò che invece sono proprio interessanti, perché se no a me l’intimismo e tutti gli emo mi stanno proprio sul cazzo, a partire dai Negramaro coi loro testi vuoti, al punto che uso “verde coniglio dalle mille facce buffe” come insulto tipo faccia di merda ma per esser più creativo.”

Silvia Dainese:
“Però vedi, se non lo scrivevano tu non potevi usarlo come insulto.”

Apolide Sedentario:
“Sì, hai capito l’utilità… Però certamente tu, a parte le critiche, a testi e composizione vali molto più di tutte quante le cantanti mediatiche che siamo costretti a subire, anzi ti dico subito che tutte queste smorfioserie che stiamo facendo me le rimangio e ti vengo a punire se ti vedo tentare le carriere tv o l’arrivismo, perché ne abbiamo abbastanza di ‘ste tipe modello come si chiama… Nilla… Non Nilla Pizzi… Quella nuova che dice di essere alternativa e scopiazza gli anni ’40 con quei testi dove dice che è triste e infatti io confermo che è triste proprio lei in se stessa…”

Silvia Dainese:
“Guarda, non so di chi parli…”

Apolide Sedentario:
“Dai che la mettono tute le radio alla nausea… Nilla come si chiama?…”

Silvia Dainese:
“Ah, ho capito, dici Nilla Zilli, o qualcosa di simile…”

Apolide Sedentario:
“Ecco, sì, quella lì… Comunque di te cercando informazioni sul sito mi è piaciuta un’altra cosa anche, ovvero il fatto che hai scritto “tipo di etichetta: senza contratto”, e ora però vorrei che mi chiarissi se intendi che stai cercandolo, un contratto, o se vai fiera d’esserne al di fuori.”

Silvia Dainese:
“No, non cerco contratti. Sto cercando di aprire una mia etichetta, la LoveRecords, insieme a un John…”

Apolide Sedentario:
“Ah, brava, ti autoproduci con ‘sto John…”

Silvia Dainese:
“Fai tanto lo sveglio, però non hai colto…”

Apolide Sedentario:
“No, credimi, tu mi distrai… Cosa sarebbe che non ho colto?”

Silvia Dainese:
“Parlavo di un John che spero di incontrare un giorno…”

Apolide Sedentario:
“Ah, non John, ma un John… Capito adesso… Ok, sì, sono stordito…”
E la guardo.
E mi sorride.
E le sorrido.
Ma appunto le mie intraviste sono sordide, e invece qui si sorride, e si fa i frivoli. Dunque m’impongo il ruolo, e vado avanti.
(Per quanto si rimanga sorridenti)

Apolide Sedentario:
“Ma dimmi invece cosa ne pensi del finale della mia domanda, costruito su quel “conserva almeno qualcosa per dopo” che è quello che mi ha davvero colpito di te autrice, un vassoio porto per continuare il serial sul tiaccacì iniziato proprio qui l’anno scorso con Paola Turci, allora dicevamo conserverai qualcosa per dopo o mi devo arrangiare come tocca fare con Paola?”

Silvia Dainese:
“Direi che quella frase, conserva almeno qualcosa per dopo, dice già tutto da sola, no?”
Ridiamo.
Ma chiccazzo si conosce, ma chiccazzo si è mai visto, però d’istinto ce la stiamo ridendo da venti minuti buoni. Che nemmeno m’accorgo che sul palco intanto è arrivato De Scalzi, accompagnato peraltro dal mio vecchio amico Eddy Romano.
Se d’istinto mi perdo a ridacchiarmela amabilmente con una, la mia esperienza direbbe che è genuina, come persona. Eppure, davvero, è strano che una “pura” abbia suonato ai tour di Carmen Consoli.
Perciò le chiedo ancora di ‘sto fatto d’essere una che gira ai piani alti pur apparendo come piccolina.
E lei, disarmandomi ancora nelle remore, mi risponde carina.

Silvia Dainese:
“Sai, io cerco solo di stare serena. Credimi, mi pesa salire sui palchi. Con la Consoli è accaduto, le piaceva cosa scrivo…”

Apolide Sedentario:
“Che devo dirti, sembri anche sincera… Però, Silvia, scusami, io non me la bevo che a Carmen Consoli piaccia cosa scrivi: a lei piace se stessa, e poi al massimo la sua amichetta Asia Argento.”

Silvia Dainese:
“Ah sì, sono amiche penso… Ma tu lo dici nel senso…?”

Apolide Sedentario:
“Ebbéh… Bella accoppiata no?…”
Ce la ridiamo.
Ci promettiamo che “ci rivediamo”. E è stato un piacere davvero e pure mio.
E conserviamo questo, per ora.


4. VITTORIO DE SCALZI (NEW TROLLS) – ghestàr EDDY ROMANO

De Scalzi è sul palco con Eddy Romano a fare i suoni, mentre giù in sala noi ci divertiamo frivoli con la Dainese.
Vittorio De Scalzi è i New Trolls, una band storica a cui lui è aggrappato arcignamente, come a una sua creatura. E ciò va rispettato, poiché appunto tra tanta spazzatura va pur detto che i New Trolls hanno badato molto a una ricerca armonica costante (altro che i “gruppi vocali” made in Morgan o peggio Enrico Ruggeri) che è stata – parimenti ai soli Pooh, per quanto si possa dirne e anche scracchiarne – una miscela di voci che ha distinto un genere che è stato il perno dei Settanta, da altri blandamente scopiazzato. Se a questo aggiungiamo i due “Concerto Grosso” con l’orchestra sinfonica di Bacalov, abbiamo De Scalzi a leader anche del genere detto “Prog-Rock Sinfonico”, nel quale a parte appunto i New Trolls va ricordato soltanto il Bach riveduto ed hendrixato de Il Rovescio Della Medaglia. Il resto è solo noiosa emulazione.
Dopo i mille divorzi tra New Trolls e le relative dispute legali per l’utilizzo del marchio, Vittorio De Scalzi in pieni anni ’90 tenta di rinverdire l’onda lunga dei successi evergreen, portando live l’antico repertorio, e – necessitando di musici capaci in grado di sostituire gli ex-amici – scrittura Eddy Romano, il miglior fiato assoluto di Liguria.
Eddy e i suoi fratelli (altro che Rocco?) erano, nella Ge No Va dell’epoca, quasi un’istituzione: musico lui, scacchista l’altro, e il terzo invece restauratore capellone. Eddy vuoi per trascorsi da marpione e vuoi per indole umana freakettona per quanto dissimulata, si trovò a frequentar la malparata cumpa di Apolide giovane ventenne, fatta di Elfe toscane e smandruppate utopiste ormai estinte. L’estate del ’92 fu preannunciata dalla più grande manifestazione di quel decennio anfame, contro le Colombiane. Apolide Sedentario era all’epoca il promettente maschietto dominante del branco dei ribelli genovesi, e dalla sua stanza oqqupata stava a perno di quanto accadeva attorno, gente e moti. Dalla sua acerba mente di creativo era spuntato un personaggio magico, sciamano di un popolo arcaico americano precolombiano e dedito al suo Fungo, per tramite del quale aveva avuto l’idea di attraversare il vasto oceano per portare oltre il mare psichedeliche spore per consapevoli. Cristòporco Tachino era tradotto dagli annalisti dell’età moderna il nome originario del veggente, immaginario o meno, nel racconto distribuito in forma autoprodotta. Divenne così leggendario, lo sciamano, che ne sorse versione “a cantastorie”, e poi 20 anni dopo pure un concept ancora reperibile, con testi di Apolide e musiche di un gruppo che nel Prog-Rock locale resta il vertice unico e irraggiungibile: i Wounded Knee di “Ol3mare” (Ab Records, 2003). Ebbene: Eddy fu il primo a trasportare il Cristòporco Tachino “a cantastorie” nelle piazze d’Itaglia Centrale, lui al flauto, Silvia alle coreografie, Pier e Paolo alle musiche e alle voci, e testi appunto miei.
Ora fa i tour con De Scalzi, Eddy Romano, ma non immaginavo fosse qui, a Su La Testa, stasera. Ascolto il loro duo in saundcièc, con Vittorio alla classica e all’acustica, nonché ovviamente alla voce (“…dormono, dormono, sulla collina…”, “…sotto una coperta scura…”, e quanti sono, ma quanti, che in Liguria campano addosso a De André…), e Eddy al sax, al flauto, e cornamusa (o “cornabuggia”, dice Vittorio dal palco, ovvero “origano” nel dialetto di Zena).
Vedendomi salutare Eddy, Vittorio già nelle prove fa segno di aspettarlo se voglio intervistarlo, e che ci sta. “Io ho a casa il vinile origgginal del vostro Concerto Grosso”, ammetto pure (e qui ringrazio colei che lo trovò sopra una bancarella bolognese e me lo regalò, e disco manent, e chi regala volant…).
Apolide Sedentario:
“Premetto che sono cattivo”

Vittorio De Scalzi:
“Anch’io sono cattivo: sono Curls il Riccio della striscia B.C. di Johnny Hart, hai presente?”

Apolide Sedentario
:
“Minchia, Vittorio, B.C.: cosa mi vai a ricordare… Bella mossa, mi permetti di citare quelle strisce nella nostra intravista…”

Vittorio De Scalzi
:
“Tanto per ricordare il tono di quel personaggio, visto che dici che sei sarcastico e cattivo, mi viene in mente quando gli vien chiesto “dica qualcosa di sarcastico” e lui risponde “lieto di fare la vostra conoscenza”…”
Annoto qui che De Scalzi vince il premio (lui che si chiama Vittorio…) “Categoria Astiosi” tra le decine ormai di più-o-meno vips che ho intravistato, con questo saluto mediato sì da Curls, ma veramente incainato. Altro che Edo Bennato e il coccodrillo (vedi l’archivio). Vittorio: onore al merito. Incasso e proseguo alla grande.

Apolide Sedentario
:
“Mi mettevano a letto finita la cena, e a volte ancora adesso sento le voci, ma poi mi sono abituato a misurarmi con certo grosso calibro, e un po’ tutti voi New Trolls, a parte Usai, mi siete sempre sembrati a inseguire il potersi dire appunto un grosso calibro, anziché accontentarvi di non essere dovuti andare in miniera, e casomai andando invece alla Tv e a Sanremo, o – ancor meglio – di aver avuto l’onere e l’onore di registrare il “Concerto Grosso” di Bacalov, che anche per me sarcastico al vetriolo resta una pietra miliare. Anzi, mi viene da chiederti, visto che il giovane Eddy Romano suonava nelle piazze toscane mie adoloscenziali narrazioni da cantastorie, e che il batterista del mio disco è Maurizio De Palo (pensa un po’): detto da me che preferisco il nudo e crudo senza bollino Siae, il punto è  die, maybe to dream, to sleep, to slip, or to boxer?”

Vittorio De Scalzi
:
“Guarda, ho capito il tono, e l’unica cosa da dire in tutto questo è: ma Usai è mai stato dei New Trolls?”

Apolide Sedentario
:
“Sì la domanda è palesemente retorica e serve a innervosire l’intravistato e a farlo poi parlare senza schermi di tutti gli argomenti che ho trattato nello sviluppo… Quanto ad Usai, dimmelo tu se è stato o non è stato dei New Trolls, ti sto appunto facendo le domande, quindi rispondi tu che hai le risposte e lo sai…”

Vittorio De Scalzi
:
“Usai ci ha accompagnato in certi tour, ma sempre in modo marginale… Non è mai stato un New Trolls, come neanche Belleno… I New Trolls per me sono quelli che hanno partecipato delle composizioni dei brani, non i musicisti tournisti…”

Apolide Sedentario
:
“Su questo hai ragione… Tuttavia Usai io lo ricordo che quando ero gagnetto era con voi in tv, e allora vien da chiederti se lo usavate alla Rai perché ci aveva quella facciazza che faceva audience, alquanto scenografica…”

Vittorio De Scalzi
:
“Ah, quello di sicuro, che ha la faccia scenografica è sicuro… Però appunto non era dei New Trolls nel senso che ci accompagnava, ma non scriveva i brani…”

Apolide Sedentario
:
“Guarda Vittorio, io scrivo quel che dici, e qui si conferma tutta la battaglia pluriannuale che avete tra di voi, e che ormai quando penso a voi New Trolls penso più a questo – all’esistenza delle due formazioni in guerra tra loro sul nome, e “The Legend” da una parte e gli altri dall’altra – che alle canzoni… Fai tu… Però anche aggiungo che Usai è uno simpatico, è veramente un brav’uomo, e lo ricordo che venne anche a ascoltarmi durante una lettura di poesie, facendo quello qualunque, finché dal palco dissero: gente abbiamo qui con noi nientemeno che Usai!, e lui si scherniva sotto i due baffoni, e ci ascoltava amabile…”

Vittorio De Scalzi
:
“Sì ma su questo son d’accordo, Usai non è solo simpatico, è simpaticissimo. Dico solo che non è dei New Trolls, e che mi dà fastidio vadano in giro a cantare i nostri brani, e soprattutto imitino le voci di me e di Nico, in modo che sembri proprio che stan cantando i New Trolls.”

Apolide Sedentario
:
“Vabbeh, sono la vostra cover band e come tali emulano al meglio l’originale, ma direi che è un omaggio, mica un torto, e poi tu – a differenza mia, che vivo senza bollino – ci prendi i diritti d’autore, quindi che ti lamenti: è grazie a loro se campi…”

Vittorio De Scalzi
:
“Ecco, l’hai detto: sono una cover band. E’ questo che voglio fare capire, che sono una cover band.”
Incistatissimo, per non dire isterico, nella sua gelosia contro ad Usai. Ma nelle band, si sa, anche nella mia, vige la sindrome da vecchia suocera.

Vittorio De Scalzi
:
“Comunque ci tengo a dire che concordo con te quando sostieni che Usai è una buona persona, sottoscrivo che è anche molto simpatico.”

Apolide Sedentario
:
“E della Siae che mi dici?”

Vittorio De Scalzi
:
“Io sono socio Siae, ho lavorato 45 anni per la Siae, e di Siae vivo, e lei mi riconosce il mio talento.”

Apolide Sedentario
:
“…(?!)…”

Vittorio De Scalzi
:
“E’ così, la Siae mi riconosce il talento.”

Apolide Sedentario
:
“…Ma… Nel senso, cioè… Stai intendendo che la Siae ti mette in buona posizione nella graduatoria piramidale della distribuzione arbitraria e truffaldina degli introiti?…

Vittorio De Scalzi
:
“No, mi riconosce il talento.”

Apolide Sedentario
:
“…Si, ma …Allora intendi: io sono un autore le cui canzoni sono molto riprodotte, dunque per il tramite della Siae ricevo il riconoscimento monetario al mio talento?”

Vittorio De Scalzi
:
“Sì, io ci vivo di Siae.”

Apolide Sedentario
:
“Io guarda se vuoi cantar le mie canzoni ritengo che sia un omaggio, che d’altra parte anche tu fai con De André come Usai fa con te, e cosa cazzo mi devi, scusa, in quanto hai cantato un mio brano? Se io il brano l’ho scritto con lo scopo che venisse diffuso, se tu lo canti mi rendi già un favore. Se poi ci guadagni un milione di neurate potresti comprarmi uno scooter quantomeno, non che mi fotta qualcosa di uno scooter, ma per capirci col gesto. Invece per il resto, che è il campare, non pensi che, come accade a me, la gente in cambio di una cantata di De Scalzi non ti offra una cena?”

Vittorio De Scalzi
:
“Questo hai ragione: di certo se si è artisti basta l’esposizione delle opere per ottenere in baratto sussistenza. Ma il punto è la vecchiaia. Finché si è in salute e giovani come te è anche giusto pensarla e viverla così. Ma quando poi hai bisogno di assistenza, quella chi te la dà, se non la Siae o chi ti dà dei soldi per il fatto d’aver composto bei brani?”

Apolide Sedentario
:
“Guarda, se parli di vecchiaia mi vien da dirti che Monicelli è arrivato a 95 anni e quando ha visto che non si andava più si è ammazzato, lui ci è arrivato sano e sulle gambe a quell’età, ma fosse accaduto prima che sentiva mancargli la sana vitale libertà lo avrebbe fatto prima, l’ammazzarsi, e quando accade accade, e se si è artisti si è vissuto alla grande, finché è andata, e quando manca il terreno sotto i piedi il film è soltanto finito, evviva, addio…”

Vittorio De Scalzi
:
“Sì, certo… Solo che bisogna arrivarci lucidi e in grado di scavalcare il balcone a quel momento…”

Apolide Sedentario
:
“Allora tu non parli di vecchiaia, ma di infermità… Diciamo allora che bisogna essere sagaci, e comprendere prima che si è al limite, prima di perder le forze per attuare l’ultimo capolavoro… E poi comunque non è che si può vivere pensando all’infermità: finché si è in grado si fa l’arte più alta, e poi si vedrà… E d’altra parte proprio voi New Trolls avete Nico Di Palo che ha subito un incidente orribile, ma adesso con forza di volontà tira ancor dritto, come può, ma va avanti…”

Vittorio De Scalzi
:
“Nico è con noi… Questo è essere grandi veri amici… Che Nico è con noi è essere veri grandi amici…”

Apolide Sedentario
:
“E questo è mooolto bello…”

Vittorio De Scalzi
:
“Comunque, sai, non è solo una cosa di infermità… Il sostentare un artista andrebbe fatto in modo da comprendere che l’artista NON DEVE ANDARE A LAVORARE: molti confondono l’artista con quelli dell’orchestra del Carlo Felice, ma l’Artista non è il Musicista, l’Artista è uno che deve restare un mese A FARE UN CAZZO per aspettare un colpo di genio… E allora ecco che la Siae mi torna…”

Apolide Sedentario
:
“Togli la Siae, ma qui ti devo dire che mi hai davvero commosso… C’è addirittura scritto sul foglietto che t’ho lasciato, dentro il mio brano “Assistere gli artisti”, questo concetto di chi non sta poltrendo, ma sta aspettando l’Attimo: definizione di Artista… E a questo mondo ormai non c’è nessuno che lo comprenda più…”


5. CHIOSA
“L’artista non deve andare a lavorare e deve restare un mese a fare un cazzo”:
De Scalzi ed Usai a Pompei: altro che Bondi e i Pincfloid?
 


(c) Apolide Sedentario 2010
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