A CHE SERVONO I PADRONI? – Intervista esclusiva di Apolide Sedentario a ROSSANA CASALE

Petra Magoni era ancora una gagnetta, e pure io. Rossana era invece gia’ sulle tv, e ando’ a Sanremo, ma a presentare un brano per contrabbasso e voce (“A che servono gli dei?”). “Mi piace”, pensai, che gia’ lei la conoscevo per il precedente pop, ma contrabbasso e voce (sua, sottile) mettevano finalmente in quel dell’ariston qualcosa di aristocratico, affogato nel bieco circo mediatico. Ora ne e’ fuori (da quel circo mediatico) e pare viva in un circo immaginario. Da immaginifico, dunque, la raggiungo: intravista di Apolide Sedentario con Rossana Casale.

1.



Prosegue il Festival Jazz in cui ho intravisto gia’ Gege’ Telesforo.
Domani c’e’ Gino Paoli (e non ci vado, o con un paletto di frassino, ci vado, ma per vedere se il cuore resistente alle pallottole resiste pure a quello).
Oggi pero’ c’e’ un “omaggio a Billie Holiday” di Rossana Casale.
“Holiday” e’ un concetto a me alieno, io non-lavoratore dalla nascita.
Rossana, invece, appunto la conosco: mi comprai pure il suo “Incoerente Jazz”…
E poi pure lei avra’ fatto le stronzate che pur io gli ho imputate nel passato (e le dichiaro subito: la trasmisionaccia con Miguel Bose’, talent-e-qualent-scio’, ed il non memorabile duetto con l’a sua volta talent-e-qualent-scio’ di Grazia Di Michele), ma perlomeno non ha mai venduto d’essere una diversa da qual e’, e a me – qualora qualcuno in questi anni non lo avesse capito – piacciono quelli che sono come sono, e consapevoli di come sono (che a quel punto, sian essi come siano, almeno sai chi ci hai messo davanti, e – consapevolmente tu ponendoti – puoi saper come porti, e non dovere tenere stretto il sedere per le infamie ch’essi potrebbero fare).



Detto cio’: la Casale a me mi piace, mi piace il timbro di voce, mi piace l’aria gentile, mi piace il gusto in fraseggio musicale, fine ed eclettico senza mai cadere nel barocco che pur si potrebbe permettere; mi piace pure il fatto che da sempre dica che vive male certe proprie stagioni della mente, perche’ chi sta male – nel male di ‘sto mondo – rivela di non esser deficiente.



Persino il service-guardiani tratta bene, avendomi gia’ visto con Telesforo. Mi chiedono della chitarra (“tu fai domande, noi facciamo domande”). Mi tengono la chitarra quando – dopo – staro’ parlando a Rossana.
Roberto Gatto rugna ed alza il pelo (o meglio lo alzerebbe, ma non lo ha), lui che ha sforato l’orario per eccesso di solito protagonismo supponente, nonostante le belle tastiere anni settanta, che infatti non suonava lui (che e’ batterista, ma a me risulta batterio)…



Dunque, Rossana, ti vengo a intervistare.
E questa volta riesco a prenotare l’intervista nel mentre lei raggiunge il gazebo del palco.
Nella cornice paesistica ed umana della Laigueglia che e’ frazione d’Eden, con il popolo mio, con la mia gente, col redivivo Zio Freak, la rediviva pure olandesina, e la pischelletta cara che fara’ poi le foto al becsteig dell’intervista, e con l’artista di strada e la sua tipa che aspetta due gemelli, insomma con tutti quelli che a Laigueglia ci si vuole del bene.







2.



Al termine concerto, m’appropinquo.
Rossana Casale sta firmando autografi.
Poi parla cordialmente con un tipo vicino di casa di amici di Rossana, un tipo alla buona, in maglietta della spiaggia, ed alla buona lei – mazzo di fiori bianchi nella mano, vestito nero da sera, artista ma non artefatta – risponde colloquiale.
Pratica la parola, la Casale: scrive da se’ i suoi testi (e neanche male) e pure nei depliant pubblicitarii tiene ad essere lei, con brani autografi, a presentare se stessa.
Ma la pensavo una altera.
E invece e’ sociale, umana, delicata composta ricciola bionda.
Chiede se puo’ fumarsi – se la trova – una siga, “e poi arrivo” – mi dice – “e ti rispondo”.
La accende, e torna subito.
Iniziamo.
Al solito, pongo domande cutuppate dai testi stessi dell’intervistato.
Da fuori del gazebo “degli artisti” sento chiamare il mio nome. Mi giro: sono i vicini (quelli miei) che scattano una foto. Sembra la barzelletta vaticana (“chi e’ quello vestito di bianco con il berretto bianco vicino a Ciro?”).
Rossana, appunto, son solo tre domande…
Lei: “Va bene, ci sono”.







3.
INTRAVISTA ESCLUSIVA A ROSSANA CASALE



Apolide Sedentario:
“Ciao Rossana: esco dal buio o da quello specchio e sputo in faccia la verita’, e non ci crederai, ma sto Ramingo (nel senso che mi chiamo, io, cosi’), e dono la mia abilita’, e non prendo in giro la tua mente, e faccio domande con ironia, ma la tristezza passera’ senza rivoluzione?”



Rossana Casale:
“La tristezza non deve passare. La tristezza e’ un elemento molto importante per l’esistenza. Ed e’ anche un elemento molto importante per la Rivoluzione.
Nella tristezza ci sono fatti poetici, grida di dolore, rabbia, che sono tutti sentimenti sani. Non come l’invidia. Sentimenti forti, non mediocri. Sentimenti sani che fanno cambiare le cose veramente.
La tristezza fa andare avanti, fa cercare, porta creativita’.
Nel testo lo dico proprio perche’ la voglio avere.
Piuttosto e’ la malinconia che e’ un sentimento piu’ piccolo della tristezza. La malinconia coinvolge solo l’individuo. La tristezza coinvolge cose molto piu’ grandi, coinvolge tutto il mondo.”



[Ndr: si noti che Rossana non fa cenno all’aver capito che nella domanda stava il suo stesso testo, ma – compita, profonda, seriamente pesando ogni parola, con scansione sensata – salta il passaggio logico, e risponde come se avessi detto in modo esplicito di darmi un suo parere su quel testo, il che vuol dire appunto che ci ha testa; e poi quel cenno alla Rivoluzione, trattata in senso di necessita’, che bene mi fa all’umore…]



A.S.:
“I matti del paese, le cose e i circhi immaginarii, l’incoerenza del jazz… Tu che ti intrippi negli strippamenti, pensi che la psichiatria sia una cura o un’arma?”



R.C.:
“Un’arma no.
Ognuno deve usare i mezzi in modo giusto.
Se come medicina, allora no.
Come dono di strumenti per permettere di accettarti per quello che sei, ovvero darti le tue proprie armi, allora si’.
Ci dicono di essere tutti uguali, e noi sbarelliamo perche’ non riusciamo ad accettare la nostra stessa differenza.
La psicologia puo’ farci da specchio, per farci vedere per quello che siamo, nel nostro bene e nel nostro male, che fanno l’insieme.
In questi campi noi che pur calchiamo i palcoscenici, lo sai, siamo quelli con piu’ difficolta’.”



A.S.:
“Che vita senza qualita’: pensa che al Festival Jazz tutti gli anni invitano Gino Paoli…”



[Ndr: Rossana ride, di gusto; rido insieme a lei; che simpatica, sei, Rossana, brava, che peraltro cosi’ confermi pure, ridendo insieme a me, che Gino in fondo lo sdegni pure te…]



R.C.:
“Non dire cosi’, che Gino e’ qui e ti sente…”



A.S.:
“Se sente viene e glielo dico in faccia. Io son cosi’. A te tratto bene perche’ ho rispetto e stima. A chi non ho stima la dico per le rime…”



R.C.:
“Si’ lo avevo capito…”



A.S.:
“Dicevamo: che miseria e che tormenti, noi artisti invece indipendenti, essendo questa societa’ degli autori e degli editori, ovvero dei delitti e delle pene… Forse gli Dei possono anche servire a qualcuno, ma la Siae a che cazzo serve?”



[Ndr: la svolta tonale della mia domanda, con la chiosa a inatteso turpiloquio, esercizio di stile di me satiro, che volentieri ho pensato di donare all’intelligente Rossana una battuta per amore del ludico, fa effetto, ed ella ride di gusto, deliziosa]



R.C.:
“La Siae serve perche’ la tua bella opera potrebbe essere presa come vestito per farsi belli da un altro [ndr: nel dir cio’ Rossana mi tira la maglietta, informalmente intenta in spiegazione da persona che parla a altra persona in maniera diretta, tra compari: come sono volgari, invece, i vips che tengono le distanze, mi sovvien di pensare…].
In piu’ ha il pregio di far riconoscere l’autore della bella opera nella storia e nel tempo.
Ma ci dovrebbero essere piu’ siae, non ci dovrebbe esser monopolio, ciascuno dovrebbe scegliere la formula che sente piu’ adatta a se’, compresi anche quelli come te che non vogliono stare registrati.
Tutte queste strutture nascono con un intento ma poi diventano gerarchiche, politiche, perdono onore.
Bisognerebbe gestire le Arti in una maniera piu’ colta, meno statale, meno istituzionale.”







4.



Appena faccio cenno “occhei, finito, ti lascio libera, grazie” mi sorride, genuina.
Poi mi bacia.
Mi dice di segnarmi il suo indirizzo, per segnalarle l’uscita dell’articolo.
Reciprocamente ci ringraziamo ancora.
Grazie, Rossana Casale.
(Voglio sempre averla io, l’ultima parola…)






5.



Per scaricar la tensione, m’inserisco nel largo cerchio di gente del mio popolo.
Mi chiedono cosa ho chiesto e cosa ha detto.
Arriva un gruppetto di gagni che domanda se gli suoniamo un poco di chitarra. Uno di loro ha fatto diciott’anni questa sera. Lo benauguriamo, e uno gli commenta “adesso puoi entrare anche tu al cinema porno”. Ridiamo, poi facciamo ramanzine ai “giovani che devono esser giovani, ovvero modificar le situazioni, non stare proni ai trend del consumismo, pensare solo ai soldi ed al lavoro”.
Ragazzi cari: a che servono i padroni?



Rossana Casale



(c) Apolide Sedentario 2008
(c) per le immagini di becsteig: la Pischelletta Carah

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