DUE BELLE FACCE DI SCAT – Intravista tra GEGE’ TELESFORO e APOLIDE SEDENTARIO

Erano gli anni ottanta: tanta merda sociale, il nulla culturale, l’involuzione merceologica di tutta la grande passione torrida che furono gli anni creativi e utopisti precedenti, l’annacquatura a favore di sistema dell'”era dell’acquario”. Lo schermo diffondeva ipnosi stupida, “operazioni five” della P2, pettinature assurde delle star della canzone pop. Ma quotidianamente c’era pure una parentesi anomala di quei palinsesti-mercato, ed era “DOC”, alla Rai, made in Arbore. E io adolescente a guardare, ad aspettare di ascoltare qualcosa che non fosse musica da Cecchetto. Il presentatore, smilzo, goffo, “afono”, era Gege’ Telesforo.

1.


Me lo ricorda un amico, mentre aspetto Gege’ Telesforo al varco sotto il palco sul quale ha appena finito la sua performance insieme ai Groovinator, Festival Jazz di Laigueglia: “Non andrai mica a insultarlo come al solito, non fare come hai fatto a Cammariere nell’edizione scorsa; ricordati che ogni giorno, dopo scuola, ci guardavamo DOC alla tv, commentandolo insieme…”.
Adolescenziale speme, le stagioni dello sperma in eccesso, degli ormoni sessuali e intellettuali, in cui – regazzini scemotti come tutti, ma con interessi creativi e intellettuali – prima d’andare dietro a qualche mussa ci si riuniva come per la messa, televisore acceso, per vedere “chi c’e’ a suonare a DOC”.
Occhei, amico di allora, che mi fai tornare in mente quegli attenti ascolti pomeridiani: io a Gege’ lo voglio appena appena provocare, com’e’ mio stile (e cosa necessaria se si vuol trar parole veritiere da chi vai a intervistare), ma non lo posso ne’ voglio “insultare”, che’ come si fa ad insultare tal figura di presentatore anti-telegenico, nonche’ radiofonico con quel timbro scomodo per lo spettro dell’etere, e quel sorriso impacciato, da dinocolato timido, che aveva mentre – alla Rai nientemeno – conduceva?
C’era, non ci faceva: semplicemente stava – pertinente – ad introdurre brani musicali, artisti internaziunnnali, nomi anonimi nel mondo commerciale.
Genuino, pareva. Ed ora, solo, voglio verificare che lo fosse. Non vado ad insultare, amico che difendi quel ricordo mediatico ancestrale. Vado a capire chi e’. A punzecchiare, ma con un tono cordiale.







2.



Tipiche peripezie da pre-intravista: sarei intenzionato ad avvertir Telesforo che dopo il concerto lo voglio intervistare, e so che di solito al festival gli artisti giungono dal lato mare, e li’ mi apposto.
Sul posto trovo Zio Freak, “vecchio” amico fraterno, mentre espone abusivamente (ovviamente) artigianato. Lo informo che sono li’ “a lavorare”, e posero’ la chitarra e gli ammennicoli vicino alla sua improvvisata esposizione di collanine e orecchini quando Gege’ m’arrivasse alla portata, che me li guardasse un attimo.
L’attimo sono ore: quando sento da un organizzatore dire “arrivano” lascio a Zio Freak le mie cose e corro incontro al vicolo da cui, solitamente, raggiungono il retropalco i musicisti. E infatti vedo artisti appropinquare, ma Gege’, beh, non g’e’. Anzi, inizia a cantare.

Babliubilebabebabliublibliubi.

E’ arrivato, mi sa, dall’altro lato. Sono fregato.
Coda tra le gambe, torno dallo Zio Freak, che mi consola “dai, poi lo becchi alla fine”. Mi rassegno, scatto una foto a Telesforo che intanto fa evoluzioni di Scat (fonazioni su jazz, frasi a-semantiche eppur capaci di comunicazione).
Poi torno dallo Zio, e chiacchieriamo, e passano vigili e sbirri, e a ogni passaggio graziano l’abusiva bancarella dell’artigiano col cappello a forma di cappella di fungo psilociba.
Evviva.
Viviamo a stento, io, Zio Freak, e tutti noi animali umani originarii di questa specie mutata in tecnologica. Ci raccontiamo saggezze confortanti, rivendichiamo di non aver padroni, di saper viver con poco, ma verace, scambiamo segni di pace, rispondiamo ai sorrisi passanti dei bagnanti e delle bagnanti che credono che siamo dei figuranti, folklore.



Gege’ e la band (i Groovinator: Mia Cooper, Fabio Zeppetella, Alfonso Deidda, Max Bottini, Marcello Surace) suonano un’ora e mezza di jazzfunk.
Ospitano Dado Moroni per due brani e Gilson Silveira per uno.
Tra un brano e l’altro il pubblico puo’ ridere alla divagazioni di Telesforo, cui la parola non manca, e non e’ un cane come alcuni che vengono al JazzFestival (Gino Paoli, per dire…), anzi tiene carisma: imbonitore, si’, ma intelligente, e musicalmente onesto e preparato.
Quello che prima dicevo “timbro afono, soffocato”, e’ il suo marchio peculiare, l’originale gamma sua vocale appunto adattissima al genere (lo scat), come avevo imparato ad apprezzare da gagnetto ignorante, quando Arbore gli porgeva il microfono chiedendogli di improvvisare un passaggio.
A parte Moroni (che c’e’ ogni anno, a ‘sto festival, e mi ha fatto a cubodadi i maroni), un concertino verace e raffinato al tempo stesso.



Finito di suonare e di cantare (Gege’ e’ “polistrumentista”) Telesforo riordina gli attrezzi mentre colloquia amabile coi fans. Arrotola i cavi, smonta il suo microfono. Per dare un bacio ad una sotto il palco che lo va a salutare si sporge fino a rotolare a terra, la pancia su una spia (nel senso cassa). Lo spio (nel senso attendo si rilassi, per potergli poi fare l’intervista). Gli viene porta una birra, e lui la beve mentre finisce di riordinare. Adesso e’ libero, vado a domandare se mi risponde al volo a tre domande.







3.
INTERVISTA ESCLUSIVA A GEGE’ TELESFORO



Apolide Sedentario:
“Io sono a denominazione di origine incontrollabile.
E tu, ti sei mai posto domande sulle teorie del controllo?
Chi controlla lo schermo e chi vi appare?
Arbore o i massoni? O Arbore e’ a sua volta massone e quindi fa lo stesso?”



Gege’ Telesforo:
“Aspetta, una domanda per volta. Qual era la domanda subito dopo che sei uno a origine incontrollabile?”



A.S.: “Se ti poni domande sulle teorie del controllo.”



G.T.: “No, perche’ il solo fatto di rivolgermi la domanda implicherebbe un autocontrollo che possiedo solo in momenti in cui il controllo serve.”



[Sorrido: bell’esordio, Gege’, ottimo]



G.T.: “Per quanto riguarda Arbore, dovresti chiederlo a lui… Comunque lui sta a un gradino superiore, non ha bisogno di fare tv per motivi ne’ economici ne’ artistici, lo fa solo se ritiene di avere qualcosa di valido da fare… E poi lo fa solo se ha carta bianca, e in Itaglia la carta bianca e’ ormai solo la carta igienica… Anch’io faccio le cose solo quando ho carta bianca: dopo cinque anni di una trasmissione radiofonica che tenevo alla Rai il direttore ha deciso di cancellarmi, forse mettevo troppa musica libera scegliendola troppo liberamente…”



[Ndr: Rarissimo a dirsi per uno come me, Gege’, frase a frase, merita il mio encomio: serenamente racconta questo fatto del licenziamento Rai, mica come un Luttazzi od un Santoro frignanti l’aver perso il proprio ruolo… Telesforo e’ superiore, se ne fotte, serio, fiero, orgoglioso giustamente, dignitoso e snobbante chi, mediatico, rincorre “visibilita’” (che, almeno a livello di massa, chi fa l’Arte sa esser sinonimo di “superfluita’”)]



A.S.: “Tu non sei mica Cristo-foro (che porta Cristo), tu sei Teles-foro (che porta televisione)… Gli unici ammmericani buoni sono quelli che disprezzano l’ammmerica: e tu ami il jazz o tu vo’ fa l’ammmericano?”



[Ndr: Alla mia battutaccia su “teles-foro: portatore di televisione”, Gege’ ride, senza offendersi affatto: ha capito benissimo quanto io sappia bene qual sia l’etimo esatto del suo cognome, e che faccio il cretino di talento, sparando quella boutade… Faccio qui anche notare che Telesforo vive attualmente in Ammmerica, e per questo ho posto la domanda in questi termini]



G.T.: “Ho una storia particolare: amo il jazz perche’ lo conosco di pu’ della musica itagliana, essendo cresciuto contornato dal jazz di mio padre, ascoltandolo continuamente.
D’altra parte io non sono mai andato a Sanremo, non sono mai stato in classifica, nessun mio brano e’ stato mai inserito in una hit. Faccio la musica che conosco e che mi piace fare. Faccio anche canzone napoletana, quando Arbore mi chiama a farlo partecipando a suoi concerti, ma anche in quel contesto io porto le mie cose, quello che sono.”



A.S.: “L’ultima domanda a questo punto e’ un gioco. Se tu mi avessi trattato male, supponentemente, ti avrei urlato: FACCIA DA SCAT! Tu ti saresti offeso?”



G.T.: [sorridendo] “No, se me lo dicevi mi faceva piacere, ti dicevo che avevi ragione.”







4.



Mi congratulo salameleccamente per l’arguzia e la padronanza dialettica. Dico che dovro’ dilungarmi, nell’articolo, in complimentazioni. Lui dice: “Scrivi quel che e’ il tuo pensiero, le mie risposte le hai, quello che scrivi sara’ semplicemente il tuo parere, foss’anche non complimentoso”. Delizioso. Uno che sa chi e’, che non ha paura della propria ombra, che non si nasconde affatto dietro al dito, e vede chiara la luna e non il dito se con il dito la indico.
Gege’ ultradisponibile mi porge il suo biglietto da visita, e mi dice che linkera’ i percaso nel suo sito, se gli segnalo l’uscita dell’articolo.
Dico: “Segnala la pagina su te, quella dove sara’ la tua intervista, non e’ necessario linki anche l’homepage, non cerco pubblicita’, ma verita’”. Lui dice: “Invece segnalo proprio il sito: non e’ pubblicita’, e’ informazione che esistono i tuoi scritti”.
Dico: “Sono commosso, non hai sbagliato un passaggio, ti poni in modo perfetto”.
Telesforo sorride. M’accommiato.







5.



Saro’ linkato a Gege’. Che fa l’MC. E la sua band ci ha groove.
Sto diventando albionico? Macche’: faro’ una torta di scat (nel senso merda) che tirero’ in faccia alla Queen (che della merda e’ regggina).
Pero’ bravo Gege’, anche se anglofilo: tanto si chiama Telesforo, che e’ un nome in ienchi-idioma davvero impronunciabile (e che si spellino a fargliene lo spelling…).



(c) Apolide Sedentario 2008

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